Capitolo IV LA SCOMPARSA DELLA CONTESSA DI VENTIMIGLIA

Il bucaniereed il filibustiere, messi in buono umore dai vini tracannati alla cantina d’El Moro, se ne andavano tranquillamente per la loro via, prendendosi filosoficamente la pioggia torrenziale, la quale si ostinava a non cessare.

 Né l’uno né l’altro si erano accorti dell’uomo che si era lanciato sulle loro tracce e che, passando attraverso a delle viuzze note a lui solo, cercava di sopravanzarli.

 Il ventaccio rumoreggiava sui tetti delle case, facendo, di quando in quando, volare delle tegole e rovinare il comignolo di qualche camino. I tuoni ed i lampi si univano alle raffiche che l’oceano Pacifico, diventato oceano rabbioso, scaraventava con inaudita violenza sulla città addormentata.

 Avevano percorse già una decina di vie fangose e sfondate, poiché in quell’epoca gli spagnuoli non si curavano gran che della viabilità, occupati come erano a difendersi dai continui attacchi dei filibustieri, che interrompevano i loro fiorenti commerci, quando giunsero dinanzi ad una casetta a due piani, di bell’aspetto, sulla cui porta si leggeva, su una insegna monumentale, il seguente titolo:

 

 PosadadelRioVerde

 

 – Ci siamo, – disse Mendoza. – Che laseñorita Ines di Ventimiglia ci aspetti ancora?

 – Ha nelle sue vene sangue indiano, – rispose Buttafuoco. – Abbiamo fatto però tardi.

 – Vedo brillare un lume attraverso le persiane d’una finestra. O laseñorita o il mio fido bucaniere Wandoe, vegliano:

 Stavano per avvicinarsi alla porta dell’albergo, quando un uomo tutto avvolto in un ampio ferraiolo, sbucò da una via laterale e con tanta furia da urtare malamente Mendoza.

 – Ehi, amico, avete bevuto? – esclamò il basco. – Girate al largo perché io ho l’abitudine di non farmi urtare due volte dal primo mascalzone che incontro di notte.

 Lo sconosciuto aveva fatto tre o quattro passi indietro e si era aperto il mantellone, dicendo:

 – Mi pare,caballero , che mi abbiate chiamato mascalzone, se non sono diventato sordo.

 – Ciò che vi auguro, di tutto cuore, – rispose il basco, ironicamente.

 – Giacché dunque non sono sordo, – riprese lo sconosciuto, – ho potuto raccogliere benissimo la vostra offesa.

 – E cosí?

 – Vorrei sapere con chi potrei incrociare la mia spada per vedere se sarà degno di me.

 – Chi siete voi dunque?

 – Don Ramon de los Montes, figlio d’un grande di Spagna.

 – Ah!… Figlio di papà!…

 – Scherzate meno e ditemi chi siete.

 – Io non sarò indegno di voi, don Ramon de los Montes, poiché io sono il conte don Diego de Alcalà y Veragrua e duca di Sabalioz.

 – E… l’altro? – chiese il figlio del grande di Spagna, o almeno quello che si spacciava per tale.

 – Non avendovi dato del mascalzone, signor de los Montes, preferisco per ora serbare l’incognito. Vorrei invece pregarvi se non sarebbe meglio rimettere a domani questa questione, che mi pare molto sospetta, poiché io credo voi figlio d’un grande di Spagna, quanto io sono figlio di Montezuma, il disgraziato imperatore del Messico.

 – Come!… – gridò lo sconosciuto, gettando a terra il mantellone e snudando rapidamente la spada. – Mi si dà del mascalzone, e poi si pongono anche in dubbio i miei titoli? ah!…Caramba !… Questo è troppo!…

 – Si direbbe che voi andate in cerca di questioni, – disse Buttafuoco, a cui era sorto un sospetto.

 –Canarios !… io sono l’uomo piú tranquillo del mondo, ma quando mi s’importuna allora divento anche uno dei piú terribili.

 “Qui si è insultato il figlio d’un grande di Spagna e qui il sangue scorrerà, signori miei, perché io sono ben risoluto a non lasciarvi andare indisturbati.

 “Se non volete battervi, seguitemi al piú vicino posto di polizia.”

 – Tu non sei altro che un miserabile avventuriero in cerca di colpi di spada, pessima canaglia, – disse Mendoza, estraendo a sua volta la spada.

 – O meglio pagato da qualcuno per darci delle noie, – aggiunse Buttafuoco. – Quante piastre ti hanno fissato per ognuna delle nostre pelli?

 –Canarios !… Questo è troppo!… – gridò lo sconosciuto, facendo un salto contro il muro dellaposada per non farsi sorprendere alle spalle.

 – Allora finiamola alla lesta, – disse Mendoza. – Voi state a guardarmi, per ora; se cadrò mi vendicherete.

 – Lo inchioderò contro la parete come una lucertola, – rispose Buttafuoco, mettendo pur mano alla spada.

 Mendoza, come già sappiamo, era uno spadaccino di primo ordine, che valeva non meno del terribile guascone don Barrejo.

 Desideroso di sbrigare presto la faccenda, pel timore che sopraggiungesse qualche ronda, attaccò risolutamente l’avversario vibrandogli una dietro l’altra tre o quattro fulminee stoccate, parate appena in tempo.

 –Canarios !… – esclamò lo sconosciuto, un po’ sconcertato. – Chi è stato il vostro maestro?

 – È inutile che ve lo dica, – rispose Mendoza, il quale non gli lasciava quasi nemmeno il tempo di rimettersi in guardia. – Quando vi avrò vibrata la stoccata dei Tre Corsari, voi rimarrete inchiodato contro la parete, quindi non avrete piú il bisogno dell’indirizzo del mio maestro, bensí di un passaporto per l’altro mondo.

 – Ehi, correte troppo, mio signore.

 – Aspettate un po’ e vedrete un colpo meraviglioso, l’ultimo però per voi.

 I due spadaccini, non curanti della pioggia che non cessava di cadere, si scambiavano stoccate con grande accanimento. Il fragore delle spade non si udiva, poiché il tuono continuava a rumoreggiare ed il vento ad ululare fra i comignoli delle case.

 Lo sconosciuto, dopo qualche minuto, si trovò obbligato a rompere ed appoggiarsi quasi alla parete. Sembrava molto sorpreso di aver trovato un avversario cosí formidabile, mentre forse aveva sperato di sbarazzarsi di entrambi con pochi colpi di spada.

 – Signor figlio d’un grande di Spagna, – disse Mendoza, mentre una folgore attraversava la piazza, seguita da uno schianto terribile. – Preparatevi alla partenza che non ha ritorno.

 Stava per tornare all’attacco, quando una finestra dellaposada si aprí ed una voce d’un uomo chiese:

 – Chi si ammazza davanti al mio albergo?

 – È l’amico Mendoza che si diverte un po’, – disse Buttafuoco, alzando la testa. – Lascia fare, Wandoe, fra poco tutto sarà finito.

 “Porta invece una torcia ed un archibugio.”

 – Canaglie!… – gridò lo sconosciuto, facendo una rapida mossa di fianco per prendere piú campo. – Avete degli amici qui ed ora mi farete assassinare a colpi d’arma da fuoco.

 “Non è agire da gentiluomini questo.”

 – Basterà il colpo dei Tre Corsari, – rispose Mendoza, chiudendogli prontamente il passo e costringendolo ad appoggiarsi alla parete. – A te, bandito, prendi questo per ora!…

 – Ed anche tu questa – rispose lo sconosciuto, il quale si difendeva disperatamente, chiamando in suo soccorso tutte le risorse della terribile arte della scherma.

 Mendoza parò la botta, poi tutto d’un tratto si abbassò verso terra, appoggiandosi sulla mano sinistra e andò a fondo.

 Lo sconosciuto aveva mandato un grido, poi aveva lasciata cadere la spada, appoggiandosi contro il muro.

 Aveva ricevuta una magnifica stoccata nella spalla sinistra, dal basso in alto.

 Mendoza ritirò lentamente la lama, la cui punta si era arrossata contro la scapola dell’avversario e fece un gesto di malumore.

 – Troppo alto – disse. – Avrei dovuto attraversargli il cuore.

 In quel momento il preteso figlio del grande di Spagna, vinto dal dolore intenso causatogli da quel terribile colpo, rovinò al suolo, rimanendo inerte.

 – Morto? – chiese Buttafuoco.

 – Oh, no, – rispose Mendoza. – La ferita però deve essere dolorosissima.

 In quell’istante la porta dellaposada ed un uomo di alta statura, che rassomigliava stranamente a Buttafuoco, pure molto barbuto e molto abbronzato, comparve, portando in una mano una lanterna e nell’altra un lungo archibugio.

 – Che cosa succede qui, amici? – chiese, avvicinando premurosamente al bucaniere ed al filibustiere, il quale stava asciugando tranquillamente la punta della lama.

 – Non ne sappiamo piú di te, Wandoe, – rispose Buttafuoco. – Questo mascalzone ci ha provocati e Mendoza ha approfittato dell’occasione per dargli una buona lezione di scherma.

 – Non ci vedo chiaro in tutto questo, – rispose il proprietario dellaposada . – Questo furfante deve essere stato pagato dal marchese per assassinarvi. Vediamo un po’: ne conosco molti di questi sicari. Si avvicinò al ferito, il quale pareva che fosse svenuto e gli proiettò in pieno viso i raggi della lanterna.

 Ad un tratto un grido gli sfuggí e fece due o tre passi indietro, esclamando:

 – Ah!… Disgraziato!… Disgraziato!… L’avevo sospettato.

 – Che cosa? – chiesero ad una voce Mendoza e Buttafuoco.

 – Aiutatemi a portare a coperto quest’uomo, – rispose Wandoe. – Non bisogna lasciarlo morire.

 – Questi birbanti hanno la pelle dura e poi la sua ferita è piú dolorosa che pericolosa. Ah!… Se l’avessi côlto un po’ piú sotto, allora non risponderei piú di lui.

 I tre uomini sollevarono il ferito ed entrarono nellaposada , arrestandosi in una vasta camera a pianterreno che era ancora illuminata, la quale conteneva solamente sei amache che in quel momento erano vuote.

 Il ferito fu sollevato con molte precauzioni e deposto su uno di quei comodi e freschi giacigli.

 Subito Mendoza, con unanavaja datagli da Wandoe, gli tagliò la casacca, il giustacuore e la camicia e mise allo scoperto la ferita.

 – Niente di grave, – disse, arrestando con un fazzoletto il sangue che sgorgava in abbondanza.

 La fasciò alla meglio, aggiungendo:

 – Ci occuperemo poi meglio di quest’uomo. Spiegaci ora, Wandoe, il tuo sgomento che per noi è inesplicabile.

 “L’hai veduto altre volte questo avventuriero?”

 Wandoe, il quale aveva un viso assolutamente sconvolto, guardò il bucaniere ed il filibustiere quasi con terrore, poi chiese con voce strozzata:

 – Non ve l’ha condotta?

 – Chi? – domandarono ad un tempo Buttafuoco e Mendoza.

 – Laseñorita .

 – Laseñorita Ines di Ventimiglia?…

 – Sí!… Sí!… – balbettò Wandoe.

 – Tu sei impazzito? – gridò Buttafuoco. – Che cosa vuoi dire?

 – Non ho il coraggio di dirvelo. Ora comprendo che noi siamo stati giuocati.

 – Suvvia, – disse il bucaniere, il quale cominciava a perdere la pazienza. – Spiegati una buona volta.

 – Vi chiedo se ve l’ha condotta.

 – Ma chi?

 – Laseñorita di Ventimiglia, – ripeté Wandoe, con angoscia.

 – Quell’uomo lí è venuto oggi, dopo il mezzodí, con un biglietto firmato “Buttafuoco” con cui la si avvertiva di lasciare immediatamente la miaposada , essendo ormai stato scoperto il mio rifugio dal marchese di Montelimar.

 Buttafuoco e Mendoza, udendo quelle parole, erano rimasti come fulminati.

 – Laseñorita scomparsa!… – esclamò finalmente Buttafuoco, mentre Mendoza si strappava un ciuffo di capelli. – L’hai veduta tu questa lettera?

 – Laseñorita me l’ha fatta leggere, prima di decidersi a lasciare la miaposada .

 – Ah!… Cane d’un marchese!… – urlò Mendoza, con accento feroce. – Ce l’ha fatta!…

 – Dimmi, Wandoe, – disse Buttafuoco, il quale aveva riacquistato prontamente il suo sangue freddo. – Laseñorita non ha avuto alcun sospetto?

 – Nessuno, perché quel biglietto portava la tua firma e già sapeva che qualche cosa c’era in aria. Glielo avevi già detto tu che il marchese era ormai sulle vostre tracce.

 – A che ora ha lasciato laposada ?

 – Verso le tre pomeridiane.

 – Ed è uscita con quell’uomo lí?

 – Si.

 – Ne sei ben certo?

 – Non posso ingannarmi, perché avevo già oggi osservato sul viso di quell’avventuriero una profonda cicatrice che pare prodotta da un colpo di draghinassa.

 – Mi stupisce però come laseñorita non avesse intuito che si trattava d’un tradimento.

 – Nessuno poteva sapere in Panama che Buttafuoco era qui, – rispose Wandoe.

 – È vero anche questo. Che polizia ammirabile ha quel marchese! Ci ha portato un colpo mortale, tuttavia noi non siamo uomini da perderci di coraggio.

 “Occupati del ferito e curalo piú che puoi. Da lui sapremo dove ha condotto la contessina di Ventimiglia.

 “C’è il lume nel tuo gabinetto?”

 – Sí, amico.

 – Vieni Mendoza, – disse Buttafuoco.

 Aprirono una porta ed entrarono in una stanzina attigua, che serviva come di segreteria dellaposada , e come la prima camera era pure illuminata.

 Buttafuoco gettò via con dispetto il feltro ed il mantello e si sedette dinanzi ad un tavolo, prendendosi il capo fra le mani.

 Mendoza, che aveva scoperta sullo scrittoio una bottiglia, si era affrettato ad impadronirsene, per rimettersi meglio da tante emozioni passate.

 – Orsú, signor Buttafuoco, – disse il filibustiere empiendo due bicchieri. – Schiarite un po’ le idee con questo Porto, che Wandoe ha certamente serbato per noi. Verranno subito a galla come le sardine del mare dell’Olanda.

 – Io credo, mio caro, – rispose il bucaniere, – che noi abbiamo trovato un avversario degno di noi.

 “È vero che aveva dato molto da fare al figlio del Corsaro Rosso.

 “Se noi non riusciremo a riavere nelle nostre mani laseñorita , potremo rinunciare all’eredità del Gran Cacico del Darien, poiché la presenza della figlia del Corsaro è assolutamente necessaria.”

 – Lo so, – rispose Mendoza. – I capi delle tribú non consegnerebbero il tesoro ai primi arrivati. Il difficile sta ora nello strapparla nuovamente al marchese di Montelimar.

 “Egli certamente aspettava pazientemente, da anni ed anni, il suo arrivo in Panama, per averla ancora una volta sottomano.”

 – Che il nostro passaggio attraverso l’istmo sia stato notato? Io mi sono rivolto piú di cento volte questa domanda.

 – E da chi? Chi poteva riconoscerci dopo sei anni d’assenza?

 – Eppure, come vedi, appena abbiamo messo i piedi in Panama abbiamo avuto intorno delle spie. Io non credo affatto che il marchese ti abbia riconosciuto mentre passeggiavamo sulle calate del porto.

 – Vi deve essere qui sotto un mistero, signor Buttafuoco. Io vorrei sapere innanzitutto il perché quel bucaniere inviato al conte di Ventimiglia dal Gran Cacico prima di esalare l’ultimo suo sospiro, ci abbia lasciati sbarcando sul continente, colla scusa di recarsi ad avvertire le tribú del Darien dell’imminente arrivo della principessa.

 “Non avete mai notato qualche cosa di doppio in quell’uomo?”

 – Piú di quanto tu credi, – rispose Buttafuoco.

 – Che sia stato lui a tradirci per impadronirsi da solo del tesoro?

 – Può darsi, Mendoza; però io conosco gl’indiani, so quanto sono cocciuti e non rimetteranno l’eredità del Gran Cacico che nelle mani dellaseñorita .

 – E come faranno a riconoscerla?

 – Da un tatuaggio misterioso che la contessina porta su una spalla e che sarebbe come una specie di timbro reale.

 – Allora siamo al sicuro contro qualunque mistificazione.

 – Oh!… Per questo sí, – rispose il bucaniere. – A noi ora non resta che far perdere nuovamente le nostre tracce alle spie del marchese ed ai suoi sicari, e cercare di metterci al piú presto in relazione con Raveneau de Lussan, poiché senza l’aiuto dei filibustieri non potremmo raggiungere le grandi selve del Darien.

 In quel momento entrò Wandoe portando un’altra bottiglia e dei bicchieri.

 – Come va dunque il ferito? – chiese Buttafuoco.

 – L’uomo è robusto e la lama non ha offeso alcun organo importante. Fra dieci o dodici giorni quell’uomo sarà perfettamente ristabilito.

 – La botta era troppo alta, – disse Mendoza, con un certo rammarico.

 – Non dolertene, – gli disse Buttafuoco. – Quest’uomo sarà piú prezioso vivo anziché morto.

 Quindi, rivolgendosi verso il padrone dellaposada , gli disse:

 – Hai degli amici nel porto?

 – I filibustieri che hanno ormai rinunciato al loro pericoloso mestiere non mancano.

 – A noi occorre una casetta isolata e non sospettata, per poter agire a nostro agio. Ormai non possiamo soffermarci né qui né alla taverna di don Barrejo.

 – Ho l’affar tuo, – rispose Wandoe, dopo d’aver pensato un momento. – Prima di mezzodí tu avrai una modesta casetta e, se vorrai, anche una buona barca da pesca.

 “Il proprietario dell’una e dell’altra è un ex-filibustiere di David, graziato dagli spagnuoli e che ora fa il pescatore, ma in fondo è rimasto sempre un figlio della Tortue.”

 – Non ti domando di piú. Questa sera noi prenderemo possesso dell’alloggio e vi trasporteremo i due prigionieri.

 – E come? – chiese Mendoza.

 – Lascia fare a me, mio caro basco, e vedrai che noi la faremo bella alle spie del marchese di Montelimar.

 “Wandoe, hai sempre quel vispo ragazzo indiano?”

 – Sempre, amico.

 – Dammi una penna ed un calamaio per scrivere a don Barrejo. Scommetto che quando riceverà la mia lettera, quel pazzo di guascone riderà tanto da slogarsi le mascelle.

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