Orloff non aveva mentito, chiamandolo un battello meraviglioso. Era in realtà uno dei più splendidi e perfetti navigatori sottomarini che mente umana avesse ideato fino allora, ed i due cacciatori non poterono fare a meno di rimanere meravigliati dinanzi a quel vero capolavoro ideato dall’ingegnere finlandese e fatto costruire, sotto la sua direzione, in uno dei più celebri cantieri del Baltico, come aveva loro narrato il secondo di bordo.
Era un vero colosso di fronte a quello varato nel 1859 a New-Castle e che aveva suscitato tanto scalpore nella stampa europea credendo che avesse sciolto il difficile quesito della navigazione sottomarina, poiché da prora a poppa misurava quarantadue metri, ossia circa trentadue di più, mentre nella sua massima larghezza aveva un diametro di oltre nove.
La sua forma era quella d’un fuso perfetto, diviso in dieci scompartimenti quasi eguali destinati sei agli alloggi ed alla cucina, due al macchinario e gli altri due come magazzini, mentre le due estremità servivano alla zavorra acquatica necessaria per l’immersione del battello.
L’ingegnere Nikirka dovea essersi ispirato sul battello varato a New-Castle, il tipo migliore e meglio riuscito e che ha servito come modello, salvo alcune modificazioni, a quelli costruiti in questi ultimi anni dalla Francia, dall’Italia e dalla Spagna, poiché ne aveva adottata la configurazione ed anche i mezzi per potersi immergere, tornare a galla e dirigersi con sicurezza o quasi. Avea però introdotti dei miglioramenti grandissimi nella locomozione, che rendevano il Teimyr il più rapido ed il più potente ed anche il più sicuro di tutti. Costruito
tutto in acciaio, poteva sopportare le pressioni più straordinarie, ma l’ingegnere aveva anche pensato al caso in cui le lastre metalliche, per una causa qualunque, o per un arenamento violento o per un urto formidabile fossero state forzate a cedere ed aprire una via d’acqua, affogando irremissibilmente coloro che lo montavano.
Per evitare i pericoli che dovevano aumentare per quel battello che stava per intraprendere il misterioso viaggio nell’Oceano Polare, così abbondantemente ingombro di ghiacci galleggianti, le cui punte potevano produrre delle avarie gravissime, il finlandese, precedendo i modernissimi costruttori, aveva fasciato completamente le lastre d’acciaio, dalla parte interna, d’uno spesso strato di quella materia cellulosa scoperta molti anni or sono dall’ammiraglio De la Barrière e che potrebbe rendere qualsiasi nave, anche di combattimento, assolutamente insommergibile.1
Questa materia che si estrae dalla fibra della noce di cocco gode delle proprietà meravigliose, poiché è dotata d’una tale elasticità, che attraversata da qualsiasi proiettile, o sconquassata dalla punta d’una roccia si rinchiude da sé stessa e s’indurisce al contatto dell’acqua, di cui impedisce, in tal modo, la libera irruzione.
Essendo la sua densità quasi minima, non pesando che centoventi o centotrenta chilogrammi al metro cubo, l’ingegnere aveva potuto imbottire, per modo di dire, il suo battello, negli spazi compresi fra le lastre metalliche e l’armatura interna, senza accrescere notevolmente il peso e senza occupare troppo posto.
Ma non si era limitato a quel doppio riparo che doveva rendere il Teymyr insommergibile o quasi, poiché i dieci scompartimenti potevano, in caso d’un grave disastro, servire come
di celle stagne, essendo muniti di doppie porte di ferro che combaciavano esattamente e coi margini rivestiti di caucciù.
Tolto il pericolo d’una invasione delle acque in tutte le cabine, il valente finlandese aveva dedicato tutto il suo ingegno alla locomozione di quel gigantesco fuso d’acciaio ed ai mezzi per poterlo maneggiare liberamente, sopra e sotto le onde.
nota: 1. i costruttori moderni stanno precisamente ora progettando delle navi di battaglia fasciate di questa materia cellulosa che renderebbe inutili le pesanti corazze e che renderebbe qualsiasi nave insommergibile, anche se sventrata dalle palle.
Era in questo che aveva superato di gran lunga il battello inglese, scartando affatto
l’elettricità ancora insufficiente in quell’epoca per ottenere una rapida locomozione e limitandosi ad adottarla per la sola illuminazione interna. Non potendo, per ragioni facili a comprendersi, utilizzare le macchine a vapore che avrebbero obbligato il battello a mantenersi sempre a galla per dare sfogo al fumo e che avrebbero richiesto uno spazio immenso per la provvista del carbone, l’ingegnere aveva fatto uso di una nuova forza ben più potente, valendosi delle ultime meravigliose scoperte della scienza, ossia dell’idrogeno liquefatto.
Come si sa, questo gas, ridotto allo stato liquido, occupa uno spazio infinitamente piccolo, mentre al contatto dell’aria, riprendendo il suo stato gassoso, si dilata enormemente con grande forza, di gran lunga superiore a quella prodotta dal vapore.
L’ingegnere Nikirka aveva trovato il mezzo di utilizzare quella forza adattandola
ad un meccanismo di sua invenzione, il quale agiva perfettamente come una macchina a vapore.
Provveduto d’una riserva considerevole di quell’idrogeno liquefatto, imprigionato
in tubi d’acciaio di grande potenza per impedire delle esplosioni che avrebbero prodotto delle conseguenze fatali, poteva in tal modo navigare lungamente ed ottenere una velocità straordinaria, proporzionata alla forza irrompente del gas.
La macchina, mossa dalla forza di quel gas che funzionava identicamente all’acqua trasformata in vapore, era sufficiente per imprimere al battello una velocità di quindici ed anche di diciotto nodi all’ora, in caso di bisogno, superando i più rapidi steamers costruiti in quel decennio.
Per renderlo più maneggiabile, aveva dotato il fuso di due eliche situate a poppa, entro due nicchie abbastanza vaste per concedere loro la libertà necessaria al funzionamento, ma che nel medesimo tempo le proteggeva contro qualsiasi urto da parte dei ghiacci o da qualunque altro ostacolo che potessero incontrare, e di un largo timone in forma di triangolo.
Per l’immersione aveva inventato un nuovo sistema, che vent’anni più tardi doveva servire anche al signor Nordenfeld – il celebre inventore dei cannoni e delle mitragliere che portano il suo nome – nella costruzione del suo battello sottomarino che doveva riuscire il tipo più perfetto di tutti quelli costruiti nel decennio 1880-90.1
nota. 1. Questo battello è stato costruito nel 1883 con acciaio dolce di Svezia. Alle prove percorse felicemente le 150 miglia che separano Stoccolma da Gottemburg, ora a fior d’acqua ed orascendendo a una profondità di 30 metri, con una velocità media di 8 nodi all’ora. In seguitoha percorso parecchie centinaia di miglia, funzionando sempre perfettamente.
Non potendo contare assolutamente sulla zavorra liquida racchiusa nelle due estremità del fuso, che poteva cagionare anche dei gravi spostamenti ed impedirgli di raggiungere anche delle profondità considerevoli, aveva fatto costruire sui fianchi del battello, al posto dei tamburi delle navi a ruote, due altre eliche di dimensioni ragguardevoli, le quali funzionando in senso verticale, dovevano necessariamente spingerlo giù, fino al livello desiderato.
Per mantenerle però, anche nelle discese, nella posizione normale, le aveva dotate di due timoni a bilancia, fissati alla medesima asse e tenuti costantemente orizzontali mediante un peso considerevole.
Non sarebbe necessario dire che anche queste eliche, preziosissime al pari di quelle di poppa, erano state collocate entro due nicchie per evitare che si guastassero.
Anche la questione dell’illuminazione era stata splendidamente risolta dall’ingegnere finlandese. La forza prodigiosa sviluppantesi dall’idrogeno, era stata da lui messa a profitto per una piccola dinamo, la quale doveva fornirgli la luce elettrica necessaria a rischiarare
non solo l’interno del battello ma anche l’esterno, durante la navigazione notturna o a tale profondità da non poter contare sulla luce solare.
Una potente lampada della forza di tremila candele, situata in una specie di torretta collocata a poppa, fornita di vetri d’uno spessore tale da sopportare le più forti pressioni, proiettava dinanzi al battello uno sprazzo di luce in forma di ventaglio, da permettere al timoniere, collocato in un’altra gabbia a vetri emergente presso la prora, di discernere qualsiasi ostacolo alla distanza di cinquecento e più metri.
Di giorno la luce scendente dal boccaporto della piattaforma, se il battello si trovava a galla, dalle due gabbie e da sei lenti del diametro di cinquanta centimetri situate sui fianchi del fuso, nel caso che si trovasse immerso a piccola profondità, erano sufficienti per rischiarare l’interno.
Per ultimo non aveva trascurata la respirabilità entro quella specie di prigione metallica, che avrebbe potuto diventare una vera tomba per coloro che la montavano, nel caso che un guasto qualunque della macchina o per altro motivo, il battello fosse stato costretto a rimanere immerso, fino all’esaurimento completo della provvista d’aria contenuta nel fuso. Per evitare questo inconveniente pericolosissimo, l’ingegnere aveva fatto costruire
due manichelle di gomma della lunghezza di duecento metri, fissate una a prora ed una a poppa e munite, alle opposte estremità, di due gavitelli di sughero atti a trasportarle istantaneamente alla superficie e di due valvole automatiche che dovevano aprirsi al primo contatto dell’aria. Quelle manichelle erano trattenute da molle comunicanti nell’interno del battello in modo che si potevano lasciarle libere colla massima facilità. In tale modo il battello, anche trovandosi ad una profondità di duecento metri, poteva ricevere la provvista d’aria necessaria al suo equipaggio.
– Per centomila foche!… – esclamava Mac-Doil che aveva ascoltate le diverse spiegazioni dategli dal signor Orloff, durante la visita di quel battello meraviglioso. – Non ho mai veduto nulla di simile, né mai avrei creduto che gli uomini trovassero il modo di navigare sotto le onde, gareggiando coi pesci.
– Mac-Doil, – disse Sandoé – se non fossi ben certo di essere sveglio, direi che tuttociò che è accaduto da cinque giorni ad oggi è stato un sogno.
– Lo credo – rispose l’ebridano. – Ma ditemi, signor Orloff, siamo noi soli sul battello?… Voi non ci avete fatto vedere l’ultima cabina e mi parve di udire qualcuno russare, passando dinanzi alla porta.
– Vi sono altri tre marinai incaricati del maneggio della macchina, della pulizia e della cucina. Uno già, lo conoscete…
– È quel birbone che ci ha sturata la famosa bottiglia e che abbiamo veduto dinanzi alla macchina.
– Sì, MacDoil.
– È un equipaggio minuscolo.
– Ma sufficiente, non richiedendo la macchina servigi faticosi come quelle a vapore. I due marinai in questo momento dormono, avendo trascorse delle notti senza un istante di riposo, durante il nostro arenamento sulla vostra isola, ma li vedrete presto.
– Signor Orloff – disse Sandoè, che da qualche momento si grattava la testa, come fosse tormentato da un’idea. – Vorrei chiedervi una spiegazione.
– Parlate, amico.
– Ho osservato a prora del battello, al di sopra del serbatoio d’acqua o della zavorra come la chiamate voi, una specie di canale oscuro, chiuso da un grosso vetro. Sapreste dirmi a cosa serve?…
– È un tubo pel lancio delle torpedini.
– Delle torpedini!… Ma è un battello da guerra questo?…
– Niente affatto. Volete che andiamo ad intimare la guerra agli orsi bianchi?…
– Ed allora a cosa servono quei terribili istrumenti di distruzione?
– Io non lo so, ma forse pei ghiacci.
– Ditemi, signor Orloff, – chiese Mac-Doil, – non vi è pericolo che il battello si sfasci sotto la pressione delle acque, scendendo a considerevoli profondità?…
– Non abbiate questo timore. Vi dirò innanzi tutto che il nostro battello è formato da lastre d’acciaio che hanno uno spessore di cinque centimetri al centro e di due sui margini, quindi che è di una robustezza eccezionale.
– Sia pure, ma se dovesse scendere a cinquecento, ad ottocento o a mille metri di profondità, non potrebbe resistere alle pressioni…
– Vecchie teorie che hanno fatto il loro tempo, mio caro e che io ed il signor Nikirka abbiamo constatato essere assolutamente false.
«Si è creduto fino ad oggi e forse lo si crederà per un bel numero d’anni ancora, che l’acqua, comprimendosi pel proprio peso, dovesse raggiungere, ad una certa profondità, una densità eguale a quella dei metalli più pesanti e che impedisse perfino alle navi più enormi di toccare il fondo. Fole, Mac-Doil, vere fole. Che ad una profondità ragguardevole l’acqua diventi più densa è vero, ma che raggiunga quella dei metalli, ci corre. Diamine!… Non si sono accorti
che l’acqua è appena compressibile!… Se non lo fosse, come farebbero a vivere
a cinque o seicento metri di profondità le stelle marine e le conchiglie?… Bisognerebbe che fossero corazzate.
«Non abbiate adunque inquietudine sulla resistenza del Taimyr. Noi scenderemo molto in fondo all’oceano e senza che una sola delle nostre lastre metalliche si sfondi.»
– Signor Orloff- chiese Sandoé. – Potremo vedere dei pesci?…
– Sì, quantunque gli oceani polari siano piuttosto scarsi di abitanti acquatici.Basta collocarsi dinanzi ad una delle lenti.
– Purché non si rompano!…
– Sono così grosse da sfidare una palla di spingarda. Toh!… Ecco la campana che ci chiama a colazione. Seguitemi; mezzogiorno è suonato.
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