A Raimangal (seconda parte)

Vedendo i due indiani alzare le carabine, si gettarono prontamente nel fondo del canotto.
– Non rispondere, padrone, – disse il maharatto, o siamo perduti.
Due colpi di carabina rintronarono forando i bambù. La tigre fece un salto emettendo un furioso miagolìo.
– Ferma, Darma! – disse Tremal-Naik, rovesciandola.
– Che la dea mi fulmini! – gridò uno dei due indiani. – E’ lui.
– Da’ il segnale, Huka! – comandò l’altro. – Ah! miserabile!
Qualche cosa di lampeggiante brillò al disopra del canotto seguito da uno scroscio formidabile che soffocò l’acuta nota del “ramsinga”.
Tremal-Naik e Kammamuri, che si erano alzati, furono violentemente atterrati mentre la tigre gettava un secondo miagolìo ancor più furioso del primo.
– Padrone! – esclamò Kammamuri. – La folgore!
Tremal-Naik, ancora istupidito dall’influenza della scarica elettrica s’alzò ginocchioni. Un grido di rabbia gli sfuggì.
– Maledizione!… Abbruciamo!
Infatti i bambù, percossi dalla folgore, avevano preso fuoco e abbruciavano rapidamente.
– Siamo perduti! – esclamò Kammamuri. – Nel fiume! Nel fiume!
– Non muoverti, se ti è cara la vita.
Tremal-Naik prese fra le braccia l’ammasso di canne e con uno sforzo disperato le gettò nel fiume.
– E’ lui! – gridò una voce.- Fuoco! Huka!…
Due altre detonazioni rimbombarono. Tremal-Naik udì le palle fischiare ai suoi orecchi.
– Da’ il segnale, Huka!
– Siamo perduti, padrone! – gridò Kammamuri.
– Non muoverti, – disse Tremal-Naik. – Afferra la tigre.
Si slanciò a poppa e mirò l’indiano Huka che accostava alle labbra il “ramsinga”.
Lo scoppio della carabina fu accompagnato da un tonfo e da un grido.
Huka, colpito in fronte dall’infallibile palla del “cacciatore di serpenti”, era precipitato nel fiume.
Il suo compagno esitò un momento, poi fuggì a rompicollo attraverso la jungla, suonando furiosamente il “ramsinga” che aveva raccolto da terra.
Tremal-Naik gli sparò dietro una pistolettata, ma senza riuscire a colpirlo.
– Fallito! – gridò egli, gettando con collera l’arma. – Siamo scoperti!
– Cosa facciamo, padrone? – chiese Kammamuri. – Mi pare che ogni speranza di approdare a Raimangal sia perduta; il “ramsinga” metterà in allarme tutti gl’indiani. Maledetta folgore!…
– Andiamo innanzi lo stesso, Kammamuri. Questa notte non ci arresteranno tutti gl’indiani delle “Sunderbunds”. Da’ mano ai remi ed arranca con quanta forza hai; forse arriveremo prima che i miserabili possano prepararsi a riceverci. Io terrò d’occhio le due rive del fiume e abbatterò quanti si mostrano a portata della mia carabina.
Avanti!
Kammamuri voleva aggiungere qualche parola, forse qualche consiglio, ma Tremal-Naik non gliene lasciò il tempo.
– Se hai paura, sbarca, – gli disse. – Io e la tigre andremo innanzi.
– Ti seguo, padrone, e Siva ci protegga.
Afferrò i remi, si sedette a mezza barca e si mise a remigare con tutte le sue forze. Il canotto, sotto quella potente spinta, discese la fiumana con rapidità vertiginosa, balzando sulle onde.
Tremal-Naik, caricata la carabina, si mise a poppa cogli occhi fissi sulle due rive. La tigre si era accovacciata ai suoi piedi e brontolava sordamente ad ogni baleno.
Passarono dieci minuti. Le rive, che fuggivano rapidamente dinanzi agli occhi dei due indiani, erano coperte di bambù che tuffavansi nella corrente e da rade palme tara, la maggior parte delle quali abbattute o spezzate dalla furia dell’uragano.
D’un tratto Tremal-Naik, che seguiva attentamente il corso del fiume scorse al sud un razzo elevarsi a grande altezza. Quantunque il vento continuasse a ruggire e la folgore a scrosciare, udì distintamente lo scoppio.
– Un segnale forse? mormorò egli. – Arranca, arranca Kammamuri!
Un secondo razzo si elevò sulla riva opposta descrivendo una lunga parabola.
– Padrone? – interrogò Kammamuri.
– Avanti, mio prode maharatto. – Siamo stati segnalati.
– La mia Ada corre un pericolo: avanti! Attenta, Darma: l’ora della pugna s’avvicina.
Il fiume allora correva più rapido restringendosi a mo’ di collo di bottiglia; Tremal-Naik s’accorse di essere vicino al cimitero galleggiante. Senza sapere il perché, provò un fremito.
– Adagio, Kammamuri. Sento che corriamo un pericolo.
Il maharatto rallentò la battuta delle pagaie. Il canotto continuò a filare ed entrò in mezzo al bacino, coperto dalla fitta volta dei tamarindi e dei manghieri. L’oscurità divenne profonda, tanto che i due indiani non vedevano più lontano di cinque passi.
Il canotto urtò contro la massa dei cadaveri, ed un tonfo, come di un corpo che s’inabissa, rispose al primo urto.
– Padrone, hai udito? – chiese Kammamuri.
– Sì, qualcuno si è gettato in acqua.
Tremal-Naik si curvò sul fiume per vedere se qualcuno s’avvicinava al canotto, ma nulla scorse.
Il canotto per la seconda volta urtò.
– Qualcuno passa, – disse una voce che giunse fino ai due indiani.
– Che sieno loro?
– Oppure dei nostri? L’appuntamento è per la mezzanotte.
Tremal-Naik a quella parola “mezzanotte” provò un colpo al cuore.
– Mezzanotte! – mormorò, con voce tremante. L’appuntamento per la mezzanotte! Quale sospetto!
– Olà! – gridò una di quelle voci. – Chi passa?
– Non rispondere, padrone, s’affrettò a dire Kammamuri.
– Al contrario, risponderò. Bisogna che sappia tutto.
– Ti perdi.
– Chi parla? – chiese Tremal-Naik.
– Chi passa? – domandò invece la voce.
– Indiani di Raimangal.
– Affrettate, che la mezzanotte non è lontana.
– Cosa si farà a mezzanotte?
– La vergine della sacra pagoda sale sul rogo.
Tremal-Naik soffocò un urlo che stava per sfuggirgli dalle labbra.
– Siva, Siva, abbi pietà di lei! mormorò.
Poi, dominando la sua commozione, chiese:
– Non è morto, adunque, Tremal-Naik?
– No, fratello, poiché Manciadi non è ancora tornato.
– E la Vergine verrà abbruciata?
– Sì, alla mezzanotte. Il rogo è pronto e la fanciulla salirà nel paradiso di Kâlì.
– Grazie, fratello, – rispose con voce soffocata Tremal-Naik.
– Una parola ancora. Hai udito il “ramsinga”?
– No.
– Hai veduto Huka?
– Sì, accanto al falò.
– Sai dove si brucierà la Vergine?
– Nei sotterranei, mi pare.
– Sì, nella grande pagoda sotterranea. Affrettati che la mezzanotte non deve essere lontana. Addio, fratello.
– Arranca, Kammamuri, arranca! – ruggì Tremal-Naik. – Ada! mia povera Ada!
Un singhiozzo lacerò il suo petto e soffocò la sua voce.
Kammamuri afferrò i remi e si mise ad arrancare con disperata energia.
Il canotto sfondò violentemente la massa dei cadaveri ed uscì dalla parte opposta.
– Presto!… presto! – disse Tremal-Naik, fuori di sé. – A mezzanotte salirà il rogo… Arranca, Kammamuri!
Il maharatto non aveva bisogno di essere eccitato. Arrancava così furiosamente, che i muscoli minacciavano di fargli scoppiare la pelle.
Il canotto attraversò il bacino ed entrò rapido come un dardo nel fiume. Tosto apparve l’estrema punta di Raimangal col suo gigantesco “banian” i cui smisurati rami si contorcevano in mille guise sotto i possenti soffi della burrasca.
Un lampo ruppe le tenebre mostrando la riva completamente deserta.
– Siva è con noi! – esclamò Kammamuri.
– Avanti, maharatto, avanti! – disse Tremal-Naik, che s’era gettato a prora.
Il canotto spinto innanzi a tutta velocità s’arenò sulla sponda, uscendo d’un buon terzo dall’acqua.
Tremal-Naik, caricatosi in furia delle munizioni, Kammamuri e la tigre si slanciarono a terra, raggiungendo il tronco principale del “banian sacro”.
– Odi nulla? – chiese Tremal-Naik.
– Nulla, – disse Kammamuri. – Gl’indiani sono tutti nel sotterraneo.
– Hai paura a seguirmi?
– No, padrone, rispose con ferma voce il maharatto.
– Quando è così, scendiamo anche noi. La mia Ada o la morte!
S’aggrapparono ai colonnati e raggiunsero i rami superiori, avvicinandosi alla smezzata sommità del tronco. La tigre con un salto solo li raggiunse.
Tremal-Naik guardò giù nella cavità. Al chiarore dei lampi scorse delle tacche, che permettevano di discendere.
– Andiamo, mio prode maharatto. Io ti precedo.
E si lasciò calare nel tronco, scendendo silenziosamente. Il maharatto e Darma lo seguirono da vicino.
Cinque minuti dopo i due indiani e la tigre si trovavano nel sotterraneo, in una specie di pozzo semi-circolare scavato nella viva roccia, sei metri sotto il livello delle “Sunderbunds”.

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