La catastrofe del Taimyr stava per causare anche la perdita dei due cacciatori e dell’esquimese, sfuggiti miracolosamente alle strette degli ice-bergs ed all’esplosione delle torpedini o dei serbatoi dell’ossigeno. Un altro dramma, forse più angoscioso del primo, minacciava l’esistenza dei superstiti.
Cosa sarebbe avvenuto di quei disgraziati perduti fra i ghiacci del mare di Groenlandia, in un canotto che non era in grado di reggersi alla prima burrasca, senz’armi e senza viveri?… Avrebbero potuto raggiungere le coste dell’Islanda o gli stabilimenti della Groenlandia meridionale, lontani parecchie centinaia di miglia?… Se fatale era stata la sorte toccata agli uomini del battello, ben triste appariva anche quella dei due cacciatori e dell’esquimese. Trentasei ore erano trascorse e più nulla avevano posto sotto i denti, poiché nella fuga precipitosa non avevano pensato né a provvedersi d’armi, né di viveri. Sandoé e Kalutunak arrancavano ancora approfittando del mare tranquillo, ma quanto avrebbero potuto ancora resistere?… Già si sentivano spossati da quel lungo digiuno ed incapaci di continuare quel faticoso esercizio.
Mac-Doil era ricaduto nel fondo del canotto in preda a tristi pensieri e non aveva più osato interrogare Sandoé, mentre i suoi due compagni lanciavano all’intorno sguardi disperati, spiando la comparsa di qualche foca o di qualche narvalo.
Era già trascorsa un’ora ed avevano abbandonati i remi, quando Kamo fece udire un sonoro latrato.
Mac-Doil conosceva troppo bene il suo cane per ingannarsi sul significato dei suoi latrati. Facendo uno sforzo, si era alzato sulle ginocchia, dicendo:
– Guarda intorno, Sandoè. Kamo ha sentito della selvaggina.
Sandoè lasciò andare i remi alzandosi precipitosamente in piedi, mentre l’esquimese impugnava il suo rampone.
Il canotto si trovava allora a duecento passi da un banco di ghiaccio che poteva avere trecento metri di circuito e che portava un vero carico di piramidi e di hummoks. Alcuni uccelli marini si vedevano svolazzare attorno ai margini, però non si scorgeva alcuna grossa selvaggina. Pure Kamo continuava a latrare, colle zampe anteriori appoggiate a bordo del canotto.
– Vedi nulla, Sandoè? – chiese MacDoil.
– No, ma vi può essere qualche animale nascosto dietro quei picchi di ghiaccio.
– Approdiamo?…
– Sì, andiamo ad esplorare quel banco. Vi può essere qualche foca.
– No, foche – disse l’esquimese che era salito sulla prora.
– Come lo sai tu? – chiese Sandoè.
– Vedo due orsi bianchi.
– Fulmini!… Se si potesse catturarne uno!…
– Affrontarli colla fiocina sarebbe una pazzia che potrebbe costare la vita a qualcuno di noi
– disse l’ebridano. – Siamo troppo deboli e male armati, per osare una lotta con simili animali.
– Kamo ci aiuterà.
– E se fuggono invece?… Cosa dici, Kalutunak?…
L’esquimese, che da qualche istante aveva fissati gli sguardi sui rottami che ingombravano il canotto, disse con vivacità:
– Io dico che uno lo cattureremo.
– Col tuo rampone? – chiese MacDoil.
– Senza rampone.
– Vuoi prenderli colle mani forse?
– Senza mani.
– Uno squalo mi divori se io comprendo qualche cosa.
Invece di rispondere Kalutunak si curvò, frugò fra i rottami e tirò fuori un pezzo di pelle, a cui vi erano attaccati dei fanoni di balena leggermente arcuati.
Pareva un pezzo del kayak, ossia del piccolo canotto di pelle di foca colle costole di ossa di cetaceo, che l’esquimese aveva portato con sé prima d’imbarcarsi sul Taimyr. Strappò uno di quei fanoni e disse:
– Ecco l’arma che ucciderà l’orso bianco.
I due cacciatori lo guardarono con stupore, chiedendosi se l’esquimese era diventato pazzo, non potendo ammettere che fosse capace di scherzare in quei momenti.
– L’arma che ucciderà l’orso? – esclamò l’ebridano. – Come vuoi che un pezzo di fanone così flessibile fori la pelle di quei mostri?… Vuoi ridere alle nostre spalle, Kalutunak?
– No – rispose l’esquimese. – Approdiamo e riusciremo ad abbattere uno di quegli animali, ma mi sono necessarie alcune ore.
– Te ne concediamo anche dodici, se lo vorrai. Siamo affamati come lupi digiuni da una settimana, ma ci rifaremo più tardi, purché tu risponda della cattura.
– Non dubitate; accostiamo il banco.
Riprese i remi imitato da Sandoé e spinse il canotto verso il ghiaccione, mentre Mac-Doil costringeva il molosso a starsene zitto. Giunti presso il margine, l’esquimese fece segno ai compagni di non parlare, poi salì sul banco portando con sé l’arpione e s’arrampicò su di
una piramide di ghiaccio, guardando attentamente in tutte le direzioni, per vedere se gli orsi si erano allontanati.
Dopo alcuni minuti potè vederli verso le coste meridionali di quell’isola galleggiante. Erano due, uno grosso e l’altro più piccolo e magro assai, forse maschio e femmina. Dovevano già essersi accorti della presenza degli uomini, poiché guardavano precisamente verso il luogo ove era approdato il canotto.
L’esquimese, soddisfatto, discese e tornò verso i compagni.
– Ci sono? – chiese MacDoil.
– Sì, e mi pare che non abbiano alcuna intenzione d’allontanarsi.
– Saranno affamati e spereranno di banchettare colle nostre carni – disse Sandoé.
– Come faremo a prenderli?
Invece di rispondere, l’esquimese prese il fanone di balena che era lungo quaranta o cinquanta centimetri e largo due o tre, lo curvò a forza facendo una legatura stretta alle due estremità, poi sotto la prora del canotto prese una grossa pallottola di grasso, colà riposta forse per ungere i bordi della scialuppa nel posto dove si fissavano i remi.
– Bisogna scioglierlo – disse a Sandoè.
– Ma come?… Bisognerebbe accendere del fuoco.
Mac-Doil strappò da un pezzo di fune attaccata all’anello di prora del canotto alcuni fili di canapa e formato una specie di lucignolo, lo cacciò in mezzo alla palla di grasso.
– Accendilo e si scioglierà – disse.
Sandoé obbedì, possedendo fortunatamente un acciarino ed un pezzo d’esca. L’esquimese prese quella candela di nuova specie e fece gocciolare la cera sul fanone di balena, coprendolo accuratamente sotto, sopra e sui lati.
Quando lo vide ben rivestito di quella materia grassa, lo depose sul ghiaccio, dicendo:
– Aspettiamo.
– Ma cosa vuoi fare?
– chiese Mac-Doil, impazientito.
– Squarciare gl’intestini di un orso.
– Con quell’oggetto?… Io comincio a credere che tu sia pazzo davvero, Kalutunak.
– Vi dico che fra poche ore avremo della carne d’orso.
I due cacciatori, vedendo che non vi era modo di strappare alcuna spiegazione, e fidando d’altronde nella furberia dell’esquimese, sapendo che tutti quegli uomini delle regioni
dei ghiacci sono valentissimi cacciatori, si rassegnarono ad attendere.
Due ore dopo Kalutunak andava a riprendere quell’arma singolare, se così si poteva chiamare.
Il freddo intenso aveva gelato tutto il grasso, rendendolo così duro che difficilmente si poteva intaccare. L’esquimese levò la legatura senza che l’osso scattasse, se lo appese alla cintola, poi armatosi dell’arpione invitò Sandoé a seguirlo dicendo a MacDoil:
– Rimanete nel canotto e trattenete Kamo o gli orsi fuggiranno.
Salirono sul banco e s’avanzarono fra i picchi di ghiaccio e gli hummoks, con grande prudenza, potendo trovarsi da un istante all’altro dinanzi agli orsi.
Il freddo era acutissimo, soffiando il vento del nord il quale produce sui termometri degli abbassamenti straordinari di 15° e perfino di 25°, ma Sandoè” e l’esquimese, già abituati a quei climi rigidi, lo sopportavano bene senza lagnarsi.
Dopo d’aver percorso trecento passi, Kalutunak s’arrestò, indicando al compagno delle tracce impresse sulla neve.
– Gli orsi? – chiese Sandoé.
– Sì – rispose l’esquimese. – Ci hanno fiutati e sono venuti a spiarci.
– Che siano fuggiti?
– Io credo che siano affamati, essendo questo banco sprovvisto di foche.
– Dunque ci assaliranno.
– Certamente.
– Ma io, cosa devo fare, che non ho che un meschino coltello?
– Fuggire più lesto che potrete.
– Allora era inutile che ti seguissi, se vuoi affrontarli tu solo.
– Non li affronterò, poiché fuggirò anch’io.
– Dunque, cosa vuoi fare?
– Far mangiare all’orso l’osso di balena.
– E perché?
– Per farlo morire.
– Ma tu sei pazzo, Kalutunak.
– Ancora? – disse l’esquimese, sorridendo. – Aspettate che l’orso lo inghiotta e poi vedrete.
– Lo mangerà innanzi tutto?
– Come un boccone di carne. Lo crederà un bel pezzo di grasso e lo manderà giù.
– E poi?…
– Poi il calore dei suoi intestini scioglierà il grasso, l’osso scatterà di colpo e lacererà gli intestini.
– Fulmini!… Se Mac-Doil fosse qui, aggiungerebbe i suoi «lampi» e credo che avrebbe ragione. Non ho mai udito parlare d’un simile modo di caccia.
– Vedrete l’esito. Ho cacciato parecchi orsi con un osso di balena rivestito… Oh oh!… Avete udito?…
– Sì, il nitrito d’un orso – rispose Sandoé, girando all’intorno due occhi spaventati.
– Credo che sia giunto il momento di mettere al lavoro le gambe.
– Non ancora.
– E se i due orsi si gettano contro di noi?… Lo sai che corrono molto lesti?
– Lo so, ma sono anche molto curiosi.
– Cosa vuoi dire?…
– Che se vi raggiungono, vi consiglio di gettare via il vostro berretto, poi i vostri guanti ed anche la vostra giacca, se sarà necessario.
– E perché?…
– Essendo gli orsi curiosissimi, si fermeranno per fiutare gli oggetti che avrete gettati e vi lasceranno il tempo di guadagnare via. D’altronde il canotto non è lontano e Mac-Doil non esiterà a lanciare Kamo se ci vede in pericolo.
Ohah!… Ancora!… Stiamo in guardia.
Aveva appena pronunciate quelle parole che dal dietro di una piramide di ghiaccio videro uscire gli orsi. I due animali, che dovevano essere molto affamati, s’arrestarono un istante come fossero sorpresi di quell’improvviso incontro, poi si gettarono contro Sandoé e l’esquimese, mostrando i robusti denti e le lunghe unghie.
– Fuggite!… – gridò Kalutunak.
Sandoé non aveva atteso l’ordine. Trovandosi assolutamente inerme, si era messo a correre come un daino, vigorosamente inseguito dal maschio il quale era di statura straordinaria. Quantunque avesse le gambe lunghe, il cacciatore s’accorse ben presto che l’avversario guadagnava via e che lo avrebbe di certo raggiunto prima di toccare la sponda del banco. Ricordandosi dei consigli dell’esquimese, si levò il berretto e lo scagliò da una parte. L’orso, vedendo quell’oggetto cadere in mezzo alla neve, vi si precipitò sopra credendolo forse un commestibile; lo fiutò, lo voltò più volte, poi si ripose in caccia, ma ormai l’isolano era giunto sulla sponda ed era balzato nel canotto.
L’esquimese sbucava allora fra due piramidi di ghiaccio. In pochi slanci raggiunse i compagni, gridando:
– Presto, ai remi!…
Il canotto prese rapidamente il largo, allontanandosi dal banco. L’orso si era arrestato sul margine, indeciso fra il rimanere o continuare l’inseguimento, poi si gettò risolutamente in acqua nuotando furiosamente.
Il mostro balzava innanzi uscendo più di mezzo dall’acqua e mandava sordi nitriti.
Malgrado la sua mole, filava più rapido del canotto, facendo schizzare l’acqua a destra ed a sinistra.
– Arrancate! Arrancate! – gridò Mac-Doil, che aveva pure afferrati i remi.
– Se ci raggiunge rovescerà il canotto!
I due cacciatori e l’esquimese maneggiavano disperatamente i remi, ma erano esausti dal lungo digiuno ed il canotto era troppo carico per procedere lesto.
Erano sforzi inutili contro quel robusto nuotatore che poteva inseguirli per trenta o quaranta miglia senza stancarsi.
Si erano già allontanati tre miglia dal banco, quando Sandoé si lasciò sfuggire un remo. Il pover’uomo non ne poteva più ed anche Mac-Doil, sfinito per la perdita di sangue, si sentiva impotente a continuare la faticosa manovra.
– Kalutunak, il rampone – disse Sandoé. – Non ho più forze.
L’esquimese lasciò andare i remi ed impugnò l’arma, mentre Kamo abbaiava con furore, preparandosi a balzare in acqua.
– Bada di non mancarlo – disse Mac-Doil afferrando un remo.
– Non temete – rispose Kalutunak.
L’orso non distava che trenta passi. Con pochi slanci superò la distanza e si precipitò verso il canotto cercando di affondarlo a poppa, però l’esquimese gli vibrò un colpo d’arpione fra le fauci spalancate, lacerandogli il palato ed attraversandogli la lingua.
Il mostro mandò un urlo feroce e s’immerse lasciando alla superficie una larga macchia di sangue. Ricomparve venti passi più lontano, ma pareva che non avesse più intenzione di ritentare l’assalto.
Tornò ad inabissarsi, poi ritornò a galla a maggior distanza. Egli fuggiva cercando di raggiungere un altro banco di ghiaccio che andava alla deriva verso il sud-ovest.
– Inseguiamolo – disse Sandoé. – Forse sta per morire.
– Non così presto – rispose Mac-Doil. – E poi siamo troppo stanchi per gareggiare con lui. Torniamo al banco.
Mentre l’orso scompariva in mezzo ai ghiacci, i due cacciatori e l’esquimese riprendevano i remi per raggiungere il banco, il quale andava pure alla deriva verso il sud-ovest. Quando vi approdarono, udirono delle urla acute che risuonavano fra le piramidi di ghiaccio.
– È l’orso che sta per morire – disse l’esquimese. – Il calore degli intestini ha sciolto il grasso e l’osso è scattato.
Legarono il canotto ad un hummok e salirono sul banco seguiti dal molosso, il quale già brontolava minacciosamente come se si preparasse alla lotta.
Girate alcune piramidi di ghiaccio, i tre cacciatori videro l’orso sdraiato in mezzo alle neve. La povera bestia lanciava urla strazianti e si dibatteva disperatamente, come fosse stata assalita da atroci dolori.
Kamo le balzò addosso con furore, azzannandola alla gola. La fiera tentò di respingerlo colle zampe anteriori, però le forze tosto le mancarono e si distese sulla neve, mentre Kalutunak le vibrava un colpo di rampone in direzione del cuore.
I tre disgraziati, che da quaranta ore non avevano inghiottito una briciola di pane, si gettarono su quel corpo ancora scosso dalle ultime strette dell’agonia e, applicate le labbra alle ferite, succhiarono avidamente il sangue caldo che ne usciva.
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