Attacco notturno

L’inseguimento degl’indiani durò qualche ora. Essi volevano distruggere completamente la banda degli uomini bianchi prima che potesse giungere sulle rive del Rio Pecos e rientrare nel forte del capitano; però il loro tentativo parve che andasse a vuoto, essendo ritornati senza prigionieri e senza capigliature.
Se non erano riusciti nel loro malvagio intento, erano nondimeno rientrati nel campo carichi di bottino, avendo trovati nella foresta alcuni furgoni pieni di viveri che erano diretti al forte.
Probabilmente erano stati colà nascosti da Harry e dai suoi compagni, prima d’impegnare il combattimento con le pelli-rosse.
Vedendoli tornare carichi di botticelle contenenti forse dei liquori, di sacchi di granaglie e di molti bagagli, Randolfo si volse al vecchio guerriero per interrogarlo.
Pankiskaw dapprima levò la sua ascia sul prigioniero come se avesse voluto intimargli di non parlare sotto pena di rompergli la testa, poi depose l’arma, dicendo:
– Lungo Coltello è curioso. Pankiskaw non lo è; pure vuole accontentarlo. I miei fratelli hanno saccheggiato i furgoni degli uomini bianchi. Noi berremo molti liquori e Pankiskaw avrà la sua parte.
– Dove andavano gli uomini bianchi? – chiese Randolfo.
– Al forte.
– Conducevano un convoglio di viveri?
– Sì.
– E perché vi hanno assaliti?
– Per liberare te e le due ragazze.
– Sapevano che noi eravamo prigionieri?
– Devono essere stati avvertiti.
– Da chi?
– Dall’Alligatore del Lago salato.
– Non l’avevate fatto prigioniero?
– No, però la scure di Pankiskaw è lunga e lo raggiungerà.
– Sì, prendilo ora – disse Randolfo. – Baio ha le gambe lunghe e la tua scure è corta.
– Cosa dice Lungo Coltello? – chiese l’indiano con voce rauca.
– Che sei un rettile.
L’indiano alzò nuovamente la scure e questa volta pareva deciso a servirsene. Alcuni suoi compagni che si erano avvicinati gli trattennero il braccio, dicendogli nel loro linguaggio:
– Non ucciderlo; vogliamo condurlo nel nostro villaggio.
– Sarà per più tardi – rispose il vecchio guerriero.
Si rimise la scure alla cintura, poi volgendosi verso Randolfo gli disse:
– Andiamo, Lungo Coltello. Tu verrai nella nazione di Pankiskaw.
– A cosa fare? – chiese il giovane, rabbrividendo.
– A ballare attorno al palo della tortura – rispose l’indiano con un ghigno orribile.
– Perché non uccidermi ora?…
– Perché così piace a Pankiskaw – rispose il vecchio.
– E delle due fanciulle, cosa farete? – chiese Randolfo con angoscia.
– Pankiskaw non sa niente.
– Dove sono? Lasciate che le veda.
– Pankiskaw non sa nulla.
– Ti prego.
L’indiano questa volta si arrabbiò.
– Basta, Lungo Coltello!
Si alzò minacciandolo col pugno, poi calmandosi disse:
– Andiamo a conoscere la tua sorte.
I suoi compagni si erano radunati in mezzo all’accampamento e discutevano animatamente. Cosa dicessero Randolfo non poteva saperlo conoscendo malissimo la lingua dei comanci e poi anche perché si trovava troppo lontano.
Dopo d’aver parlato per parecchio tempo, li vide dividersi il bottino consistente in barili di acquavite, in granaglie, in stoffe, in pipe, in coltelli e utensili di varie specie.
Un uomo che pareva un capo e che aveva la pelle meno oscura degli altri e dei lineamenti più regolari, fece le parti, poi si alzò e salito a cavallo s’appressò a Randolfo guardandolo con attenzione.
Essendosi fermato a soli quindici passi, il prigioniero poté osservarlo.
Era un vecchio d’aspetto feroce, con una lunga barba bianca, cosa molto strana, avendo gl’indiani l’abitudine di strapparsi tutti i peli del mento.
Non aveva gli zigomi sporgenti né la fronte bassa delle pelli-rosse, e anche gli occhi erano diversi essendo più grandi e perfettamente orizzontali.
– Sembra più un uomo bianco che un indiano – mormorò Randolfo. – Chi sarà costui?… Qualche ladro della prateria che s’è fatto adottare dagl’indiani e che poi s’è fatto nominare capo?
Il vecchio, accortosi che anche Randolfo lo osservava, volse bruscamente le spalle e tornò presso i suoi guerrieri, facendo loro un discorso parte in lingua inglese e parte in una lingua sconosciuta al prigioniero. Da quanto Randolfo poté comprendere, il capo promettevasi altre vittorie ben più strepitose di quella ottenuta poco prima e dei bottini di maggior valore e un gran numero di prigionieri da scalpare.
Quel discorso parve che facesse un grande effetto sui guerrieri. Tutti circondarono il vecchio capo acclamandolo e agitando ferocemente i loro fucili, le loro asce ed i coltelli.
Calmatosi il baccano, il vecchio fece un segno ad un giovane guerriero e fece portare in mezzo all’accampamento un barile di acquavite e pel primo l’assaggiò manifestando la sua soddisfazione con degli oh!… e degli uh!… prolungati.
Tutti i guerrieri ebbero la loro parte tra un fracasso assordante, essendo ormai quasi brilli.
Vi furono danze, corse, lotte, poi il capo ordinò a tutti di rimettersi in sella.
Randolfo fu sciolto dalle corde che gli stringevano le gambe e fatto salire su di un cavallo. Gl’indiani non gli avevano però liberati i polsi, anzi avevano stretto di più le funi per impedirgli di tentare la fuga.
Pankiskaw si era messo a fianco del prigioniero, essendo incaricato di sorvegliarlo.
Il vecchio capo venne a stringere la mano al guerriero raccomandandogli di non perdere di vista il giovane bianco, poi, radunati venti guerrieri, diede a loro il comando di partire.
Randolfo comprese che la banda stava per separarsi.
Volse un triste sguardo verso la foresta, entro la quale forse si trovavano sua sorella e Telie e non poté trattenere due lagrime.
Già il vecchio capo stava per scomparire sotto gli alberi assieme a due giovani guerrieri, quando si udì un grido di donna.
Poco dopo Telie si slanciava fuori da un cespuglio e correva verso Randolfo cercando di abbracciarlo.
– Voi, Telie! – esclamò il prigioniero, stupito.
La ragazza con un’agilità incredibile si era arrampicata sul cavallo e abbracciava appassionatamente il giovane uomo piangendo e ridendo ad un tempo.
Il vecchio capo, che aveva udito quelle grida, era tornato indietro. Vedendolo comparire, la fanciulla lasciò Randolfo e si slanciò verso di lui, gridando:
– Padre! Salvate i miei amici!… Liberate questo giovane dalle corde. Voi me l’avevate promesso.
– Silenzio, pazza! – gridò il vecchio con accento ruvido.
Poi, afferrata Telie per le braccia, cercò di trascinarla con sé.
– No! – gridò ella, ribellandosi come una leonessa ferita. – Voi non siete un indiano per farvi complice di questa infamia!… Padre, ricordatevi della vostra razza!… Voi mi avevate data la vostra parola che non verrebbe fatto alcun male al fratello di miss Mary!…
E siccome il vecchio capo cercava ancora d’imporle silenzio e di trascinarla con sé, ella riprese con voce singhiozzante:
– Voi me l’avevate promesso, padre!… Me l’avevate promesso!…
– Pazza! – gridò il vecchio. – Io non ti ho mai promesso nulla. Io sono nemico della mia razza e amico delle pelli-rosse.
Telie si era liberata dalla stretta ed era tornata velocemente verso Randolfo aggrappandosi a lui disperatamente.
– Telie, obbedisci a tuo padre, se è vero che quel capo indiano sia veramente il tuo genitore – gli disse il giovane.
Il capo si era precipitato verso la figlia col coltello in pugno. Quel vecchio in quel momento era terribile a vedersi. Un istante di esitazione e forse la fanciulla era perduta.
– Telie, obbedisci – comandò Randolfo.
La giovane si staccò da lui piangendo. Il capo ne approfittò per dare un ordine a Pankiskaw.
Questi con una poderosa sferzata mise il cavallo di Randolfo al galoppo.
– Addio, Telie! – gridò il prigioniero. – Fa’ coraggio a mia sorella!…
Pankiskaw con due altri guerrieri lo avevano circondato per impedirgli di fuggire o di tornare indietro. Era una precauzione inutile, poiché Randolfo, troppo afflitto da quella scena, non pensava al suo cavallo.
Quella corsa rapidissima durò una mezz’ora, poi i cavalli si fermarono dinanzi ad un fiume il quale tagliava la via verso settentrione.
Mentre due indiani scendevano la riva per cercare un guado, Randolfo si volse verso Pankiskaw, chiedendogli:
– È veramente il padre di quella fanciulla, quel vecchio?
– Io non lo so – rispose l’indiano.
– Come si chiama?
– Cuor Duro.
– No, deve essere Abel Doc, scomparso sei o sette anni or sono dal forte del capitano Linthon.
– Si chiama Cuor Duro, ti ho detto.
– È un uomo bianco?
– Sì.
– Ed ora è vostro capo.
– Ed è uno dei più valorosi – rispose Pankiskaw. – Nessuno può eguagliarlo per audacia e per forza e anche per crudeltà. La sua razza non ha nemico più spietato di lui. Cuor Duro ucciderà un giorno anche Scibellok.
– È suo nemico quel misterioso cavaliere della foresta?
– Si odiano a morte. Basta, Lungo Coltello. Il guado è stato trovato.
Randolfo non credette opportuno insistere. Prima però di lasciare quella riva, si volse verso la prateria e credette di scorgere in lontananza la colonna di Abel Doc galoppare fra le erbe.
Un sospiro gli uscì dal petto.
– Povera sorella! – mormorò. – Cosa accadrà di te?…
Ricacciò in fondo al cuore l’emozione che minacciava di soffocarlo e seguì gl’indiani che avevano trovato il guado.
Il fiume scorreva molto rapido, però l’acqua non giungeva che al ventre dei cavalli, sicché il pericolo d’annegare era scongiurato.
Raggiunta la riva opposta, il drappello si cacciò in mezzo ai boschi che costeggiavano il corso d’acqua, accampandosi presso una sorgente d’acqua freschissima.
Randolfo che era tutto indolenzito avendo avuto sempre i polsi legati dietro al dorso, fu levato di sella e adagiato sull’erba.
Essendosi egli lagnato di quel barbaro modo di tenerlo così legato, Pankiskaw, obbedendo forse a degli ordini ricevuti, lo liberò dalle corde, minacciando però di ucciderlo con un colpo di scure al primo tentativo di fuga.
Gli fece dare un pezzo di carne arrostita, poi gli offerse perfino una bottiglia d’acquavite invitandolo a bere alcuni sorsi.
Randolfo non abituato ai liquori, la respinse.
– È buonissimo – disse il vecchio guerriero. – Un Lungo Coltello che si rifiuta di bere questo liquore fabbricato dai suoi fratelli! Pankiskaw non si farà il torto di gettare via questo succo squisito.
E unendo i fatti alle parole, vuotò l’intera bottiglia manifestando la sua soddisfazione con una serie di smorfie e di grida gutturali.
Alla notte Randolfo fu legato al tronco di un albero ed i guerrieri vegliarono per turno per impedirgli di prendere il largo.
Appena sorto il sole, il drappello ripartì avanzandosi nella grande prateria che s’estendeva verso settentrione, senza che si potessero vederne i confini.
Gl’indiani continuavano a condursi bene verso il loro prigioniero, anzi lo trattavano con una certa dolcezza parlandogli sovente in lingua inglese, non conoscendo Randolfo che pochissime parole dell’idioma comancio.
Anche Pankiskaw sembrava di buonissimo umore e allentava facilmente la corda che legava il prigioniero.
Gli batteva anzi familiarmente sulle spalle, gli parlava della sua nazione, delle praterie, dei fiumi e dei boschi che dovevano ancora attraversare prima di giungere negli accampamenti del settentrione.
Randolfo conobbe però presto il motivo di quell’incessante buon umore, veramente sorprendente in un vecchio e feroce guerriero.
Pankiskaw portava dietro la sella un barilotto d’acquavite e lo baciava con tanta frequenza che era quasi sempre mezzo ubriaco.
A forza però di bere troppo, il terzo giorno il vecchio cominciò a diventare di cattivo umore, anche perché il liquido contenuto nel piccolo barile spariva a vista d’occhio.
Avendolo Randolfo interrogato sulla durata del viaggio, il vecchio fu preso da un improvviso scoppio di rabbia.
– Lungo Coltello diventa noioso – disse, alzando la sua scure. – Se non terrà la lingua entro i denti, gliela taglierò con un colpo di scure.
– Il vecchio Pankiskaw si è ubriacato col liquore degli uomini bianchi? – chiese Randolfo ironicamente, mentre i due indiani, vedendo il loro capo vacillare sulla sella, non frenavano più le risa.
– Io ubriaco! – gridò la pelle-rossa. – Pankiskaw è il più grande cacciatore, il più grande guerriero ed il più grande bevitore della sua tribù. Io potrei ancora uccidere orsi, bufali, giaguari e coguari senza mancare ai miei colpi.
– Vorrei vederti alla prova – rispose Randolfo che si divertiva a stuzzicare il vecchio.
– Vuoi che cominci da te? – urlò il guerriero.
– Saresti capace di commettere una vigliaccheria? Un grande guerriero che vuol ammazzare un uomo legato!
– Voglio scioglierti le corde e provocarti ad una lotta terribile. Vedrai, Lungo Coltello, se Pankiskaw, il grande guerriero, è ubriaco.
Il vecchio stava per avventarsi verso Randolfo quando il suo cavallo incespicò repentinamente.
Il suo padrone, che era ormai ubriaco fradicio, perduto di colpo l’equilibrio, rovinò al suolo come un sacco di grano, rimanendo come fulminato.
I due giovani indiani vedendo il capo a cadere, si precipitarono verso il barilotto che conteneva ancora qualche litro d’acquavite e per mettersi un po’ di buon umore, in due minuti e forse meno, lo vuotarono.
Pankiskaw non si era però intieramente addormentato.
Alzò il capo udendo i suoi giovani guerrieri a gridare e vedendoli occupati a vuotare le ultime gocce di acquavite, fu preso da un altro impeto di rabbia.
Afferrò la scure e la scagliò verso di loro. L’arma male diretta, andò invece a spaccare il cranio al povero cavallo che portava il barilotto, facendolo cadere al suolo morto.
Quello sforzo aveva esaurito completamente le forze di Pankiskaw. Mandò un lungo brontolìo e si rovesciò fra le erbe, addormentandosi profondamente.
I due giovani guerrieri, invece di spaventarsi, accesero un gran fuoco, tagliarono un pezzo di cavallo e lo misero ad arrostire.
Mentre la carne si cucinava, fecero scendere Randolfo e lo legarono solidamente, non senza caricarlo d’insulti essendo anche loro un po’ ubriachi.
Dopo cenato, costrinsero il prigioniero a stendersi sull’erba e gli si misero ai fianchi per impedirgli di allontanarsi durante il loro sonno, impresa impossibile avendogli legate non solo le braccia, bensì anche le gambe e molto strettamente.
– Lungo Coltello non si muova o noi lo scotenneremo – disse uno di quei giovani guerrieri.
– Vedi bene che non potrei allontanarmi – rispose Randolfo.
– Io veglierò al tuo fianco ed al primo moto ti caccerò il mio coltello nel cuore, così non vedrai il paese abitato dalla mia nazione.
– Ho poco desiderio di vederlo.
– Né i nostri domini di caccia – continuò l’indiano reso loquace dall’acquavite bevuta.
– Io non sono cacciatore.
– No? – esclamò sorpreso l’indiano. – Cosa facevi nella prateria?
– Andavo verso le sorgenti del Rio Pecos.
– A cosa fare? Per cercar di sorprendere i miei fratelli?
– Io non ho mai odiato i tuoi fratelli. Volevo condurre mia sorella in quei lontani paesi.
– La fanciulla che fu rapita?
– Sì – rispose Randolfo con un sospiro.
– Quella che è protetta dal capo.
– Tu mi dici che è protetta?
– Sì.
– Qual prova hai?
– I nostri fratelli volevano subito scalparla, torturarla, quando il capo intervenne, proibendo a tutti di toccarla sotto pena di morte.
– Volevano torturare mia sorella! – esclamò Randolfo rabbrividendo.
– Avevano già acceso il fuoco. Doveva venire abbruciata assieme all’altra fanciulla.
– Dio! Che terribile momento per Mary!…
– Senza l’intervento del capo a quest’ora tua sorella non sarebbe più viva.
– E perché i tuoi fratelli non hanno scalpato me?
– Il capo non l’ha voluto.
– Protegge anche me? – chiese Randolfo con stupore crescente.
– Sì – rispose il giovane indiano.
– Però mi conducete nel vostro villaggio.
– Questo è vero.
– E giunti colà mi torturerete?
– Questo non lo so. Io non sono Pankiskaw per risponderti.
– Io sono pronto a morire.
– Lo vedremo. Basta. Lungo Coltello, sdraiati qui vicino e dormi. Io veglio sull’accampamento.
Randolfo che si sentiva affranto per quella lunga cavalcata, si sdraiò a breve distanza dal fuoco, mentre il suo guardiano, che aveva bevuto un po’ troppo, si accovacciava al suolo facendo grandi sforzi per non cadere.
Dormivano tutti da parecchie ore, quando Randolfo, che aveva il sonno leggero, udì uno dei cavalli mandare un sordo nitrito.
Credendo che fosse l’ora della partenza, si alzò come meglio poté. Vide che i tre indiani dormivano ancora e che le tenebre non accennavano ad alzarsi. Stava per ricoricarsi quando gli giunse agli orecchi un crepitìo di rami.
Temendo che qualche animale si avvicinasse, guardò intorno.
Nessuno si vedeva; nondimeno nei vicini cespugli qualche essere doveva aprirsi il passaggio.
Stava per svegliare i tre indiani, quando un pensiero lo trattenne.
– Che sia qualche salvatore? – si domandò.
Il fuoco stava per spegnersi. Solamente un tizzone ardeva ancora, mandando qualche sprazzo di luce.
Un ramo cadde sui carboni accesi e ravvivò la fiamma.
In quel momento una violenta detonazione rimbombò.
Randolfo sorpreso ed insieme spaventato si chiedeva ancora a chi dovesse attribuire quello sparo, quando vide un’ombra nera passare rapidamente sopra il fuoco e piombare sui tre indiani.
Due lampi balenarono uno a destra ed uno a manca di quell’ombra gigantesca, poi s’intese un colpo sordo come se un’ascia avesse spaccato un cranio.
Un urlo si levò fra le tenebre poi l’ombra scomparve nel vicino bosco.
Randolfo, sbalordito, s’era alzato.
Dinanzi a lui giacevano, immersi nel sangue, i due giovani indiani.
Non potendo frenare il suo stupore, mandò un grido:
– Aiuto!
Egli non dubitava più che quell’incognito che lo aveva liberato dai suoi nemici, fosse qualche salvatore.
In quel momento udì un grugnito, poi vide alzarsi fra le erbe un uomo grondante sangue.
Era il vecchio Pankiskaw. Aveva la fronte spaccata da un colpo d’ascia, però nella destra impugnava il coltello.
Prima di giungere presso Randolfo cadde tre volte e altrettante si rialzò.
– Cosa è accaduto? – chiese Randolfo, con ispavento e tentando di spezzare le corde.
– Che ora ucciderò te – disse il guerriero con voce fioca eppure impronta d’una estrema ferocia.
Randolfo ebbe paura. Non riuscendo a sbarazzarsi dei legami, non poteva in modo alcuno sfuggire al coltello del vecchio guerriero.
– Fermati! – gli gridò.
Pankiskaw ebbe la forza di ridere. Reggendosi a gran fatica si gettò addosso al prigioniero, tentando di colpirlo al cuore. Aveva però perduto troppo sangue per aver la forza necessaria. Mentre puntava l’arma, la morte lo sorprese e stramazzò a fianco di Randolfo, esalando l’ultimo sospiro.
L’emozione provata dal prigioniero fu così forte che perdette i sensi.

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