L’imbarcazione che serviva da navicella conteneva una tale quantità di oggetti, da sorprendere qualunque persona, anche se fosse stato un aeronauta. Dispersi un pò alla rinfusa si vedevano casse, cassette, barilotti, coperte, tende, gomene, cilindri di metallo, coni bizzarri che sembravano imbuti, armi, una specie di pompa, ancore, barometri, termometri, remi, vele, cannocchiali, manichelle e infiniti altri oggetti di ogni genere.
L’ingegnere si levò dalla tasca un piccolo libro coperto di cifre e di parole e riscontrò, con cura estrema, i numeri impressi su tutti quegli oggetti. “Bravo, Simone!” disse rivolgendosi verso il negro, che continuava a battere i denti e a sgranare i suoi grandi occhi spaventati. “Vedo che non hai dimenticato nulla.”
“Malgrado la sua paura!” disse l’irlandese. “Per San Patrick mio patrono, mi pare che il vostro servitore sia stato preso da una grande tremarella!”
“Si abituerà, O’Donnell,” rispose l’Ingegnere. “È la prima volta che si trova su un pallone libero.”
“Suppongo però che abbiate già fatto qualche ascensione.”
“Sì, ma su un pallone frenato. Facciamo l’inventario di ciò che possediamo e cerchiamo di mettere un pò d’ordine nella nostra navicella.?
“Nella scialuppa, volete dire”.
“Infatti, è una vera imbarcazione, leggerissima. ma solida a tutta prova, e ci sarà di grande utilità nel caso che i nostri palloni dovessero cadere in mezzo all’oceano.”
“Ma quale metallo avete adoperato per costruirla? Si direbbe che sia una barra d’argento.”
“Ho impiegato uno dei metalli più leggeri, ma nello stesso tempo dei più solidi: l’alluminio. È un metallo che oggi è poco usato, ma che è destinato ad avere un grande avvenire. Ecco la nota delle nostre ricchezze: quattro barili di alluminio contenenti 330 litri d’acqua, 340 chili, due casse di biscotti, 200 chili: sei casse di carni conservate e conserve alimentari, 200 chili: cioccolato, bottiglie di liquori, due fucili, tre rivoltelle, munizioni, una scure, due coltelli, 90 chili; bussole, termometri, barometri, un sestante del punto, matite, carta e piccoli oggetti, 24 chili; piccola farmacia, 4 chili; tende, coperte, vestiti, una vela per la scialuppa, albero e remi, 36 chili; tre ancore, una da terra e due da mare, due piccioni messaggeri, 26 chili.”
“Tre ancore!” esclamò O’Donnell. “V’ingannate: io non ne vedo che una.”
“No, amico mio: ne possediamo tre. Quella che vedete lì e che ha la solita forma, è una: le altre due sono quei coni di alluminio che somigliano a imbuti.”
“Non vi comprendo.”
“Basta immergere uno di questi coni in mare, e subito si rovescia, si riempie d’acqua, e la resistenza che oppone basta, se non a fermare del tutto i miei palloni, almeno a rallentare assai la loro marcia.”
“Avete pensato a tutto, Mister Kelly.”
“Lo spero,” rispose l’ingegnere. “Una pompa premente, 8 chili…”
“Una pompa! Che cosa volete farne?”
“Per mantenere sempre gonfi i due palloncini.”
“Ma quali?”
“Quelli che stanno dentro nei due grandi palloni contenenti l’idrogeno. Mi spiegherò meglio più tardi. Dieci cilindri di idrogeno compresso, 24 chili…”
“Per cosa farne?”
“Per i miei aerostati. Comprenderete che io dovevo cercare il mezzo per mantenermi in aria il maggior tempo possibile, e ho immagazzinato in quei cilindri, mediante una pompa speciale di mia invenzione, ben quattrocento metri cubi di idrogeno.”
“E non scoppieranno i tubi?”
“No: almeno lo spero. Peso del battello, 72 chili; peso delle funi, 100 chili; peso dei nostri corpi… Quanto pesate?”
“Sessanta chilogrammi.”
“185 chili fra tutti e tre. Peso dei due aerostati, 602 chili; zavorra e altri piccoli oggetti, 758… Totale 2600. Va bene, O’Donnell?”
“È esatto,” rispose l’irlandese.
“Dunque noi possiamo disporre di quasi 800 chilogrammi di zavorra: un bel peso, in fede mia, ma necessario”
“Una cosa però non ho veduto, fra i tanti oggetti che ingombrano la scialuppa.”
“E quale?”
“Una cucina.”
“Oh, ghiottone! Mi ero dimenticato di avvertirvi, prima che saliste nella mia navicella, che sareste stato costretto a nutrirvi esclusivamente di cibi freddi.”
“Non era necessario: freddi o caldi, poco m’importa. Ho fatto l’osservazione non per me, ma per voi.”
“La cucina portatile è stata la prima cosa che ho eliminato dalla lista dei miei oggetti. Sopra il nostro capo vi è una specie di polveriera, e una scintilla basterebbe a farla scoppiare. L’idrogeno s’infiamma facilmente; ed ecco il motivo per cui ho rinunciato ad accendere il fuoco per tutta la durata del viaggio.”
“E proibito fumare, dunque.”
“No, vedete anzi che tengo anch’io una provvista di sigarette: ma alla prima fuga di gas vi consiglio di gettare nell’oceano, e senza ritardo, il vostro sigaro.”
“Non mancherò di farlo, Mister Kelly. Ora mi spiegherete il vostro sistema di palloni.”
“Bastano poche parole. Come vedete, i miei due palloni hanno la forma di due grandi fusi, lunghi ventotto metri ciascuno, del diametro di 9,20 metri al centro, più acuminati dinanzi che di dietro e del volume totale di 2120 metri cubi, ossia di 1060 ciascuno. Ho preferito questa forma, perché si presta meglio: se fossero stati due palloni ordinari gli urti fra di loro sarebbero stati frequenti, e per la loro rotondità sarei stato obbligato a tenere ad una distanza troppo grande la mia navicella.
Sembrano uniti; ma le loro maglie sono indipendenti l’una dall’altra, e con pochi colpi di coltello possono separarli. Se uno si guastasse, potrei facilmente lasciarlo cadere in mare senza lunghe manovre e farmi reggere dall’altro, gettando la mia provvista di zavorra e gli oggetti meno necessari. Entrambi sono muniti di due valvole: una situata in alto, detta di manovra, serve per la discesa; e per ottenere ciò, basta dare uno strappo a questo due corde fissate a poppa della navicella; l’altra, detta di sicurezza, è automatica, e serve a dar sfogo all’idrogeno quando si dilata per il troppo calore del sole. Senza di questa si potrebbe correre il pericolo di veder scoppiare i nostri palloni.
Quando raggiungeremo dei climi più caldi, vi toccherà sovente di sentire un acuto odore di gas. Sarà una perdita grave, ma necessaria per la nostra salvezza. Ma nei miei due palloni ho voluto introdurre un grande miglioramento, che è stato già studiato e anche adoperato, credo, da taluni aeronauti europei, e con risultati soddisfacenti, io ho avuto la massima cura nella scelta del tessuto di seta dei miei palloni e nella vernice interna ed esterna che doveva spalmarli; ma, come voi sapete, il gas fugge sempre anche attraverso i tessuti più impermeabili, e dopo un certo tempo l’aerostato perde la sua forza ascensionale, ricade e forma delle grandi pieghe, entro le quali s’ingolfa il vento, producendo talvolta delle lacerazioni. Io spero che col tessuto da me fatto appositamente fabbricare e verniciare, la perdita dell’idrogeno sarà minima, tanto più che i miei palloni, invece di essere semplici, hanno doppia coperta. Tuttavia fra otto o dieci giorni si sarebbero manifestate delle pieghe che sarebbero diventate assai pericolose, data la forma speciale del mio vascello aereo. Per ovviare a questo grave inconveniente e mantenere la superficie dei miei aerostati sempre tesa, ho posto in mezzo ad essi due piccoli palloni gonfi d’aria, introdotta con la pompa premente che avete veduto. Quando i due fusi perdono l’idrogeno, io gonfio sempre più i miei due piccoli palloncini i quali, aumentando il loro volume, costringeranno la superficie dei primi a rimanere sempre tesa.”
“Benissimo, Mister Kelly; ma quando i due palloncini saranno completamente gonfi, come farete ad aumentare il loro volume? Allora non potrete più evitare le pieghe che si manifesteranno nei due grandi aerostati.”
“Non ho portato con me i dieci cilindri di idrogeno compresso? Voi vedete che tutti e quattro i palloni, all’estremità inferiore, o, meglio, nel loro punto centrale, hanno quattro tubi che si prolungano fino a noi. Adatto i cilindri alle maniche dei due fusi e v’inietto dentro i miei 400 metri cubi di gas.”
“Per San Patrick, mio protettore! Voi avete pensato ad ogni cosa!” esclamò l’irlandese.
“Lo spero, O’Donnell; ma questo non è tutto. Se i due grandi aerostati perdessero poco idrogeno e il gonfiamento ad aria dei palloncini fosse sufficiente a mantenerli tesi, io potrei accrescere la forza ascensionale del mio vascello aereo, iniettando i miei 400 metri cubi di idrogeno nei secondi”
“Eliminando l’aria?”
“Sì. All’una sostituisco l’altro”
“E se tutto ciò non bastasse e il nostro vascello dopo un certo numero di giorni cadesse? Chissà, i venti possono spingerci lontano, sull’ampio oceano.”
“Ho pensato anche a questo, O’Donnell. Ho preso con me tre lunghe guide-ropes o meglio, tre funi moderatrici, del peso complessivo di 70 chili e d’ineguale lunghezza. Se il mio vascello si abbassa (e ciò avverrà senza dubbio tutte le notti, poiché con lo scemare del calore l’idrogeno si restringe, diminuendo considerevolmente la forza ascensionale), io lascio pendere le mie tre funi. Immergendosi, esse perdono una parte del loro peso specifico e alleggeriscono i palloni d’un peso non piccolo. Non bastano? Senza sacrificare la zavorra, calo i miei barili d’acqua, che sono chiusi ermeticamente nei loro recipienti di alluminio, e mi scarico due o trecento chilogrammi. Un’ora di sole basta a dilatare l’idrogeno e noi, a giorno fatto, risaliamo in alto, portando con noi i nostri barili e le nostre guide-ropes, sacrificando forse poche decine di chilogrammi di zavorra.”
“E se ancora ciò non bastasse e i nostri palloni scendessero per mancanza d’idrogeno?”
“Mi resta la scialuppa. Da aeronauti diverremo marinai e cercheremo di raggiungere la costa più vicina, o di incontrare qualche nave.”
“Ma voi avete eliminato tutti i pericoli.”
“Tutti no, O’Donnell. Un uragano può lacerarci i palloni, o un fulmine incendiarli, e noi precipitare in fondo all’oceano.”
“Speriamo di scendere sani e salvi in Europa, Mister Kelly.”
“Confidiamo in Dio e nel nostro Washington. Simone, versaci un bicchiere di whisky. Quassù fa freddo assai, e una sorsata di liquore ci farà bene e forse ci eviterà un raffreddore.”
Il negro non si mosse: sempre rannicchiato a poppa della scialuppa, con gli occhi strabuzzati, la pelle bigia, le mani convulsivamente strette attorno alle funi, pareva inebetito dallo spavento. Cercò di rispondere alla domanda del padrone; ma il solo rumore che gli uscì dalle labbra contratte fu uno stridìo di denti.
“Orsù, poltrone,” disse l’ingegnere. “Hai paura di precipitare nell’oceano? Bel compagno che ho scelto.”
“Ho… ho… paura massa (padrone)..” balbettò il negro con voce rotta.
L’irlandese proruppe in una fragorosa risata. “Siete comico, mastro Simone,” disse. “Non sareste stato voi di certo a tenere allegra compagnia al vostro padrone. Con vostro permesso, Mister Kelly, metto le zampe io sulla vostra cantina.”
L’irlandese che conservava il suo inalterabile buon umore, stappò una bottiglia e riempì tre bicchieri. “Hurrah per il Washington” gridò. Stava per accostare il bicchiere alle labbra, dopo aver toccato quello dell’ingegnere, quando un’acuta detonazione risuonò sotto l’aerostato. “Per San Patrick!” urlò, “cosa scoppia?”
“Una granata,” rispose Kelly, con voce tranquilla.
“Pare che agli inglesi prema assai di catturarvi. Bah! sarà polvere sprecata!”
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