I due cacciatori, risoluti a scovare il misterioso animale o cetaceo che fosse, che coi suoi formidabili gorgoglìi e coi suoi fischi potenti spaventava le lontre
marine, si erano messi animosamente in marcia, per perlustrare le coste settentrionali dell’isola.
Uno sguardo, innanzi a tutto, a questi due personaggi. Mac-Doil i lettori ormai lo conoscono, ma in quell’epoca non aveva che poco più di trentadue anni. Era assai più robusto, più muscoloso, aveva i capelli biondo-oscuri, la pelle abbronzata dai soffi del vento e dai raggi del sole che è quasi ardente, in quelle regioni, durante la stagione estiva così breve, quantunque d’inverno perda tutto il suo calore. A quell’epoca portava la barba intera ed incolta, mancandogli troppo sovente il tempo per radersela.
Il suo compagno invece non aveva più di ventiquattro o venticinque anni. Era alto, asciutto come un basco, tutto gambe e braccia, con una carnagione ancora rossa, due occhi azzurri, capelli biondo-pallidi, baffetti appena nascenti.
Indossavano entrambi casacche di pelle d’alce strette alla cintola da una larga fascia di pelle di cane sostenente il coltello da caccia, la fiaschetta della polvere e la bisaccia delle palle; calzoni di grosso panno azzurro-cupo stretti da alte uose di pelle di foca e grosse scarpe ferrate. Sul capo portavano invece un berretto di raccoon ossia di procione lavatore, colla coda cadente sulle spalle.
Gettati i fucili in ispalla e riaccese le pipe, i due cacciatori di lontre, sempre preceduti dal molosso, si cacciarono fra le vallette dirupate che dovevano condurli sulla spiaggia che desideravano visitare.
Quell’isola o meglio quell’isolotto, era uno dei più piccoli del gruppo delle Nahe, pure aveva una lunghezza di quattro miglia ed una larghezza di tre a tre e mezzo. Era l’ultimo verso l’occidente ma anche il più sterile, il più dirupato ed appunto per questo mai era stato prima abitato dagli scarsi aleutini che si sono divisi le terre migliori di quella vastissima fascia d’isole.
Era, come tutte le altre, un picco vulcanico, sorto dalle onde in seguito a chissà quale spaventevole convulsione del fondo marino, tutto crepacci, buche, avvallamenti, frane antiche, gole e burroni quasi impraticabili che facevano faticare assai i due cacciatori, sebbene fossero abituati alle lunghe marce nell’interno e sulle coste dell’Alaska.
Radi uccelli si mostravano entro quelle vallette, tenendosi per lo più presso la spiaggia, ma non scarseggiavano i piccoli animali da pelliccia.
Di tratto in tratto delle volpi, animali comunissimi in tutte le Aleutine, che vennero precisamente perciò chiamate anche isole delle Volpi, s’alzavano dinanzi ai cacciatori, ma senza troppo affrettarsi ed arrestandosi a pochi passi per guardarli curiosamente; oppure balzavano fra le rocce delle bellissime mustele, lunghe mezzo metro, somiglianti alle martore, colla coda villosa, il pelame bruno, la testa grigia o bianca, attivamente ricercate dai cacciatori della Compagnia Russo-Americana i quali ne uccidono non meno di cinquantamila all’anno.
Altre volte era invece qualche zibellino, animaletto piccolo ma robusto, colla testa acuminata, la coda lunga e grossa, il pelame splendido, morbidissimo, bruno fuligginoso a riflessi azzurri ed i fianchi giallo-rossastri e le cui pellicce non si pagano meno di trecento lire e talvolta perfino cinquecento.
I due cacciatori però non si occupavano di quella selvaggina, contando di fare più tardi delle battute regolari. Era troppa la curiosità che li spingeva verso le coste settentrionali, per arrestarsi a sparare delle fucilate.
Dopo un’ora di cammino e dopo d’aver varcate parecchie alture rocciose, giungevano sulle spiagge settentrionali dell’isola, là dove avevano udito echeggiare quell’inesplicabile gorgoglìo.
In quel luogo l’isola descriveva una curva rientrante, formando una specie di baia aperta ai venti del settentrione e dell’oriente. L’acqua però era tranquilla là dentro, stendendosi al di là di quel semicerchio una doppia linea di scogliere, le quali rompevano l’impeto dei flutti. Quelle sponde non erano abitate che da poche procellarie e da bande di gabbiani e quegli uccelli parevano niente affatto spaventati, perché volteggiavano tranquillamente qua e là e di tratto in tratto si precipitavano fra le onde a pescare i pesciolini ed i piccoli granchi.
– Vedi nulla, Sandoé? – chiese Mac-Doil, dopo d’aver gettato un rapido sguardo su quelle sponde. – Io voglio essere divorato da un orso bianco se scorgo qualche cosa di sospetto.
– Non vedo nulla – rispose il giovanotto. – Giro gli sguardi da ogni parte ma senza risultato.
– Che il cetaceo, ammesso che lo sia, abbia preso il largo?
– Sarebbe una fortuna per noi.
– Ed una disgrazia per le povere lontre, è vero Sandoè?
– Sì e penso che…
La frase gli fu spezzata da alcuni latrati sonori lanciati da Kamo.
I due cacciatori guardarono dov’era il molosso e lo scorsero in cima ad una rupe tagliata a picco sul mare. L’enorme cane che poco prima pareva tranquillo, ora era in preda ad una viva irritazione.
Curvo sul mare, guardava attentamente le onde che s’infrangevano, con sordi fragori, ai piedi della roccia ed il suo folto pelame a poco a poco diventava irto. Latrava con furore, mostrava i formidabili denti ed emetteva dei brontolìi minacciosi.
– Che Kamo abbia scoperto il nostro cetaceo? – chiese Mac-Doil. – Bisogna che quel diavolo di cane abbia un serio motivo per mostrarsi così irritato.
– Andiamo lassù – disse Sandoé. – Forse potremo scorgere qualche cosa.
– E possiamo anche lanciare il rampone.
Lasciarono la spiaggia e scalarono rapidamente la rupe, sulla quale il molosso continuava ad abbaiare ed a brontolare.
Giunti lassù si curvarono, ma nulla scorsero che potesse giustificare, almeno pel momento, l’irritazione del cane.
– Non vedo assolutamente nulla – disse MacDoil.
– E nemmeno io – aggiunse Sandoé. – Pure ci deve essere qualche cosa sotto questa rupe.
– Lo sospetto anch’io, l’acqua però è torbida. Se il vento cessasse si potrebbe vedere… Oh!… Guarda attentamente, Sandoé.
– Cosa vedi?
– Delle bollicine d’aria che salgono dal fondo del mare e che si rompono alla superficie.
– Fulmini!… È vero, MacDoil.
– Ciò significa che il mostro che lancia quei fischi si trova nascosto lì sotto.
– Lo credo anch’io e poi Kamo non sarebbe così inquieto, né abbaierebbe in simile modo.
– Sarei lieto di poterlo vedere, Sandoé.
– E non ci assalirà?
– I mostri del mare non salgono a terra.
– Potrebbe essere un anfibio di nuova specie.
– Le nostre gambe sono leste, specialmente le tue che sono così lunghe.
– Allora scoviamolo.
– Ed in qual modo?
– Abbiamo il rampone, Mac-Doil.
– è vero: dammelo.
Mac-Doil impugnò l’arma, una specie di lancia lunga due metri, col ferro largo, in forma d’un V e coi margini interni assai grossi. Si curvò sulla rupe, mentre Sandoé faceva tacere il molosso e guardò attentamente, sperando di scoprire il misterioso mostro marino, ma l’acqua era ancora troppo torbida. Pure si vedevano sempre salire dal fondo delle bollicine d’aria, le quali si succedevano senza tregua.
Alzò la formidabile arma adoperata dai balenieri per uccidere le gigantesche balene, poi la scagliò con tutta la forza del suo braccio.
Il rampone s’immerse rapido come una freccia, si udì un colpo sordo che aveva qualche cosa di metallico, poi tornò alla superficie trasportato a galla dall’asta di legno.
– Per centomila foche! – brontolò Mac-Doil, al colmo della sorpresa. – L’arma ha colpito ed è tornata a galla!…
– E colla punta smussata – aggiunse Sandoé che era diventato pallido.
– Come va questa istoria?…
– Che il rampone si sia rotto contro qualche roccia?…
– No, Sandoé. Ho udito un suono strano, come se la punta fosse rimbalzata contro una lastra di metallo.
– Che il mostro sia corazzato?…
– Non ho mai udito narrare che vi siano dei mostri marini con delle piastre metalliche.
– Possono essere d’osso.
– Sandoé, comincio ad essere inquieto.
– Ed io comincio ad aver paura, MacDoil.
– Proviamo a mandare a quel mostro un paio di palle.
– Rimbalzeranno come il rampone.
– Lo vedremo, Sandoé.
I due cacciatori puntarono le armi e le scaricarono nell’istesso momento. Le due detonazioni erano appena cessate, quando videro irrompere dalle profondità del mare due getti enormi d’acqua, i quali investendo la sommità della rupe mandarono a gambe levate Sandoé, Mac-Doil ed anche il cane.
Non vollero saperne di più. Temendo che il mostro si preparasse a tornare a galla e che potesse giungere sulla roccia, i due cacciatori ed il cane, bagnati come pulcini, si precipitarono verso l’interno dell’isola, gareggiando a chi più correva.
Non s’arrestarono che a quattrocento passi dalla spiaggia, su di un’alta collina rocciosa, dalla cui cima potevano scorgere quanto accadeva nella piccola baia.
– Al diavolo tutti i mostri!… – urlò Mac-Doil che pareva più furibondo che spaventato.
– Corna di narvalo!… Che getto!… – gridò Sandoé. – Una pompa a vapore non avrebbe fatto di meglio.
– Mi ha levato di colpo dalla roccia e per poco non mi faceva cadere in mare.
– Che sia stata una balena, MacDoil?
– Forse, ma di dimensioni colossali. Ho veduto molti cetacei nessuno però aveva un getto simile, anzi lanciano più una specie di vapore o d’acqua polverizzata che delle colonne liquide.
– Allora abbiamo avuto torto a fuggire.
– Lo credo anch’io, perché le balene non salgono a terra.
– Ritorneresti tu?…
– Certo, Sandoè. Voglio vedere quel mostro. Taci!…
Una nota possente, come lo squillo d’una tromba di dimensioni gigantesche, echeggiò verso il mare ripercuotendosi nelle gole delle colline con un fracasso impossibile a descriversi. I due cacciatori si guardarono in viso l’un l’altro, con una certa ansietà.
– Mac-Doil, battiamocela e lasciamo che il mostro se la goda a suo talento disse Sandoè. – Mi sento più sicuro sulle coste meridionali dell’isola.
– No, per centomila trichechi! – gridò il compagno. – Dovessi venire scaraventato in aria da un altro getto d’acqua, andrò a vedere il mostro.
– Allora ti accompagno, ma sii prudente.
– Non dubitare. Non si accorgerà della nostra presenza.
– Kamo abbaierà.
– Lo terrai pel collare. Vieni, Sandoè.
Scesero la collina tenendo il cane onde impedirgli di correre innanzi e giunti presso la rupe, si gettarono a terra, strisciando fra le rocce. Il molosso, minacciato da Sandoè, taceva ma di quando in quando faceva udire un sordo brontolìo.
Giunti sul margine della scogliera, sporsero le teste guardando giù. L’acqua che poco prima era torbida, forse in causa di qualche colpo di coda del mostro misterioso, ora era limpida fino ad una profondità di trenta o quaranta braccia ed attraverso a quel liquido d’un azzurro profondo alternato a riflessi verdastri, si potevano scorgere le cime nerastre delle rocce subacquee.
Bastò ai due cacciatori un solo sguardo per scorgere vagamente una massa enorme, oscura, di forma allungata, che pareva andasse restringendosi alle due estremità e che si trovava adagiata fra alcune rupi che chiudevano la piccola baia.
Dal centro di quel colosso sfuggivano numerose bolle d’aria le quali salivano in lunghe file alla superficie, dove si scioglievano istantaneamente.
– Lo vedi? – chiese Mac-Doil, con voce alterata.
– Sì – rispose Sandoè, con un legger tremito della voce. – È una balena?…
– Non so cosa dirti, perché non vedo né la coda, né la testa.
– È vero, Mac-Doil. Mi sembra che abbia più l’aspetto… non saprei come spiegarmi ma…
– D’un grosso sigaro Avana, vuoi dire?
– Sì, d’un Avana.
– Eppure deve essere un cetaceo. La sua pelle ha la medesima tinta oscura a riflessi metallici.
– Ma la testa? – insistette Sandoè.
– Eh per centomila foche!… Io non la vedo in alcun luogo.
– Allora non è una balena.
– E cosa vuoi che sia?… Un granchio forse?… O un coccodrillo?…
– Che sia una testuggine marina di dimensioni enormi?…
– Con quelle forme?… Non vedi che è lungo e sottile?…
– Sottile!… Quel mostro è largo almeno otto metri.
– Ma lungo almeno trenta.
– Pure, guardalo attentamente, Mac-Doil; non ti sembra di vedere, su quel dorso, come delle giunture che si direbbero scaglie?
– è vero, Sandoè. Corpo di centomila trichechi!… E vedo anche due grosse sporgenze. C’è da impazzire!
– E d’aver paura. Orsù, cosa facciamo?
– Sono risoluto a vedere questo mostro.
– Ancora?… Ma non vedi che non si decide a venire a galla?
– Lo costringeremo.
Stava per ricaricare il fucile, quando il mostro, come se avesse udite le sue parole, cominciò ad agitarsi, facendo spumeggiare l’acqua dalla parte dove doveva avere la coda. Cosa strana però. L’acqua non si alzava in ondate come fanno i cetacei quando mettono in movimento le loro piume mostruose, ma saliva vorticosamente, bianca come il latte, spumeggiando come se quel cetaceo possedesse delle eliche.
Ad un tratto fu visto salire di qualche po’ come se avesse l’intenzione di mostrarsi a galla, ma subito si mise a filare verso l’uscita della piccola baia con una rapidità prodigiosa e
scomparve verso il nord lasciandosi dietro due scie biancheggianti, le quali si mantennero a fior d’acqua anche parecchi minuti dopo.
– Fuggito!… – urlò MacDoil.
– E senza che abbiamo potuto vederlo – rispose Sandoè.
– Che il diavolo lo inghiotta!…
– E sarà tanto di guadagnato per noi. Almeno le lontre non si spaventeranno più.
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