Capitolo XVI – La cattura del baronetto

In quel momento i due marinai della Tuonante si erano fermati ad osservare una vecchia casamatta abbandonata.

All’intimazione, Testa di Pietra e Piccolo Flocco si erano scambiati un rapido sguardo, poi il primo, piantate le callose manacce sui fianchi, chiese:

– E perché non si può passare?

– Tale è l’ordine del governatore – rispose l’inglese, un giovane biondo e roseo, cogli occhi azzurri e magro quasi quanto la cameriera di miss Wentwort.

– Dovevo andare a trovare mio fratello per portargli un paio di pagnotte – disse il bretone. – Me le sono levate dalla bocca per serbargliele.

– Non si passa! – replicò il testardo, tenendo sempre puntata la baionetta.

– Ti regalo un dollaro.

– Nemmeno dieci: non voglio correre il pericolo di farmi fucilare.

Testa di Pietra, con una mossa fulminea afferrò a due mani la baionetta, alzando subito il fucile per non ricevere una scarica, mentre Piccolo Flocco girava dietro al soldato, lo afferrava per le gambe e lo sollevava.

Il disgraziato, lasciò andare l’arma, e cadde al suolo.

– Presto, nella casamatta! – disse Testa di Pietra.

Lo afferrarono, e lo portarono di corsa dentro la piccola costruzione, imbavagliandolo con uno dei larghi fazzoletti che usano i marinai.

– Hai una sagola? – chiese il bretone.

– Che domanda!… Sai bene che i gabbieri ne hanno sempre nelle loro tasche.

– Lega questo papagallo, mentre lo tengo fermo.

– E che cosa ne faremo di questo pappagallo?

– Lo lasciamo qui.

– La casamatta non è frequentata, ed egli correrà forse il rischio di morire di fame – disse il giovane gabbiere.

– Questo è affare suo: la guerra. te l’ho già detto, ha le sue crudeli esigenze.

– Lo sfido a slegarsi.

– Allora possiamo riprendere la nostra ispezione. Voglio raggiungere il corridoio che mette

nella camera da mina, per vedere se l’hanno ricoperta ed in quale stato si trova.

Trascinarono l’inglese, legato come un salame, nell’angolo più oscuro della casamatta, poi tornarono all’aperto.

Primo pensiero di Testa di Pietra fu quello d’impadronirsi del fucile per farsi credere una sentinella. Quella precauzione era stata buona, poiché centocinquanta metri più innanzi i due marinai s’imbatterono in un altro soldato inglese.

– Alt! Non si passa! – gridò. – Ordine del governatore.

– Non vedi che sono anch’io di guardia? – rispose prontamente il bretone.

– E quel giovane che ti accompagna?

– È un marinaio che devo condurre da un ufficiale, avendo una lettera urgente da consegnargli.

– Quando mi dici che si tratta di una lettera urgente, prosegui pure, camerata.

– Grazie: quando ritorno ti pago da bere. So che i viveri scarseggiano in Boston, ma vi si trovano ancora bottiglie di gin e di brandy.

Ripresero la via, salutati da una specie di grugnito da parte della sentinella. Erano giunti ai ridotti.

Era là che avevano fatto scoppiare la mina.

Testa di Pietra s’avvide subito che gl’inglesi, durante quelle quarantotto ore, avevano sgombrato le macerie e rimontato le casematte.

– Perbacco! – esclamò. – Come hanno lavorato questi bravi soldati, sebbene affamati! Mi pare che, per il momento, non vi sia nessuno. Si può andare a vedere.

– Che il passaggio sia stato riaperto? – chiese Piccolo Flocco.

– Ho questa speranza.

Esaminò attentamente le due casematte, ed entrò in quella segnata con un 24 dipinto in rosso.

– Lì finiva il corridoio – disse.

Entrò risolutamente, poi usci subito, e disse a Piccolo Flocco:

– Va’ a vedere tu. Io rimango di guardia e non lascio passar nessuno.

– Sta bene – rispose Piccolo Flocco e scomparve.

Il bretone passeggiava da una diecina di minuti, quando un soldato tedesco si cacciò dietro la trincea che copriva le casematte.

– Alt! – gridò con voce tuonante il mastro. – Non si passa: ordine del governatore.

Terteuffe! Io afere sparato tutt’oggi e crepare di fame.

– Va’ a crepare in un altro luogo, ma non qui – rispose il mastro.

– Mia gamella trovasi nella casamatta.

– Andrò a cercarla io: non fare un passo innanzi, o sparo.

Il tedesco, rispettoso della consegna, si sedette su un cumulo di terra, mentre il bretone entrava nella casamatta per cercare la gamella.

Ci volle un bel po’ a trovarla, essendovi poca luce; ma finalmente uscì, gridando:

– Prendila, e vattene al diavolo!

Nessuno rispose alla chiamata.

– Che sia scappato? – si chiese il bretone.

Fece il giro del mucchio di terra, e lo trovò disteso in una pozza di sangue e senza vita. Una palla l’aveva nettamente decapitato.

Tornò precipitosamente verso la porta della casamatta per paura di subire la medesima sorte, ed attese impaziente il ritorno di Piccolo Flocco.

Trascorsero altri quindici minuti poi il giovane marinaio ricomparve.

– Dunque? – gli chiese subito il bretone.

– Hanno sgombrato il passaggio dai rottami e vi hanno collocato una nuova mina – rispose Piccolo Flocco.

– Hai attraversato la camera?

– Certo.

– Anche il secondo passaggio è aperto?

– Lo scoppio non lo ha affatto danneggiato.

– Ne sei sicuro?

– Sicurissimo.

– Allora siamo a posto – rispose il bretone. – Prima di mezzanotte saremo a bordo della corvetta insieme con la bellissima miss e col mio merluzzo secco.

– Passerà la signora?

– Se passo io, che sono grosso, passerà anche lei. Giungerà alla estremità della galleria colle vesti strappate, ma si rifarà a bordo. Sai bene che abbiamo più di venti casse di vestiti, di cappelli e di biancheria.

Volsero le spalle alle casematte e ripresero la via del ritorno, mentre il bombardamento aumentava d’intensità.

Testa di Pietra ed il giovane gabbiere, rientrarono in città. Annottava, e solo le bombe rompevano le tenebre. Le ultime candele di sego di Boston erano più utili a rinforzare il brodo degli assiani, che a dare la luce.

Dopo aver girato per parecchie vie, giunsero finalmente in prossimità dell’Albergo delle trenta corna di bisonte. Con loro grande sorpresa, videro parecchie persone ferme dinanzi alla porta, che parlavano animatamente.

Il bretone provò subito un gran colpo al cuore.

– Dio! – mormorò. – Che cosa è successo? Piccolo Flocco, non ho il coraggio di avvicinarmi.

– Che sia avvenuta qualche rissa fra ubriachi? – rispose il gabbiere.

– Io penso al comandante.

– Che un colpo di sole mi ammazzi! Non mi ricordavo in questo momento che il capitano fosse lì dentro.

– Che fare? – chiese Testa di Pietra, il quale si trovava più imbarazzato che mai. – Non ho mai avuto paura; eppure, in questo momento tremo.

Guardò meglio. I borghesi mescolati ad alcuni soldati tedeschi cominciavano ad allontanarsi: i primi per andare a cena, ed i secondi per obbedire alla ritirata.

– Possiamo avvicinarci anche noi – disse. Voglio sapere che cosa è successo.

Alzò il cane della sua pistola, respinse tre o quattro borghesi che si ostinavano a rimanere dinanzi all’Albergo delle trenta corna di bisonte, intimando loro con voce minacciosa di tornare subito alle loro case, ed entrò seguito da Piccolo Flocco.

La sala era in pieno disordine. Tavolini e sedie erano rovesciati, molte bottiglie e piatti in frantumi. Il taverniere stava appoggiato al banco, guardando tristemente quella rovina. Non si era ancora deciso a mettere un po’ d’ordine in quella stanzaccia. Vedendo entrare il bretone, aprì le braccia, facendo un gesto di disperazione.

– L’hanno preso! – gemette mastro Taverna. – Quel bravo gentiluomo!

Testa di Pietra si diede due poderosi pugni sul capo e diventò livido.

– Preso il mio capitano! esclamò.

– Sì, mio signore.

– Quando?

– Un’ora fa.

– E chi è venuto ad arrestarlo?

– Dieci soldati inglesi comandati da un capo della polizia.

– Si è difeso?

– Sembrava un giaguaro. Ne ha infilzati due, ed ha bruciato le cervella ad un terzo; poi ha dovuto arrendersi oppresso dal numero, quantunque si fosse servito dei miei piatti e delle mie bottiglie come mitraglia.

– Preso! Il capitano preso! – esclamò Piccolo Flocco, il quale non era meno livido ed atterrito del bretone.

Testa di Pietra si era lasciato cadere su una sedia, come se fosse stato preso da malore, ma subito si rialzò chiedendo:

– E la miss?

– Arrestata anche lei! – rispose mastro Taverna.

– È terribile! – aggiunse Piccolo Flocco.

– Non hanno lasciato qui che quel tedesco, che continua a dormire, e quella signora magra ed attempata.

– La cameriera? – gridò il bretone.

Si scagliò su per la scala ed entrò come una bomba nella camera che il Corsaro aveva destinato alle due donne.

– Miss Nelly, – disse il bretone – è proprio vero che hanno portato via la vostra padrona?

– Sì, marinaio, – rispose la donna, tergendosi le lagrime. – Sono stati i soldati del marchese che l’han rapita. Ah, povera padrona!

Il bretone si era messo a passeggiare per la stanza dandosi continuamente pugni sul capo e domandandosi con voce rabbiosa

– Che fare? Che fare? Me lo fucileranno di certo quel bravo comandante che amo come un figlio. Bisogna salvarlo; ma come?

Ad un tratto interruppe la sua passeggiata di orso in gabbia e si fermò dinanzi alla cameriera.

– Le sentinelle del castello vi conoscono? – le domandò.

– Oh! quasi tutti i soldati.

– Dunque non avreste nessuna difficoltà ad entrare nella torre.

– No.

– Uditemi bene, mia dolce Nelly. Ormai la ritirata è suonata, quindi è troppo tardi, ed anche troppo pericoloso avventurarsi per le vie di Boston. Domani mattina vi recherete al castello e cercherete di vedere la vostra padrona, che non sarà certamente stata cacciata in prigione come una donna qualsiasi...

– Oh no! Il marchese non lo permetterebbe.

– Benissimo! – rispose Testa di Pietra. – Cercherete di sapere dove hanno rinchiuso il baronetto e quali istruzioni hanno gl’inglesi: verso mezzogiorno tornerete qui. Quel valoroso non deve morire, né fucilato, né impiccato.

– Oh no! la mia padrona ne morrebbe di dolore. Ama tanto sir William!

– Noi rimarremo in Boston fino a domani sera, perché sarà necessaria la notte per raggiungere la nostra nave. Riposate tranquilla, mia Nelly, e pensate a me.

Il mastro fece un goffo inchino e discese nella taverna, dove trovò Piccolo Flocco e mastro Taverna impegnati in una animatissima conversazione.

– Giungi in tempo – disse il giovane gabbiere. – L’albergatore mi faceva or ora osservare che i soldati o i policemen potrebbero improvvisamente ritornare.

– Lo so, per il Borgo di Batz! – esclamò Testa di Pietra. – Mi aspetto di vederli giungere da un momento all’altro.

– Perciò mastro Taverna ci propone di nasconderci in un luogo che nessun poliziotto del mondo, per quanto abile, saprebbe scoprire.

– È vero – confermò l’albergatore.

– Dove si trova? – chiese il bretone.

– Nel mio giardino.

– Vi è un sotterraneo forse?

– No, un pozzo, il quale sopra il livello dell’acqua ha una specie di stanza.

– Vi è molta acqua nel pozzo?

– Forse un metro e non più. È un mese che non cade una goccia d’acqua.

– Hai una fune solida?

– Si mio signore.

– Mandaci giù bottiglie, candele, tabacco, coperte, e non dimenticarti i salciciotti e il prosciutto.

– E di quel tedesco che dorme ancora che cosa devo farne?

– Gli rendo il suo vestito e riprendo il mio. Quando si deciderà a svegliarsi, lo manderai con Dio, dopo d’avergli offerto qualche bicchiere di gin.

Il bretone entrò nella stanza-magazzino, si spogliò rapidamente e si rimise il suo costume da marinaio.

– Si può andare – disse rientrando nella sala. – Giacché i policemen non giungono, approfittiamone per sottrarci alle loro ricerche.

Mastro Taverna chiuse la porta e la sprangò, essendo già ora inoltrata; scese nella cantina a prendere una solida fune lunga una ventina di metri, poi disse:

– Andiamo, miei gentlemen.

Fece loro attraversare uno stretto corridoio e li condusse in un orticello che si trovava dietro l’albergo. Nel mezzo vi era un pozzo.

Una solida spranga di ferro ne traversava la bocca piuttosto larga.

Testa di Pietra, aiutato da Piccolo Flocco, fece alla fune diversi nodi, assicurò solidamente un capo alla spranga e gettò l’altro nel pozzo.

– Scendete dieci metri circa – gli disse mastro Taverna, porgendogli un pezzo di candela. – Poi ci penserò io.

Il bretone, s’aggrappò alla fune, e dopo mezzo minuto entrava in una specie di camera umidissima costruita in un fianco del pozzo.

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