Capitolo XVII – I furori di testa di pietra

Il taverniere aveva detto la verità, il nascondiglio esisteva. Non era veramente una stanza, ma nemmeno un nicchia, e cinque o sei uomini avrebbero potuto rifugiarsi abbastanza comodamente.

Testa di Pietra in un lampo lo ispezionò, e si dichiarò subito soddisfatto.

– Mi pare di trovarmi nella cala della Tuonante – disse il bravo uomo. – Sarà un po’ difficile che quelle canaglie di policemen vengano a trovarci quaggiù. Mastro Taverna è la perla degli albergatori. Saprò ricompensarlo.

In quel momento entrò Piccolo Flocco, il quale chiese subito:

– Come si sta?

– Magnificamente bene! – rispose il bretone. – Se fossi mastro Taverna, ci metterei cocomeri. Come si mangerebbero freschi! Quell’uomo non sa fare il suo mestiere, povero diavolo! E tutto deve dipendere dai suoi occhi di bue.

La voce sonora di mastro Taverna risuonò in quel momento dentro il pozzo come un colpo di cannone.

– Prendete il carico, miei gentIemen!

La fune era ridiscesa con due gigantesche ceste contenenti tabacco, bottiglie, salsicciotti, prosciutti, cacio del Canada, pagnotte e due grosse coperte di cotone.

– Ora mi pare che vada meglio – disse il bretone. Qui staremo benissimo, se mastro Taverna ci manderà tutto questo ben di Dio ogni giorno! Tuttavia preferirei essere a bordo della nostra corvetta.

– Per far che, Testa di Pietra? – chiese il giovane gabbiere. – Il momento non potrebbe essere più terribile. Si tratta della vita del nostro comandante.

– A chi lo dici? A me? Per il borgo di Batz! Non sai che sarei ben lieto di trovarmi al suo posto colla prospettiva di essere impiccato fra breve, pur di trarlo da quella condizione?

– Che cosa pensi di fare?

– Non lo so: ho la testa vuota. Questo colpo mi ha atterrato.

Testa di Pietra aveva fissato i suoi occhi su una bottiglia che portava la famosa marca Medoc. Decapitarla fu l’affare di un istante.

– In fondo a questa troverò la soluzione dell’arduo problema disse poi.

– Va’ a cercarla – rispose il giovane gabbiere. – Questo Medoc lo lascio tutto per te.

– Lo vuoterò fino all’ultima goccia. Guarda, vi è anche Bordeaux e, pare perfino impossibile, una bottiglia di champagne che berrai quando l’avremo calata nel pozzo. Questo vino si deve bere sempre gelato.

Il mastro fece onore a tutto quel ben di Dio. Piccolo Flocco, credette opportuno imitarlo.

Per un momento dimenticarono il loro comandante e la sua fidanzata: ma quando il mastro ebbe bevuto un paio di bicchieri del suo vino preferito ed ebbe accesa la pipa, riprese il discorso.

– L’affare è grave – disse.

– Pare anche a me – rispose Piccolo Flocco.

– E non so trovare una via d’uscita a tutto questo imbroglio. Capisci? Si tratta della vita del nostro comandante.

– Lo sanno anche i sordi a quest’ora. Bevi un altro bicchiere di Medoc.

– Hai ragione.

Il mastro si riempi il bicchiere, lo vuotò lentamente, guardandovi dentro come faceva sempre, poi disse:

– Bisogna aspettare la cameriera.

– È tutta qui la tua trovata? Si direbbe che i bretoni di Batz invecchiano troppo presto.

– Fulmini e vulcani! – gridò il mastro, scaraventando nel pozzo la bottiglia ormai vuota. Hai ragione, Piccolo Flocco. Sei giovane e non hai il cervello fossilizzato; potrai quindi scovare qualche cosa di buono. Alla prova, amico!…

– Credo che faremmo bene a tornare al più presto a bordo della corvetta giacché il passaggio della mina è stato ristabilito.

– E dopo?

– E tornare quassù con un drappello di marinai scelti, per tentare di salvare il comandante.

– In mezzo a dieci o dodicimila uomini? No, ho invece un’altra idea, – disse Testa di Pietra.

– Dilla.

– Impadronirci del carnefice, affinché non impicchi il baronetto e gettarlo in questo pozzo.

– E se invece lo fucilassero, il comandante?

– No, gl’inglesi amano troppo la corda e lo impiccheranno.

– E perché prendere il carnefice?

– Per guadagnare tempo.

– Ne troveranno un altro.

– Non se ne trovano, in una città, due che facciano quel pessimo mestiere. Sparito il carnefice, saranno costretti a rimandare l’esecuzione; e chi sa che intanto la piazza non si arrenda. Sono a corto di viveri gl’inglesi, e credo anche di munizioni: aiuti dall’Inghilterra non ne giungono, quindi saranno obbligati un giorno o l’altro a capitolare, se non vorranno morire di fame.

– Sei furbo.

– Ora solamente te ne accorgi? Sono di Batz io!

– Lo so – rispose il giovane gabbiere un po’ mortificato.

– Dunque andremo a dire due parole al carnefice! Lo porteremo via, e se non vorrà morire annegato, prenderà il nostro posto.

– Riusciremo.

– Rispondo di tutto. Lasciami dormire; così intanto le idee matureranno meglio.

– Credo che per il momento non ci sia niente da fare – rispose il giovane gabbiere. – Con questa frescura dormiremo come ghiri

Si avvolsero nelle due coperte, spensero la candela, e, si addormentarono placidamente. La notte passò tranquillissima, e chi sa quanto i due marinai avrebbero dormito, se qualche ora dopo l’alba la voce di mastro Taverna, non avesse destato l’eco della piccola camera.

Il bretone, fu il primo a balzare in piedi.

– Novità? – chiese.

– Ci sono stati i policemen.

– E che cosa hanno fatto?

– Hanno frugato tutto l’albergo ed hanno fatto vestire il tedesco, finalmente desto – rispose mastro Taverna.

– E la signora?

– Non è stata disturbata, ed è già partita per il castello, promettendomi di ritornar presto.

– Torneranno quei cani di policemen?

– Può darsi; ma potete contare sulla mia fedeltà. Non vi tradirò a nessun prezzo.

– Lo sapevo che eri un brav’uomo – rispose il bretone. – Diversamente non avrei messo i piedi nella sua taverna. Puoi calarci del thè? Fa freddo quaggiù, ed una bevanda calda ci farebbe bene.

– Subito, signore.

Anche Piccolo Flocco si era svegliato.

– Che vogliono arrestare anche noi? – chiese a Testa di Pietra.

– Pare – rispose il bretone. molto preoccupato. – Qui non spira più buon vento per noi, mio giovane amico, e faremo bene ad alzare i talloni al più presto.

– Ma non prima d’aver riveduta la tua Nelly.

La voce del taverniere si fece nuovamente udire. Annunciava il thè.

– Giunge in tempo – disse il mastro; che cominciava ad aver brividi di freddo.

Si avvicinò all’uscita di quello strano rifugio e vide scendere per mezzo di una sagola un bel bricco pieno dell’aromatica bevanda

– Questa è la perla dei tavernieri! – disse Piccolo Flocco. – – Non se ne troverebbe un altro in tutto il mondo.

– Lo credo anch’io – rispose Testa di Pietra slegando lestamente il bricco.

Poi, alzando la voce, gridò:

– Se succede qualche cosa, vieni subito ad avvertirci.

– Si, mio gentleman.

– Conta su una sterlina fiammante.

Non avendo tazze, si servirono dei bicchieri, poco badando che vi fosse qualche residuo di Medoc, e di Bordeaux.

– Avrei preferito un buon caffè – disse Testa di Pietra, quando ebbe vuotato il terzo bicchiere, che doveva essere l’ultimo. – Ed ora, Piccolo Flocco?

– Aspettiamo la tua Nelly.

– Allora cerca il tabacco e fumiamo. Mi annoio enormemente e sai perché?

– Manca l’odore del catrame.

– Precisamente, mio piccolo amico.

Il pacco di tabacco fu subito trovato e i due uomini cominciarono a fumare furiosamente in attesa d’un’altra chiamata.

Non era trascorsa un’ora quando mastro Taverna si mise a gridare.

– La miss! la miss!

– Rimani qui, Piccolo Flocco, – disse il bretone – e lascia sbrigare a me quest’affare.

Afferrò la fune e s’inerpicò rapidamente, ansioso di rivedere la cameriera.

Diana, o meglio Nelly, come si ostinava a chiamarla il bretone, lo aspettava.

– Nel vedere il simpatico marinaio, prima arrossì, poi impallidì esclamando:

– Voi!

– Quante ore d’angoscia mi avete fatte passare, mia dolce Nelly, – disse il bretone. – Non ho chiuso gli occhi un solo momento pensando a voi.

– Vi credo, marinaio, – rispose la miss. – L’amore turba.

– Lasciamo per il momento l’amore, e ditemi che ne hanno fatto dei mio comandante.

– Lo hanno chiuso nella torre del castello d’Oxford – rispose la cameriera.

– Non vi sono altre prigioni in Boston?

– Che ne so io?

– E la vostra padrona?

– Si trova presso il marchese.

– Non è ancora morto quel cane?

– Guarisce anzi rapidamente.

– Per il borgo di Batz! – urlò il bretone. – Tutto va a rotoli! Che cosa si dice nel castello a proposito del baronetto?

La cameriera divenne pallidissima, poi disse con un fil di voce:

– Si dice che sarà impiccato posdomani.

– Da chi? – urlò il bretone.

– Dal carnefice.

– Ve n’è uno dunque in Boston?

– Sì, marinaio.

– Uno solo?

– Uno solo.

– Dove abita, quell’uomo?

– Di fronte al castello, in una vecchia casa dipinta a grandi scacchi rossi, che potreste riconoscere facilmente, perché non se ne trova una seconda in Boston.

– Lo conoscete?

– L’ho veduto due o tre volte impiccare ribelli.

– Che uomo è?

– Un antico galeotto, graziato perché strangoli i condannati

– Robusto?

– Quasi quanto voi.

– Va bene: avrà a che fare con me. Ora mia dolce Nelly, tornate subito al castello, e cercate in qualche modo di avvertire sir William che i suoi due marinai son sempre liberi e che pensano a salvarlo. Andate subito: i policemen potrebbero giungere da un momento all’altro, e non ho desiderio di farmi prendere.

Senza aspettare una parola dal suo merluzzo scavalcò il muricciuolo del pozzo e riguadagnò il suo rifugio.

Piccolo Flocco lo aspettava in preda ad una viva ansietà.

– Te lo avevo detto! – esclamò. – Bisogna fare sparire il carnefice.

– Sai almeno dove potremo trovarlo? – chiese il giovane gabbiere.

– So tutto, e basta. Accendi la pipa ed aspettiamo.

– Che cosa?

– Vorresti che andassi a pigliare per il collo un boia in pieno giorno? Il colpo lo faremo stasera. D’altronde, che cosa manca qui? Il tabacco non difetta i salciciotti abbondano insieme col cacio canadese, e le bottiglie non si contano.

Testa di Pietra ruppe un altro pacco di Maryland e si mise a fumare.

Aveva ben altro per il capo, il brav’uomo! Era il comandante che lo preoccupava.

Le ore passavano, e mastro Taverna non si faceva più vivo. Cominciava ad annottare quando Testa di Pietra si decise a fare una salita.

– Vieni anche tu – disse a Piccolo Flocco. – Qualche cosa di grave dev’essere successo nella taverna. O ci prenderanno, o faremo una strage dei policemen. Odio quegli uomini!

S’aggrappò alla fune e salì lestamente fino alla bocca del pozzo.

Piccolo Flocco fu pronto a seguirlo.

– Per il borgo di Batz! – esclamò il mastro. – Non odo nessun rumore: che mastro Taverna sia stato ucciso o portato via?

– Mah! – rispose il giovane gabbiere. – Non sono affatto tranquillo.

– E nemmeno io.

– Tieni pronta la pistola e la sciabola d’abbordaggio.

– Al tuo comando farò fuoco, poi monterò all’abbordaggio.

Essendo aperta la finestra del magazzino, da veri marinai vi saltarono dentro, ma subito sì fermarono.

Quattro guardie stavano in quel momento frugando i due letti, bestemmiando in pessimo inglese. Testa di Pietra fu lesto ad afferrare una pesante sedia.

– Che cosa fate qui? – domandò con voce tuonante. – Chi siete e che cosa desiderate nella mia casa?

I quattro agenti si guardarono l’un l’altro stupefatti, poi uno di loro rispose:

– Chi siete?

– Il padrone della Taverna – rispose audacemente il mastro.

– Voi?

– Io.

– Se l’abbiamo arrestato e già fucilato!

– Chi?

– Il taverniere.

– Perché?

– Era un traditore.

– Ah, canaglie! Sotto, Piccolo Flocco! Accoppiamoli.

Il giovane gabbiere si era pure armato d’una sedia assai pesante.

I due marinai in un baleno si scagliarono come due belve contro i quattro agenti. I colpi si succedevano ai colpi. Bastò un solo minuto perché i quattro disgraziati agenti giacessero a terra pesti dalle tremende seggiolate avute.

Fortunatamente l’Albergo delle trenta corna di bisonte si trovava in una viuzza poco frequentata e battuta, per la sua posizione, da bombe americane, sicché i due marinai poterono sbrigarsela coi quattro agenti senza che alcuno intervenisse.

– Gambe, ora! – disse Testa di Pietra, quando vide i quattro semisvenuti e nell’impossibilità di alzarsi. – Morte agli sbirri!

E scappò lesto come una saetta, seguito dal giovane gabbiere, il quale teneva ancora in mano un pezzo di sedia.

La notte era oscurissima, le vie deserte, le case ben chiuse; e solamente i proiettili americani si facevano sentire.

I due marinai, sempre correndo, giunsero sulla piazza del castello.

Lì presero respiro, e si guardarono l’un l’altro sorridendo.

– Ne abbiamo date, eh? – disse il mastro.

– L’abbiamo scampata bella! – aggiunse Piccolo Flocco. – Mi vedevo già preso, legato e impiccato.

– La vittoria deve sempre rimanere alla marina, diceva la buona anima di mio nonno, e sono fermamente convinto che avesse ragione su tutta la linea.

– L’avranno fucilato davvero, quel povero taverniere?

– Hai creduto, Piccolo Flocco, a quello che hanno detto gli agenti? Fucilare un miserabile taverniere! C’è da ridere. Un tale onore è riservato a pezzi grossi dell’esercito e della marina, che hanno tradito il paese.

– Allora lo avranno impiccato.

– Nemmeno – rispose il bretone. – Lo avranno arrestato, non ti dico di no, ma non s’impicca lì per lì un galantuomo, che non ha preso parte ad alcuna cospirazione.

– E noi, ora, che cosa facciamo?

– Le finestre del carnefice sono illuminate – rispose il bretone. Può dunque riceverci.

– E che cosa vorresti farne di lui, ora che non possiamo più ritornare alla taverna?

– Ti sei scordato della casamatta diroccata nella quale abbiamo cacciato quell’inglese?

– Vorresti portarlo là?

– Per ora sì.

– E con quale pretesto ti presenterai?

– Lascia fare a me – rispose il mastro – Quelli di Batz sono furbi.

Speak Your Mind

*

 

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.