Il marchese, mandò un urlò di rabbia e retrocesse rapidamente. Sir William aveva intanto impugnato la spada.
– Mi avete teso un agguato? – chiese il marchese, mentre Piccolo Flocco, ad un cenno del bretone, con mossa fulminea allontanava la tavola per lasciare maggiore spazio ai combattenti.
– Non vi ho teso nessun agguato, perché non era qui che volevo incontrarvi – rispose il baronetto. – Se foste venuto domani mattina, non mi avreste trovato più, come non avreste trovato Mary di Wentwort.
– Mary! – ruggì il colonnello. – Dov’è?
– È là – disse il baronetto indicando la tenda.
– Largo o vi uccido!
– Chi uccidete?
– Voi, signor Mac Lellan. – disse il marchese con disprezzo.
– Se non sono un d’Halifax puro – rispose il Corsaro – son capace di difendere la mia pelle.
– Siete diventato maestro d’armi? Non l’avevo mai saputo prima di questa sera.
– V’insegnerò come insegnano i maestri d’armi di Francia.
– Basta, finitela! Largo, per la morte di tutti gli dèi della terra! Qui, Mary.
Due grida soffocate s’erano udite dietro la tenda che nascondeva le due donne.
– Venite! – urlò il marchese.
– Non obbedite! – disse sir William.
– Ah, vuoi impedirlo, bastardo!
Si slanciò innanzi colla spada tesa, sperando di spaventare il Corsaro con un affondo improvviso. La sua spada diede un suono il metallico, sprigionando qualche scintilla, e deviò subito sotto un poderoso sforzo dell’avversario. Fu un vero miracolo se la spada non gli fu gettata via al primo attacco.
– Ah, siete forte – disse il marchese. – La vedremo, signor Mac Lellan. A Londra e a Edimburgo ho gettato a terra parecchi gentiluomini!
– Provatevi a passare per raggiungere Mary.
– Largo!
– Mai! Qui si muore sul posto!
Il marchese gli vibrò una botta diritta, che il Corsaro fu pronto a parare con una semplice mossa di seconda. Non era che un’avvisaglia. Il marchese aveva attaccato furiosamente, sperando di respingere il bastardo e di raggiungere la tenda, dietro la quale, mute di spavento, tremanti, si tenevano strette la padrona e la cameriera. Aveva da fare per altro con uno spadaccino che era abile nel maneggiare tanto la pesante sciabola d’abbordaggio che la spada.
Fermo come una torre, su una guardia elegantissima, che sarebbe stata ammirata anche alla corte di Versailles, controbatteva fiera mente il ferro del marchese, esclamando di quando in quando:
– Sotto, signor d’Halifax! Un Mac Lellan vi chiude il passo, un bastardo! Gettatelo a terra, dunque, con una stoccata diritta al cuore.
Il colonnello, pure valente spadaccino, infuriava tirando colpi e lanciando bestemmie ma tutti i suoi sforzi riuscivano vani. La spada del Corsaro, che fischiava come un giunco, era sempre pronta a respingere il colpo mortale.
– Perbacco! – urlò ad un certo punto il marchese, passando la spada dalla mano destra alla sinistra e tergendosi il sudore, forse più freddo che caldo, che gli bagnava la fronte. – Ora vedremo questo giuoco!
– Da mancina? – disse il Corsaro con un sorriso satanico. – Vecchia scuola, che i maestri d’armi della Francia mi hanno insegnato.
E alla sua volta aveva impugnato la spada colla mano sinistra, facendo un passo indietro per non farsi infilzare a tradimento.
Il marchese era diventato più livido che mai.
– Ah, tu pure, bastardo, conosci questa scuola?.
– Ed altre ancora, marchese, – rispose il Corsaro. – Vi farò provare fra poco la supremazia delle scuole francesi ed italiane su quelle inglesi. Fino ad ora mi sono difeso: il momento di montare all’abbordaggio è giunto, e per tutte le furie dell’inferno vi assalirò, coll’impeto che ho sempre messo quando svuotavo le navi dei vostri compatrioti.
– Tu, che hai sangue inglese nelle vene!
– Non sono un bastardo, allora! – disse il baronetto.
Il marchese si morse le labbra a sangue, poi disse:
– È vero: siete francese per metà.
– Sono io, ora, marchese che vi dico di finirla e di dare o ricevere una buona stoccata.
– Allora prendi, bastardo!
– Ah, no! Troppo corta.
– Prendi quest’altra!
– Nemmeno questa. Si ferma con una semplice parata di seconda
– E la terza?
– Passata pure, fratello! – rispose il baronetto, il quale aveva parato prontamente la stoccata, diretta sempre verso il suo cuore.
Il marchese aveva fatto due passi indietro ed aveva ripreso la spada colla destra.
– Non mi volete lasciar raggiungere Mary? – ruggì.
– Vi ho detto di no.
Il marchese, in preda a terribile furore, si gettò per la terza volta contro il baronetto tirando stoccate più disperate di prima, ma cozzò sempre contro una parete d’acciaio.
– A me, ora! – disse il Corsaro.
A sua volta aveva assalito con furia vertiginosa. Balzava come una tigre, mandava grida inarticolate per sbigottire l’avversario, e lo tempestava di botte sapientemente date.
Il marchese, sorpreso da simile attacco, aveva fino da principio rotto la guardia facendo un primo passo indietro. Pochi secondi dopo, impotente a tener testa a tanta furia, fece una seconda ritirata.
– È perduto! – brontolò Testa di Pietra, che teneva sempre in pugno la sciabola d’abbordaggio e la pistola per impedire al marchese di slanciarsi nell’altra stanza e chiamare in suo aiuto la guarnigione del castello. – Il mio comandante è assolutamente invincibile.
– Diamine! Dopo tanti abbordaggi!… – esclamò Piccolo Flocco.
In quel momento il marchese fece un altro passo indietro. Non riusciva più a tener testa aIla furia incalzante del baronetto. Ancora tre passi e si sarebbe trovato contro la parete.
Il Corsaro, deciso a finirla gli stava sempre addosso, menando colpi terribili, che l’altro a malapena riusciva a parare. Già due volte la sua ricca casacca ad alamari d’oro era stata lacerata in vicinanza del cuore. Ad un tratto sir William a sua volta ruppe, facendo un gran salto indietro. Il marchese gli si era precipitato addosso gridando:
– Sei mio! sei…
Non poté finire. Si era portato una mano al petto ed aveva lasciato cadere la spada. La lama del Corsaro l’aveva colpito, e ben profondamente, quantunque non proprio in direzione del cuore.
– Toccato! – esclamò Testa di Pietra. lanciandosi dietro al ferito ed allargando le braccia.
Era giunto in buon punto, perché il marchese stava per cadere svenuto. Il bretone lo prese, lo trasportò su un divano non senza un certo raccapriccio, sebbene abituato alle carneficine orrende degli abbordaggi, e, vedendogli la casacca rossa macchiarsi d’una tinta più cupa.
– È sangue, questo – disse.
Sir William era rimasto immobile, appoggiato sulla sua formidabile spada, passandosi e ripassandosi un mano sulla fronte. Poi alzò la tenda e trasse a se Mary
– È fìnita! – le disse. – Dio così ha voluto.
La bionda miss aveva mandato un grido per lo spavento ed i suoi occhi si erano fissati sulla macchia rossa che andava sempre più allargandosi sulla casacca.
– Morto? – domandò.
– Forse no – rispose il Corsaro, che faceva sforzi per nascondere la propria commozione. – Ho sbagliato probabilmente il colpo.
Poi serrandosela strettamente al petto, le disse:
– Scegli fra me e lui.
– Tu, tu, mio William.
– Allora fuggiamo.
– E il marchese? Lo lascerai morire così?
– Quando avremo lasciato la torre, Diana andrà a chiamare qualcuno. I Medici non mancano dove vi sono tanti soldati!… Testa di Pietra, un pezzo di corda ben solida.
– L’ho sottomano – rispose il bretone, strappando da una tenda un grosso cordone di seta.
– Solido?
– Quanto una gomena d’àncora di speranza.
– Non temere, Mary. Stringi bene le mani intorno al mio collo. Il cordone di seta ti reggerà, se mai ti dovesse cogliere la vertigine. Lesto, Testa di Pietra. Due buoni nodi piatti intorno ai polsi della miss.
Mentre essi pensavano alla fuga, la cameriera si era occupata del marchese, aprendogli la casacca, il panciotto e la camicia di finissima batista ormai tutta inzuppata di sangue.
Piccolo Flocco l’aiutava.
In un baleno il bretone tagliò il cordone alla lunghezza necessaria col suo coltello di manovra, annodò saldamente i polsi della giovane, poi salì sul davanzale della finestra e per la seconda volta scosse la sbarra di ferro.
– Può reggere anche quattro uomini – disse. – Pronti, comandante.
– E la fune?
– Oh, non temete! Può portare benissimo un doppio peso.
– Mettimi Mary sulle spalle, ed aiutami ad attraversare il davanzale.
– Ecco fatto, comandante.
Il Corsaro e Mary si trovarono sospesi nel vuoto.
– Stringi forte – disse il primo – e chiudi gli occhi.
– Si, William, – rispose la giovane.
– Non temere: ho muscoli saldi.
Passò sul primo nodo, poi sul secondo, serrando nervosamente la fune colle mani e colle ginocchia. Il bretone, affacciato alla finestra, li seguiva cogli sguardi
A poco a poco li vide sparire tutti e due e dileguarsi nell’oscurità
– Hanno toccato terra – disse con un vero sospiro di sollievo. Piccolo Flocco, a te. Come va il marchese?
– Perde sempre sangue e non ha ancora aperto gli occhi.
– Brutto segno! – brontolò il bretone.
Poi, alzando la voce, soggiunse:
– Orsù, passa e raggiungi il capitano.
Il giovane gabbiere, lesto come uno scoiattolo, scomparve attraverso la finestra.
– Miss, – disse allora il bretone, rivolgendosi alla cameriera, la, quale si studiava ad arrestare il sangue che usciva in gran copia dal petto del marchese. – Fra due minuti andate pure a chiamare un medico.
– E che cosa gli dirò? – chiese Diana; che era forse più pallida del ferito.
– Direte che sono entrati i ladri. Guardatevi dal nominare il baronetto poiché potreste pentirvene.
– Oh, mai! Sono devota alla mia signora.
– Va bene, ci rivedremo presto.
Scavalcò a sua volta il davanzale, strinse la fune e discese rapidamente, borbottando, come sempre. Appena a terra vide a dieci passi di distanza il Corsaro, Mary e Piccolo Flocco, che teneva snudata la sciabola d’arrembaggio.
– Il Marchese? – chiese ansiosamente la giovane, muovendogli incontro.
– Il sangue non si è ancora fermato, miss, – rispose il bretone tuttavia non credo si tratti di cosa molto grave. Per la prima volta il, capitano ha sbagliato.
– Mio Dio, che cosa hai fatto William; – esclamò la giovane, rivolgendosi al Corsaro che l’aveva raggiunta.
– Ciò che era scritto sul libro del destino, – rispose asciuttamente il baronetto. – Vieni, prima che ci prendano.
Le piazze e le vie erano deserte e immerse in una profonda oscurità, poiché l’olio di cotone e le candele difettavano in Boston. Di quando in quando granate attraversavano le tenebre, andando a cadere sulle case.
Nessuno parlava: tutti parevano assai preoccupati: perfino Testa di Pietra. Pensavano probabilmente a quanto avveniva in quel momento nella torre fra i medici ed il marchese e alle indiscrezioni della cameriera. Pattuglie dovevano essere state lanciate in varie direzioni per raggiungere i supposti ladri.
– Ehi, Piccolo Flocco, – disse ad un certo momento il bretone che non ne poteva più di quel silenzio – non ti sembra di vedere quattro morti che passeggiano?
– Infatti la nostra allegria è scomparsa.
– Si dovrebbe essere lieti del buon successo e cantare a squarciagola la canzone dei pescatori di sardine della nostra cara Bretagna
– Non importunare il baronetto – rispose il giovane gabbiere.
– Così peraltro non la può durare. Meno male che mastro Taverna ci aspetta, e saprà infonderci un po’ d’allegria colle sue bottiglie più o meno scorpionate. Questa notte sognerò Diana.
– Sei innamorato di quella mummia egiziana?
– Mummia, la chiami? Merluzzo secco, mio caro, e di quello dei banchi di Terranova.
– Bell’acquisto faresti, alla tua età specialmente!
– Per il borgo di Batz! Credi che sia giovane lei?
– Le mummie non hanno mai avuto età; almeno cosi mi ha detto mio zio, che è stato molto tempo in Egitto a frugare nelle piramidi.
– Per cercare che cosa?
– Tesori antichissimi.
– E non ti ha fatto ricco?
– È tornato a casa senza un soldo e con tre mummie che facevano paura a vederle.
– Tuo zio era un imbecille – sentenziò gravemente il mastro. Già, era del Pulignen e non di Batz. Bei furbi ci sono nel tuo villaggio!
In quel momento udirono il Corsaro che gridava:
– Largo, o vi uccido!
Testa di Pietra si slanciò colla sciabola d’arrembaggio alzata. Due soldati avevano cercato di sbarrarle il passo, allungando le mani verso la miss.
Prima che sir William li toccasse colla spada, il bretone si era scagliato contro di loro. Con due pedate formidabili li rovesciò in mezzo alla via, lasciandoli tramortiti.
– E che! – esclamò il bravo marinaio. – Non è dunque permesso in Boston, perché assediata, di godersi un po’ di fresco? Ecco come uso trattare i disturbatori della quiete pubblica.
E camminò dietro al Corsaro ed alla miss, come se nulla fosse accaduto.
Cinque minuti dopo si trovavano dinanzi all’Albergo delle trenta corna di bisonte e bussavano fragorosamente per svegliare i due occhi di bue, come il bretone chiamava, nei suoi momenti di buon umore, mastro Taverna.
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