Il taverniere aveva detto la verità, il nascondiglio esisteva. Non era veramente una stanza, ma nemmeno un nicchia, e cinque o sei uomini avrebbero potuto rifugiarsi abbastanza comodamente.
Testa di Pietra in un lampo lo ispezionò, e si dichiarò subito soddisfatto.
– Mi pare di trovarmi nella cala della Tuonante – disse il bravo uomo. – Sarà un po’ difficile che quelle canaglie di policemen vengano a trovarci quaggiù. Mastro Taverna è la perla degli albergatori. Saprò ricompensarlo.
In quel momento entrò Piccolo Flocco, il quale chiese subito:
– Come si sta?
– Magnificamente bene! – rispose il bretone. – Se fossi mastro Taverna, ci metterei cocomeri. Come si mangerebbero freschi! Quell’uomo non sa fare il suo mestiere, povero diavolo! E tutto deve dipendere dai suoi occhi di bue.
La voce sonora di mastro Taverna risuonò in quel momento dentro il pozzo come un colpo di cannone.
– Prendete il carico, miei gentIemen!
La fune era ridiscesa con due gigantesche ceste contenenti tabacco, bottiglie, salsicciotti, prosciutti, cacio del Canada, pagnotte e due grosse coperte di cotone.
– Ora mi pare che vada meglio – disse il bretone. Qui staremo benissimo, se mastro Taverna ci manderà tutto questo ben di Dio ogni giorno! Tuttavia preferirei essere a bordo della nostra corvetta.
– Per far che, Testa di Pietra? – chiese il giovane gabbiere. – Il momento non potrebbe essere più terribile. Si tratta della vita del nostro comandante.
– A chi lo dici? A me? Per il borgo di Batz! Non sai che sarei ben lieto di trovarmi al suo posto colla prospettiva di essere impiccato fra breve, pur di trarlo da quella condizione?
– Che cosa pensi di fare?
– Non lo so: ho la testa vuota. Questo colpo mi ha atterrato.
Testa di Pietra aveva fissato i suoi occhi su una bottiglia che portava la famosa marca Medoc. Decapitarla fu l’affare di un istante.
– In fondo a questa troverò la soluzione dell’arduo problema disse poi.
– Va’ a cercarla – rispose il giovane gabbiere. – Questo Medoc lo lascio tutto per te.
– Lo vuoterò fino all’ultima goccia. Guarda, vi è anche Bordeaux e, pare perfino impossibile, una bottiglia di champagne che berrai quando l’avremo calata nel pozzo. Questo vino si deve bere sempre gelato.
Il mastro fece onore a tutto quel ben di Dio. Piccolo Flocco, credette opportuno imitarlo.
Per un momento dimenticarono il loro comandante e la sua fidanzata: ma quando il mastro ebbe bevuto un paio di bicchieri del suo vino preferito ed ebbe accesa la pipa, riprese il discorso.
– L’affare è grave – disse.
– Pare anche a me – rispose Piccolo Flocco.
– E non so trovare una via d’uscita a tutto questo imbroglio. Capisci? Si tratta della vita del nostro comandante.
– Lo sanno anche i sordi a quest’ora. Bevi un altro bicchiere di Medoc.
– Hai ragione.
Il mastro si riempi il bicchiere, lo vuotò lentamente, guardandovi dentro come faceva sempre, poi disse:
– Bisogna aspettare la cameriera.
– È tutta qui la tua trovata? Si direbbe che i bretoni di Batz invecchiano troppo presto.
– Fulmini e vulcani! – gridò il mastro, scaraventando nel pozzo la bottiglia ormai vuota. Hai ragione, Piccolo Flocco. Sei giovane e non hai il cervello fossilizzato; potrai quindi scovare qualche cosa di buono. Alla prova, amico!…
– Credo che faremmo bene a tornare al più presto a bordo della corvetta giacché il passaggio della mina è stato ristabilito.
– E dopo?
– E tornare quassù con un drappello di marinai scelti, per tentare di salvare il comandante.
– In mezzo a dieci o dodicimila uomini? No, ho invece un’altra idea, – disse Testa di Pietra.
– Dilla.
– Impadronirci del carnefice, affinché non impicchi il baronetto e gettarlo in questo pozzo.
– E se invece lo fucilassero, il comandante?
– No, gl’inglesi amano troppo la corda e lo impiccheranno.
– E perché prendere il carnefice?
– Per guadagnare tempo.
– Ne troveranno un altro.
– Non se ne trovano, in una città, due che facciano quel pessimo mestiere. Sparito il carnefice, saranno costretti a rimandare l’esecuzione; e chi sa che intanto la piazza non si arrenda. Sono a corto di viveri gl’inglesi, e credo anche di munizioni: aiuti dall’Inghilterra non ne giungono, quindi saranno obbligati un giorno o l’altro a capitolare, se non vorranno morire di fame.
– Sei furbo.
– Ora solamente te ne accorgi? Sono di Batz io!
– Lo so – rispose il giovane gabbiere un po’ mortificato.
– Dunque andremo a dire due parole al carnefice! Lo porteremo via, e se non vorrà morire annegato, prenderà il nostro posto.
– Riusciremo.
– Rispondo di tutto. Lasciami dormire; così intanto le idee matureranno meglio.
– Credo che per il momento non ci sia niente da fare – rispose il giovane gabbiere. – Con questa frescura dormiremo come ghiri
Si avvolsero nelle due coperte, spensero la candela, e, si addormentarono placidamente. La notte passò tranquillissima, e chi sa quanto i due marinai avrebbero dormito, se qualche ora dopo l’alba la voce di mastro Taverna, non avesse destato l’eco della piccola camera.
Il bretone, fu il primo a balzare in piedi.
– Novità? – chiese.
– Ci sono stati i policemen.
– E che cosa hanno fatto?
– Hanno frugato tutto l’albergo ed hanno fatto vestire il tedesco, finalmente desto – rispose mastro Taverna.
– E la signora?
– Non è stata disturbata, ed è già partita per il castello, promettendomi di ritornar presto.
– Torneranno quei cani di policemen?
– Può darsi; ma potete contare sulla mia fedeltà. Non vi tradirò a nessun prezzo.
– Lo sapevo che eri un brav’uomo – rispose il bretone. – Diversamente non avrei messo i piedi nella sua taverna. Puoi calarci del thè? Fa freddo quaggiù, ed una bevanda calda ci farebbe bene.
– Subito, signore.
Anche Piccolo Flocco si era svegliato.
– Che vogliono arrestare anche noi? – chiese a Testa di Pietra.
– Pare – rispose il bretone. molto preoccupato. – Qui non spira più buon vento per noi, mio giovane amico, e faremo bene ad alzare i talloni al più presto.
– Ma non prima d’aver riveduta la tua Nelly.
La voce del taverniere si fece nuovamente udire. Annunciava il thè.
– Giunge in tempo – disse il mastro; che cominciava ad aver brividi di freddo.
Si avvicinò all’uscita di quello strano rifugio e vide scendere per mezzo di una sagola un bel bricco pieno dell’aromatica bevanda
– Questa è la perla dei tavernieri! – disse Piccolo Flocco. – – Non se ne troverebbe un altro in tutto il mondo.
– Lo credo anch’io – rispose Testa di Pietra slegando lestamente il bricco.
Poi, alzando la voce, gridò:
– Se succede qualche cosa, vieni subito ad avvertirci.
– Si, mio gentleman.
– Conta su una sterlina fiammante.
Non avendo tazze, si servirono dei bicchieri, poco badando che vi fosse qualche residuo di Medoc, e di Bordeaux.
– Avrei preferito un buon caffè – disse Testa di Pietra, quando ebbe vuotato il terzo bicchiere, che doveva essere l’ultimo. – Ed ora, Piccolo Flocco?
– Aspettiamo la tua Nelly.
– Allora cerca il tabacco e fumiamo. Mi annoio enormemente e sai perché?
– Manca l’odore del catrame.
– Precisamente, mio piccolo amico.
Il pacco di tabacco fu subito trovato e i due uomini cominciarono a fumare furiosamente in attesa d’un’altra chiamata.
Non era trascorsa un’ora quando mastro Taverna si mise a gridare.
– La miss! la miss!
– Rimani qui, Piccolo Flocco, – disse il bretone – e lascia sbrigare a me quest’affare.
Afferrò la fune e s’inerpicò rapidamente, ansioso di rivedere la cameriera.
Diana, o meglio Nelly, come si ostinava a chiamarla il bretone, lo aspettava.
– Nel vedere il simpatico marinaio, prima arrossì, poi impallidì esclamando:
– Voi!
– Quante ore d’angoscia mi avete fatte passare, mia dolce Nelly, – disse il bretone. – Non ho chiuso gli occhi un solo momento pensando a voi.
– Vi credo, marinaio, – rispose la miss. – L’amore turba.
– Lasciamo per il momento l’amore, e ditemi che ne hanno fatto dei mio comandante.
– Lo hanno chiuso nella torre del castello d’Oxford – rispose la cameriera.
– Non vi sono altre prigioni in Boston?
– Che ne so io?
– E la vostra padrona?
– Si trova presso il marchese.
– Non è ancora morto quel cane?
– Guarisce anzi rapidamente.
– Per il borgo di Batz! – urlò il bretone. – Tutto va a rotoli! Che cosa si dice nel castello a proposito del baronetto?
La cameriera divenne pallidissima, poi disse con un fil di voce:
– Si dice che sarà impiccato posdomani.
– Da chi? – urlò il bretone.
– Dal carnefice.
– Ve n’è uno dunque in Boston?
– Sì, marinaio.
– Uno solo?
– Uno solo.
– Dove abita, quell’uomo?
– Di fronte al castello, in una vecchia casa dipinta a grandi scacchi rossi, che potreste riconoscere facilmente, perché non se ne trova una seconda in Boston.
– Lo conoscete?
– L’ho veduto due o tre volte impiccare ribelli.
– Che uomo è?
– Un antico galeotto, graziato perché strangoli i condannati
– Robusto?
– Quasi quanto voi.
– Va bene: avrà a che fare con me. Ora mia dolce Nelly, tornate subito al castello, e cercate in qualche modo di avvertire sir William che i suoi due marinai son sempre liberi e che pensano a salvarlo. Andate subito: i policemen potrebbero giungere da un momento all’altro, e non ho desiderio di farmi prendere.
Senza aspettare una parola dal suo merluzzo scavalcò il muricciuolo del pozzo e riguadagnò il suo rifugio.
Piccolo Flocco lo aspettava in preda ad una viva ansietà.
– Te lo avevo detto! – esclamò. – Bisogna fare sparire il carnefice.
– Sai almeno dove potremo trovarlo? – chiese il giovane gabbiere.
– So tutto, e basta. Accendi la pipa ed aspettiamo.
– Che cosa?
– Vorresti che andassi a pigliare per il collo un boia in pieno giorno? Il colpo lo faremo stasera. D’altronde, che cosa manca qui? Il tabacco non difetta i salciciotti abbondano insieme col cacio canadese, e le bottiglie non si contano.
Testa di Pietra ruppe un altro pacco di Maryland e si mise a fumare.
Aveva ben altro per il capo, il brav’uomo! Era il comandante che lo preoccupava.
Le ore passavano, e mastro Taverna non si faceva più vivo. Cominciava ad annottare quando Testa di Pietra si decise a fare una salita.
– Vieni anche tu – disse a Piccolo Flocco. – Qualche cosa di grave dev’essere successo nella taverna. O ci prenderanno, o faremo una strage dei policemen. Odio quegli uomini!
S’aggrappò alla fune e salì lestamente fino alla bocca del pozzo.
Piccolo Flocco fu pronto a seguirlo.
– Per il borgo di Batz! – esclamò il mastro. – Non odo nessun rumore: che mastro Taverna sia stato ucciso o portato via?
– Mah! – rispose il giovane gabbiere. – Non sono affatto tranquillo.
– E nemmeno io.
– Tieni pronta la pistola e la sciabola d’abbordaggio.
– Al tuo comando farò fuoco, poi monterò all’abbordaggio.
Essendo aperta la finestra del magazzino, da veri marinai vi saltarono dentro, ma subito sì fermarono.
Quattro guardie stavano in quel momento frugando i due letti, bestemmiando in pessimo inglese. Testa di Pietra fu lesto ad afferrare una pesante sedia.
– Che cosa fate qui? – domandò con voce tuonante. – Chi siete e che cosa desiderate nella mia casa?
I quattro agenti si guardarono l’un l’altro stupefatti, poi uno di loro rispose:
– Chi siete?
– Il padrone della Taverna – rispose audacemente il mastro.
– Voi?
– Io.
– Se l’abbiamo arrestato e già fucilato!
– Chi?
– Il taverniere.
– Perché?
– Era un traditore.
– Ah, canaglie! Sotto, Piccolo Flocco! Accoppiamoli.
Il giovane gabbiere si era pure armato d’una sedia assai pesante.
I due marinai in un baleno si scagliarono come due belve contro i quattro agenti. I colpi si succedevano ai colpi. Bastò un solo minuto perché i quattro disgraziati agenti giacessero a terra pesti dalle tremende seggiolate avute.
Fortunatamente l’Albergo delle trenta corna di bisonte si trovava in una viuzza poco frequentata e battuta, per la sua posizione, da bombe americane, sicché i due marinai poterono sbrigarsela coi quattro agenti senza che alcuno intervenisse.
– Gambe, ora! – disse Testa di Pietra, quando vide i quattro semisvenuti e nell’impossibilità di alzarsi. – Morte agli sbirri!
E scappò lesto come una saetta, seguito dal giovane gabbiere, il quale teneva ancora in mano un pezzo di sedia.
La notte era oscurissima, le vie deserte, le case ben chiuse; e solamente i proiettili americani si facevano sentire.
I due marinai, sempre correndo, giunsero sulla piazza del castello.
Lì presero respiro, e si guardarono l’un l’altro sorridendo.
– Ne abbiamo date, eh? – disse il mastro.
– L’abbiamo scampata bella! – aggiunse Piccolo Flocco. – Mi vedevo già preso, legato e impiccato.
– La vittoria deve sempre rimanere alla marina, diceva la buona anima di mio nonno, e sono fermamente convinto che avesse ragione su tutta la linea.
– L’avranno fucilato davvero, quel povero taverniere?
– Hai creduto, Piccolo Flocco, a quello che hanno detto gli agenti? Fucilare un miserabile taverniere! C’è da ridere. Un tale onore è riservato a pezzi grossi dell’esercito e della marina, che hanno tradito il paese.
– Allora lo avranno impiccato.
– Nemmeno – rispose il bretone. – Lo avranno arrestato, non ti dico di no, ma non s’impicca lì per lì un galantuomo, che non ha preso parte ad alcuna cospirazione.
– E noi, ora, che cosa facciamo?
– Le finestre del carnefice sono illuminate – rispose il bretone. Può dunque riceverci.
– E che cosa vorresti farne di lui, ora che non possiamo più ritornare alla taverna?
– Ti sei scordato della casamatta diroccata nella quale abbiamo cacciato quell’inglese?
– Vorresti portarlo là?
– Per ora sì.
– E con quale pretesto ti presenterai?
– Lascia fare a me – rispose il mastro – Quelli di Batz sono furbi.
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