Erano trascorsi due giorni dopo la scomparsa del cetaceo o della testuggine gigante che fosse.
I due cacciatori, non più inquietati da quei fischi poderosi e da quei gorgoglìi inesplicabili, avevano riprese le loro battute nell’interno dell’isola e lungo le spiagge per accumulare un bel numero di pellicce per la Compagnia Russo-Americana.
Parecchie volpi, delle martore, delle linci polari, delle donnole, qualche zibellino ed altre quattro lontre erano cadute sotto le loro palle, assicurandosi un bel numero di dollari in così breve tempo.
Cominciavano già a scordare il mostro marino, quando la terza notte un avvenimento inesplicabile glielo richiamò alla memoria, facendo incollerire Mac-Doil e spaventare non poco Sandoé.
Stavano aspettando delle volpi, che si erano mostrate in grosso numero in una piccola valle situata presso le coste occidentali dell’isola, tenendosi appiattati dietro un’alta rupe che si ergeva su di un’altura.
Sandoé aveva accesa la sua pipa e fumava tranquillamente sdraiato in mezzo ad un tappeto di muschi, mentre Mac-Doil, appoggiato alla rupe, col fucile in mano, guardava distrattamente la luna che pareva emergesse dal mare fra uno scintillìo d’argento.
Si trovavano colà da un quarto d’ora aspettando le prede, quando il molosso, che stava accovacciato presso Sandoé, s’alzò emettendo un lungo brontolìo e volgendo la testa verso il sud:
– Le volpi? – chiese Sandoé, disponendosi ad alzarsi.
– Non le vedo – rispose Mac-Doil, lanciando un rapido sguardo verso l’estremità della valletta.
– Kamo deve sentirle.
– No, poiché guarda verso il mare.
– Che ritorni…
– Quel dannato mostro?…
– Sì, MacDoil.
– Non mi rincrescerebbe e… Toh!. Guarda sul mare, Sandoé… Oh!… Questo è un bel mistero!…
– Corna di narvalo!… Cosa vedi?… – chiese il compagno, balzando rapidamente in piedi. Guarda!…
Sandoé guardò nella direzione che Mac-Doil gli additava e vide, non senza un po’ d’inquietudine, un fuoco che scorreva sul mare, quasi a fior d’acqua.
– Cos’è, Mac-Doil? – chiese con ansietà.
– Non lo so – rispose il compagno che non pareva meno inquieto.
– Una bodarkia1 aleutina?
– No, Sandoé. Quel fuoco è proprio a fior d’acqua.
– Forse un kayak!2-…
– Hai mai veduto uno di quei piccoli battelli correre con una simile velocità?…
Nella mia gioventù sono stato mozzo e ti dico che quel punto luminoso fila più rapido d’un battello a vapore della Compagnia dell’Alaska.
– Che sia la bocca di qualche pesce?… Mi hanno detto che i pescicani di notte hanno le fauci illuminate.
– è vero, ma non può essere un pescecane come non può essere il fanale d’una nave. Ah!… Per mille milioni di foche!… Guarda, Sandoé, Guarda!…
Quella luce rossastra che pareva prodotta da un fanale munito di un potente riflettore, erasi bruscamente spenta ed in sua vece era comparso un fascio luminoso il quale si proiettava sulle coste dell’isola avanzando dal nord al sud, come se gli sconosciuti che la dirigevano volessero studiare la configurazione di quelle spiagge.
Quella luce bianca, anzi azzurrina, due volte passò sopra la roccia occupata dai cacciatori, ma senza arrestarsi, poi anche quella si spense e non si udì altro che un lungo sibilo seguito da una specie di gorgoglìo simile a quelli che erano stati uditi sulle coste settentrionali tre notti prima.
Mac-Doil e Sandoé, stupefatti, non avevano osato muoversi e si erano lasciati quasi accecare da quel misterioso bagliore, che pareva sorgesse dalle profondità del mare. Quando non videro più nulla, né udirono altri rumori, una parola sfuggì alle loro labbra.
– Bisogna andarsene.
– Al diavolo le lontre, le volpi e le martore – aggiunse poi Sandoé. – Quest’isola è stregata ed io non ci tornerò più mai.
– E nemmeno io, amico mio. Qui succedono certi misteri da spaventare tutti i più intrepidi cacciatori della Compagnia.
– Andiamocene e presto, MacDoil.
– Sì, ma… e come lasceremo l’isola?… Il battello della Compagnia non giungerà prima del
14 giugno per portarci i viveri e rinnovarci le munizioni ed oggi, se non m’inganno, siamo al 12 di maggio.
– Costruiremo una zattera e cercheremo di rifugiarsi ad Attu.
nota: 1. Barca colle costole formate di ossa di balena e coperte di pelli di foca. Può portare sei od
otto persone.
2 Piccolo canotto di pelli cucite, montato da un solo uomo.
– E se incontriamo il mostro?…
– Corna di narvalo!… Ma credi che quella luce la proiettasse il mostro?…
– Non hai udito il fischio?…
– Sì, Mac-Doil, ed anche il gorgoglìo.
– Non vuole decidersi a lasciare le acque di quest’isola.
– E perderemo le lontre.
– E non ci lascerà più dormire.
– Mac-Doil, bisogna andarsene.
– Sì, ma col battello a vapore della Compagnia. Mio caro, lasciamo che il dannato mostro fischi a suo talento ed illumini l’isola e diamo addosso alle volpi, alle linci, alle martore ed ai zibellini ed il 14 giugno torneremo alla baia di Cuscoquim.
Se gli altri cacciatori rideranno delle nostre paure, li pregheremo di venir qui e vedrai che torneranno anche loro più che presto. Sandoé, andiamo alla capanna; per questa notte le volpi non si mostreranno con quella luce che hanno veduto.
– Lo credo anch’io. Andiamo, MacDoil.
Rifecero la strada percorsa, volgendo però di frequente gli sguardi al mare, sperando di vedere ancora quell’inesplicabile bagliore, ma pareva che il cetaceo si fosse immerso per gustare forse un po’ di sonno.
Quando giunsero alla capanna erano le due del mattino e la luna stava tramontando. Lasciarono il molosso all’aperto per avvertirli nel caso che accadesse qualche avvenimento straordinario e si sdraiarono sulle loro pelli d’orso, contando all’indomani di visitare le coste orientali dell’isola per cacciare gli zibellini che si erano mostrati abbastanza numerosi fra quei piccoli boschetti.
Quantunque fossero stanchi, avendo cacciato buona parte della giornata, non furono capaci di chiudere gli occhi. Sembrava loro di udire ad ogni istante dei gorgoglìi e dei fischi, dovevano però ingannarsi, poiché il molosso non dava segno di essere inquieto.
Qualche volta lasciavano perfino le loro calde pellicce per vedere se quella luce si proiettava ancora sull’isola, ma senza risultato. Pareva che il mostro si fosse allontanato od addormentato.
Stanchi da quella veglia, verso il mattino si erano finalmente assopiti. Quel sonno fu di breve durata, poiché verso le sei quando il sole cominciava a sorgere, furono bruscamente svegliati da una detonazione.
Mac-Doil era lestamente balzato in piedi, afferrando la sua carabina che teneva sempre a portata della mano, mentre Sandoè esclamava:
– Hai udito?…
– Sì – rispose l’ebridano.
– Un colpo di fucile?…
– Di carabina con grossa carica. Fulmini!…
– Per centomila trichechi!…
– Che sia il cetaceo?…
– Che spara dei colpi di fucile!… Sei pazzo, Sandoè?…
– Se l’isola è deserta!…
– Che sia il battello della Compagnia?…
– O una nave che da la caccia al mostro?…
-Fuori, Sandoè!… Fuori!…
Si sbarazzarono delle pellicce ed uscirono precipitosamente, portando con loro le armi. Al di fuori il molosso abbaiava con furore, guardando verso il nord. Pareva che si preparasse ad assalire un nemico invisibile.
I due cacciatori guardarono verso il mare. In nessuna direzione scorsero alcuna nave, né all’orizzonte alcun pennacchio di fumo che indicasse la vicinanza d’un piroscafo, né alcuna macchia biancastra o grigiastra che segnalasse l’approssimarsi d’un veliero qualunque. Nemmeno il mostro marino si scorgeva in alcun luogo.
Mac-Doil e Sandoé, che una vaga paura cominciava a rendere inquieti, si guardarono l’un l’altro con stupore.
– Amico Sandoè – disse l’ebridano. – Qui accadono certe cose, che fanno venire la pelle d’oca anche a me. Se tu…
La frase gli fu troncata da un’altra detonazione, che era echeggiata dietro alcune rupi situate a cinquanta passi dalla capanna.
– Un altro sparo! – esclamò Sandoè.
– Qualcuno caccia laggiù – disse Mac-Doil, il cui stupore non aveva più limiti.
– Non si può ingannarsi: è un colpo di carabina e di grosso calibro.
– Sì, guarda quella nuvoletta di fumo che striscia lungo l’angolo di quella rupe.
– Per centomila foche!… Voglio vedere chi sarà quel cacciatore caduto dal cielo o sorto dal mare.
– Anch’io, MacDoil.
– Tieni Kamo pel collare ed andiamo.
Armarono per ogni precauzione i fucili e si misero a correre verso le rocce che celavano quel nuovo cacciatore che prima non avevano mai veduto, quantunque avessero già percorso parecchie volte l’isola dal nord al sud e dall’est all’ovest.
Il molosso intanto continuava ad abbaiare e cercava di liberarsi dalle mani di Sandoé per precipitarsi innanzi; il cacciatore, sapendo quanto era feroce quel gigante della razza canina, lo teneva stretto.
In pochi minuti attraversarono una piccola valletta che li separava dalle rocce e girata una collinetta, si trovarono viso a viso con due sconosciuti che stavano scuoiando tranquillamente una volpe ed una lince, abbattute di certo con quei due colpi di fucile. Uno poteva avere trentasei o trent’otto anni. Era un uomo di statura piuttosto alta, con una faccia coperta da una folta barba tenuta con cura, occhi cerulei, naso un po’ arcuato ed indossava un vestito di pelle di foca attillato, alti stivali di cuoio e sul capo portava un berretto di pelle di lontra.
L’altro era più giovane di sette od otto anni, più basso e più tozzo, coi lineamenti
più ruvidi, la pelle abbronzata, gli occhi più oscuri, con una barba bionda ma incolta ed aveva l’aspetto d’un marinaio. Vestiva come il compagno, sul capo però portava un berretto di grosso panno azzurro cupo, simile per la forma a quello usato dai mozzi.
Entrambi poi tenevano presso di loro delle splendide carabine a doppia canna, col calcio terminante in una placca d’acciaio, curvata in modo da poter poggiare comodamente l’arma alla spalla.
Vedendo i due cacciatori, si erano alzati guardandoli con viva curiosità, poi colui che pareva il padrone o il comandante, disse loro in inglese e con perfetta urbanità.
– Buon giorno, signori.
Mac-Doil e Sandoé erano rimasti così sorpresi nel trovarsi dinanzi a quei due sconosciuti, che subito non trovarono parole, poi il primo restituì il saluto benché con un certo imbarazzo.
L’uomo d’alta statura se ne accorse, poiché disse, sorridendo:
– Siete sorpresi, a quanto sembra, di trovare degli uomini su quest’isola.
– Infatti, signore, lo siamo – rispose Mac-Doil. – Fino a ieri sera l’isola era deserta.
– Lo credo, essendo noi giunti solamente stamane – disse lo sconosciuto, sempre sorridendo.
– Ma… scusate signore, – disse l’ebridano sempre più imbarazzato, – con quale nave siete approdati?
– Col mio battello.
– E venite, se è lecito saperlo?…
– Da Attu, dove ho lasciato la mia nave.
– Una bella traversata in fede mia, se l’avete compiuta con un battello.
– Non dico il contrario.
– E siete venuti a cacciare qui?…
– Mi avevano detto che su quest’isola avrei trovato della selvaggina abbondante e sono venuto per cacciarla.
– E vi fermerete molto?
– Alcuni giorni.
– Allora possiamo offrirvi ospitalità nella nostra capanna. Non è una comoda casa, tutt’altro, ma sarete al riparo dai venti del nord che soffiano freddissimi alla notte.
– è una offerta che mi guarderò bene dal rifiutare signor…
– Harry MacDoil.
– Signor MacDoil.
Poi volgendosi verso il suo compagno, che durante quel colloquio non aveva pronunciata una sillaba, gli mormorò alcune parole in una lingua che né l’ebridano, né Sandoè avevano mai udita.
Il marinaio fece un cenno affermativo col capo e si allontanò dirigendosi verso la spiaggia che era lontana appena trecento metri, ma che si poteva scorgere solamente in parte, essendo difesa da alte scogliere.
– Sono pronto a seguirvi – disse lo sconosciuto, rivolgendosi a MacDoil.
– Volete venire alla capanna, signor…
– Orloff- disse il cacciatore straniero, inchinandosi leggermente.
– Venite, signor Orloff- continuò Mac-Doil. – Forse avrete fame, avendo passata la notte in mare.
– Ed il vostro compagno? – chiese Sandoé.
– Non abbiate timore, ci troverà avendomi già segnalata la vostra capanna.
Lo straniero raccolse le due pellicce e seguì i due cacciatori con passo agile, con quel dondolìo che è particolare agli uomini di mare abituati lungamente al rollìo delle navi.
– Avete un magnifico cane – disse ad un tratto, guardando Kamo che saltellava dinanzi a
Sandoè. – Non deve temere nemmeno gli orsi bianchi.
– No, signor Orloff – rispose Mac-Doil. – È capace di tenere testa anche ad una tigre.
– Ecco un animale che sarebbe prezioso per gli esploratori polari.
– Lo credo.
– Lo cedereste, se qualcuno volesse acquistarlo?
– No signore. È il nostro fedele compagno.
– È vostro, signor MacDoil?
– Sì e l’ho acquistato tre anni or sono al Kamsciatka.
Il signor Orloff tacque, ma continuava a guardare il molosso, ed i due cacciatori con particolare attenzione, ammirando forse la potente muscolatura dell’ebridano e l’agilità di Sandoè.
Giunti alla capanna, Mac-Doil lo invitò ad entrare, dicendo con cortesia:
– Non possiamo offrirvi di meglio, troverete però delle calde pellicce per riposarvi e che noi siamo ben lieti di cedervi ed un fornello che ben presto farà bollire delle pentole.
– Grazie – rispose il signor Orloff. – Non mancherò di approfittare della vostra ospitalità.
– Vi avverto che la capanna è ingombra di oggetti disparati.
– Sono abituato alle cabine delle navi e non sono meno ingombre.
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