Capitolo III – Un combattimento terribile

Quando il Corsaro ed i suoi due compagni salirono in coperta, la corvetta aveva già cambiato rotta per riprendere la sua corsa verso le coste americane. Il vento, che accennava ad aumentare, ve la spingeva con una velocità di otto o nove nodi all’ora.

L’equipaggio, era tutto in coperta e discuteva animatamente.

Il Corsaro montò sul ponte di comando, prese il cannocchiale ed esplorò attentamente in tutte le direzioni.

– Nulla – disse a Howard ed al colonnello. – Eppure è stato un colpo di cannone. Testa di Pietra! – chiamò.

Il bretone, che stava discutendo animatamente con Piccolo Flocco, il suo inseparabile compagno, fu pronto ad accorrere. I suoi piedi da pachiderma erano diventati leggeri come quelli d’una gazzella.

– Hai udito quel colpo lontano? – gli chiese il Corsaro.

– Il mio orecchio si è conservato ottimamente, sebbene ne abbia uditi frastuoni di quei mostri di bronzo!

– Non può essere stato un colpo di tuono?

– Ma no, sir William. Non vi è una nube in nessun luogo.

– Che cosa ne pensi?

– Dico, capitano, che siamo sorvegliati.

– Dalle due navi d’alto bordo, vero?

– Si, e scommetterei nuovamente la mia pipa che le rivedremo ben presto. Fortunatamente il vento aumenta e la corvetta, quando è battuta, può lasciarsi indietro anche le fregate. Vi pare, sir William?

Il Corsaro non rispose. Passeggiava sul ponte, a testa bassa, con le mani affondate nelle tasche. Pareva che borbottasse qualche cosa.

Ad un tratto si fermò e, guardando fisso il bretone, il quale stava caricando tranquillamente la famosa pipa, gli disse:

– Che tutti gli uomini si tengano pronti ad occupare i posti di combattimento.

– E gli americani?

– Ammassali sul castello di prora, dietro i due pezzi da caccia. Sono valenti archibugieri e colle loro lunghe carabine spazzeranno per bene i ponti delle due navi inglesi. Non sempre si può aver fortuna, ma confido nel valore del mio equipaggio e nella velocità del mio Tuonante. Tu, che sei il miglior artigliere, mira coi cannoni da caccia gli alberi di quelle tartarughe. Giù cinque o sei vele, e non avremo più da temere.

– Per il borgo di Batz! mi metterò un paio d’occhiali sul naso per vederci meglio, e che Dio mi danni se non abbatterò un paio d’ali a quelle corridore dell’oceano.

– Conto su di te.

– E scommetto la mia pipa che…

– Vattene, al diavolo, insieme a quel puzzolente ricordo di famiglia.

Testa di Pietra rispose con una risata, discese la scala, batté l’acciarino ed accese il vecchio ricordo facendolo funzionare a tutta lena.

Howard, un luogotenente ammirabile, era sceso in coperta disponendo gli uomini per la battaglia che si annunciava imminente.

Nessuna vela si mostrava all’orizzonte, ma tutti sentivano il pericolo e si preparavano animosamente a respingerlo.

La giornata trascorse senza che Piccolo Flocco, sempre in alto sulle crocette della maestra, avesse annunciato nulla di nuovo. L’orizzonte era limpido, e la brezza aumentava sempre col calare del sole. La corvetta filava meravigliosamente, con tutte le sue vele al vento, compresi gli scopamari, i coltellacci e i coltellaccini. Sir William non aveva abbandonato il ponte di comando un solo istante. Spiava attentamente il nemico, che navigava certamente di là dalla linea visiva dell’orizzonte.

Al cadere del sole la brezza si era tramutata in un vento così forte, che il Corsaro era stato costretto a far ritirare gli scopamari e i coltellacci e raccogliere i pappafichi ed i contrapappafichi

Anche l’Atlantico era diventato irrequieto. Le onde si alzavano a poco a poco e si distendevano, rumoreggiando e rompendosi fragorosamente contro la poppa.

Alle nove una profonda oscurità avvolgeva mare e cielo. Solo poche meduse, naviganti quasi a fior d’acqua e che si lasciavano trasportare dal Gulf Stream, scintillavano come globi elettrici. Tutti erano ai loro posti, pronti a impegnare risolutamente la lotta e tutti sentivano ormai il nemico che cercava di sorprendere la corvetta. Sir William era sempre sul ponte a fianco di Howard. Aveva riacquistato il suo sangue freddo e pareva che, per un momento, avesse dimenticato Mary di Wentwort ed il marchese d’Halifax. Il suo sguardo solo era irrequieto e spaziava continuamente sull’orizzonte ormai tenebroso. Una altra ora era trascorsa, quando la voce di Piccolo Flocco, il quale non viveva che fra le coffe e le crocette, gridò:

– Badate!… Corriamo fra due ombre! Sono le navi d’alto bordo!

Dopo un breve silenzio, il Corsaro interrogò:

– A dritta l’una ed a sinistra l’altra?

– Si, capitano.

– Per San Patrick, – esclamò sir William, – Che occhi hanno i due comandanti inglesi! Come hanno fatto a scoprirci con questa oscurità? Ah! ci vogliono prendere? La vedremo, signori miei! – Poi, alzando la voce gridò:

– Dieci uomini nella stiva a guardia degli stoppacci. Se ci foreranno, chiudere subito le ferite.

Si volse verso il luogotenente:

– Vi affido il servizio dei pezzi del cassero. Per quelli del castello ci penserà Testa di Pietra.

In quel momento un lampo ruppe la profonda oscurità a meno di sei gomere da sinistra, seguito da un rombo non intimavano più il «ferma» con un colpo in bianco, bensì con una palla di cannone e probabilmente di buon calibro.

Il Corsaro si era curvato tendendo l’orecchio.

Si udì come un laceramento.

– Strappo alla gabbia di trinchetto – disse. – Che pessimi artiglieri! Ci volevano due palle incatenate, miei cari, per prendere in mezzo l’albero.

Fra il silenzio che regnava sulla corvetta, si udì la voce del luogotenente prima e poi quella di Testa di Pietra.

– Dobbiamo rispondere.

– No – rispose sir William, il quale aveva imboccato il portavoce. – Non c’è premura. Timonieri!

– Signore!

– Poggia sempre al nord. Vedi quell’ombra enorme?

– Sì, capitano.

– Attacca su quella. Pronti i gabbieri! Fuori i grappini d’abbordaggio!

Un altro lampo balenò e questa volta a dritta, alla medesima distanza, ed un altro proiettile fischiò sulla coperta della corvetta, colpendo la testa di un gabbiere che stava salendo le griselle di trinchetto con un carico di grappini d’abbordaggio. Il disgraziato non ebbe nemmeno il tempo di mandare un ah! e precipitò in mare.

– Per San Patrik! – esclamò il Corsaro. – Si massacra la mia gente! Ecco il buon momento per passare a colpi di bordate.

Imboccò di nuovo il portavoce e gridò con voce tonante:

– Non vi trattengo più, ragazzi! Coprite le inglesi di ferro e di piombo!

La corvetta che, più rapida delle due pesantissime navi d’alto bordo ed infinitamente più maneggevole, stava per oltrepassare le due poderose avversarie, si coprì di fiamma e di fumo.

Sparavano le batterie di dritta e di sinistra ed i quattro grossi pezzi da caccia. Appena cessato quel frastuono, seguì una terribile scarica di moschetteria. I cinquanta americani della giunca, ammassati sul castello di prora saettavano con una tempesta di palle le due navi inglesi, spazzandone gli altissimi ponti.

Le due navi d’alto bordo non indugiarono a rispondere.

Quella che si trovava sopravvento fu la prima a scatenare tutti i suoi pezzi di dritta; ma sia che in quel momento gli artiglieri si fossero ingannati sulla velocità della corvetta, o che qualche improvvisa ondata avesse fatto perdere loro le mire, la bordata passò a venti passi dalla poppa della fuggitiva senza recarle nessun danno.

L’altra però, che si trovava a miglior portata, essendo più avanti, fu pronta ad imitare la consorella. Un uragano di ferro e di ghisa passò sulla tolda della corvetta, massacrando o storpiando una diecina d’uomini.

Una palla passò vicinissima al viso del Corsaro, mozzandogli per un istante il respiro. L’alberatura per altro non aveva subito danno alcuno, sicché la nave aveva potuto continuare la sua velocissima marcia.

– Per San Patrick! – esclamò il Corsaro. – Tirano come novizi! Signor Howard! Testa di Pietra! Sotto, a palle incatenate!

Per la seconda volta la corvetta si coprì di fuoco e di fumo.

Per cinque o sei minuti un frastuono orrendo coprì i muggiti delle onde. Le tre navi si scambiavano, incessantemente, palle incatenate, bordate di mitraglia, nembi di piombo, sparati però alla cieca, poiché la notte era oscurissima e la corvetta filava rapida, cambiando spesso di rotta con brevi bordate, per far perdere agli avversari il punto di mira.

I ventotto pezzi della corvetta, manovrati da abili artiglieri che stavano fermi dietro ai sabordi, tiravano meravigliosamente, aspettando il momento opportuno per tempestare le navi nemiche. Alternavano palle e mitraglia, fracassando pennoni e rompendo manovre; ma forse il maggior danno lo recavano i cinquanta americani. Dietro le murate del castello di prora sparavano senza posa colle loro lunghe e pesanti carabine colpendo, ad ogni scarica, con precisione incredibile.

Già la corvetta si credeva fuori di portata delle artiglierie avversarie, quando il treponti che veleggiava sottovento, con una manovra rapidissima le attraversò il passo.

Sir William soffocò una bestemmia, poi imboccò il portavoce e gridò:

– Timone all’orza!… Cazza la randa! Contrabbraccio a sinistra! Pronti per l’abbordaggio! Tuoni per San Patrik! Prenderemo il treponti, se non lo caleremo a fondo. Testa di Pietra! Signor Howard! Palle incatenate dentro l’alberatura. Rasatemi quel colosso come una ciabatta.

La risposta fu pronta. La corvetta virò sulla sinistra e scaricò i suoi dodici pezzi contro i treponti, poi virò sulla dritta e sparò una fianconata terribile. Nel medesimo istante i quattro pezzi da caccia scagliavano le loro palle incatenate attraverso l’alberatura dell’avversario.

Fra il tuonare delle artiglierie si udì un crac secco, poi una voce alzarsi sul castello di prora.

– Per il borgo di Batz! L’ho preso il volteggiatore maledetto. Era tempo! La catena ha segato o tagliato la maestra. Ala ferita non vola! Ci corra dietro, l’uccellaccio!

Un urrà fragoroso salutò quel colpo maestro del vecchio.

– All’abbordaggio! All’abbordaggio! – urlano centocinquanta e più voci.

Il treponti si è inclinato sulla dritta, oppresso dal peso dell’altissimo albero che, troncato quasi alla base da due palle incatenate, bagna il suo mostravento in acqua.

La gran nave è immobile. Non può più bordare e si presenta magnificamente per una grande bordata. Fra le urla della ciurma e degli americani che domandano di correre all’abbordaggio, la voce metallica del Corsaro si fa udire:

– Fuoco di bordate e filate all’ovest! Passiamo!

La corvetta, abilmente guidata, sfugge ancora una volta alla fiancata del secondo treponti che giunge troppo in ritardo, scaglia quattordici palle nel ventre della immobilizzata e con una magnifica bordata sfugge alla stretta, scaricando i suoi due pezzi da caccia di poppa, carichi a mitraglia. Qualche palla passa, ronzando sordamente, attraverso alla sua attrezzatura, ma ormai è troppo tardi. Fugge con pieno vento in poppa, ridendosi ormai del fuoco di quei centoventi pezzi.

Howard continua a sparare i due pezzi da caccia poppieri, per proteggere la ritirata. Testa di Pietra invece ha fatto gettare in mare i morti, trasportare i feriti all’infermeria, poi ha caricato tranquillamente la sua pipa, l’ha accesa ed è salito sul ponte di comando, dicendo al Corsaro:

– È finita. Gliel’abbiamo fatta a quei signori dalle giacche rosse e dalle calottine minuscole… La rotta capitano?

– Diritti su Boston – rispose William. – Quanti morti?

– Ne ho fatti gettare quattordici nella grande tazza – rispose il bretone con un sospiro.

– E feriti?

– Ve ne sono sette all’infermeria e disgraziatamente uno rimarrà storpio per tutta la sua vita.

– Mille sterline a sua disposizione.

– Per il borgo di Batz! Mi sarei lasciato portare via anch’io una gamba per guadagnare una tal somma. Anche zoppo avrei potuto comprarmi una grossa barca da pesca e guidarla attraverso la Manica.

– Fa’ sfondare quattro barilotti di rhum, e dà da bere ai miei bravi. Bada che non si ubriachino. Boston non è lontana e chissà che cosa ci attende dinanzi alla sua baia. Non sarà facile forzare il blocco; tuttavia non dispero.

Le cannonate erano cessate e le due navi di alto bordo erano scomparse nel tenebroso orizzonte. Solamente il vento sibilava attraverso l’attrezzatura.

E la corvetta filava sull’Atlantico colla prora verso la costa americana

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