Il trionfo degli strangolatori (prima parte)

I sotterranei di Raimangal, abitati dai settari di Kâlì, erano vasti quanto mai, forse assai più dei famosi sotterranei di Mavalipuran e di Ellora.
Infinite gallerie solcavano il sottosuolo in mille direzioni, alcune tanto basse da non tenervisi in piedi un uomo, altre altissime e vaste, alcune diritte, altre tortuose che salivano a toccare la superficie pantanosa dell’isola o che scendevano nelle viscere della terra.
Qua antri orribili, umidi, freddi, oscurissimi, da secoli e secoli disabitati; colà caverne, spelonche, pagode adorne di mostruose e bizzarre figure della mitologia indiana e ingombre di colonnati, e più oltre pozzi che mettevano in sotterranei ancor più tenebrosi e forse ancora ignorati dagli strangolatori.
Tremal-Naik, fatto il colpo, s’era slanciato sotto le nere volte della prima galleria trovatasi a lui dinanzi, seguito da Kammamuri e dalla tigre.
Non sapeva dove andava a terminare, ma non se ne curava più che tanto.
Non ci vedeva, ma non si dava, almeno pel momento, pensiero alcuno.
A lui bastava fuggire, a lui bastava frapporre fra sé e gli strangolatori il maggiore spazio possibile, prima che si riavessero dalla sorpresa e dal terrore cagionato dall’improvvisa comparsa della tigre, e che organizzassero la caccia all’uomo.
Aveva gettato una parte delle sue munizioni per essere più leggiero e correva colla massima velocità, senza deviare.
Fra le braccia stringeva sempre la giovanetta svenuta e, ponendo ogni cura a salvaguardarla da qualsiasi urto, ripeteva di quando in quando:
– Salva! Salva!… Io divento pazzo!…
E nel suo eccitamento ritrovava sempre maggiori forze; quel fardello gli sembrava più leggiero e precipitava la rapidissima corsa, pauroso di essere raggiunto dai suoi feroci nemici.
Kammamuri gli teneva dietro con grande fatica, brancolando fra l’oscurità, fiancheggiato dalla fedele Darma che fendeva lo spazio con slanci immensi, emettendo di quando in quando un sordo miagolìo.
– Frenati, padrone, – ripeteva il povero maharatto. – Io mi perdo.
Tremal-Naik invece raddoppiava sempre la corsa e rispondeva invariabilmente:
– Più avanti!… più avanti!… Salva!… Salva!… io divento pazzo!…
Correva da dieci minuti, quando urtò furiosamente contro una parete che sbarravagli il passo. L’urto fu così forte, che cadde pesantemente a terra trascinando seco Ada.
Si rialzò prontamente tenendo sempre stretta fra le braccia la giovanetta e diede di cozzo contro Kammamuri, il quale trasportato dallo slancio, stava per rompersi il cranio contro la parete.
– Padrone! – esclamò il maharatto, atterrito. Cosa succede?
– La via è sbarrata! – esclamò Tremal-Naik volgendo all’intorno uno sguardo feroce.
– Fermiamoci, padrone.
Tremal-Naik stava per rispondere, quando in lontananza si udirono urla spaventevoli. Fece un salto indietro emettendo un grido di rabbia e di disperazione.
– I “thugs”!
– Padrone!…
– Corri, Kammamuri, corri!…
Volse a destra e riprese la corsa, ma dopo dieci passi tornò ad urtare. Gli si rizzarono i capelli sul capo.
– Maledizione! – tuonò. – Siamo adunque rinchiusi? – Si precipitò a sinistra e urtò contro una terza parete. La tigre, che si era pure scagliata contro le roccie, fece udire un miagolìo che si cangiò ben presto in un formidabile ruggito.
Tremal-Naik si volse indietro. Ebbe per un istante l’idea di ritornare sui propri passi per cercare un’altra galleria, ma il timore di trovarsi improvvisamente dinanzi ai settari, lo trattenne.
Se fosse stato solo, non avrebbe esitato a scagliarsi in mezzo all’orda che stava per rinchiuderlo nell’antro, fosse pur stato sicuro di uscire ferito dalla pugna ineguale.
Ma cimentarsi, ora che aveva strappato dalla morte colei che amava cimentarsi ora che aveva raggiunto il suo scopo, lo spaventava.
E nondimeno bisognava uscire a ogni costo da quella caverna, che poteva diventare, fra brevi istanti, una tomba.
– Ma sono io adunque maledetto dai numi? – esclamò egli furente- Dovrò io adunque perire ora che stringo fra le mie braccia colei che mi doveva far felice? Ah no! no, Ada, non ti avranno quegli uomini, dovessi lasciare la vita nella pugna!
Si mise a indietreggiare a lenti passi, cogli occhi fissi sotto la galleria e gli orecchi tesi, poi si curvò e depose dolcemente a terra la giovanetta. Si strappò con rapido gesto le pistole dalla cintola e le armò.
– Darma! – disse. La tigre gli si avvicinò.
– Rimani presso questa donna, – comandò Tremal-Naik. – Non ti muovere se non quando ti chiamerò. Se qualcuno s’avvicina, sbranalo senza pietà.
– Cosa vuoi fare, padrone? – chiese Kammamuri.
– Bisogna uscire da qui, – disse Tremal-Naik. – Andremo a cercare una galleria che ci permetta di ritirarci in un luogo sicuro. Vieni, Kammamuri.
Il maharatto, dopo di aver vagato per qualche minuto fra le tenebre lo raggiunse. Si udì il rumore delle pistole che armava.
– Sono pronto, padrone, – disse.
– Andiamo, mio prode amico.
– E se incontriamo i “thugs”?
– Ci ritireremo e daremo battaglia.
I due indiani riguadagnarono la galleria, e non senza una viva emozione s’incamminarono. Tremal-Naik, voltandosi, scorse fra l’oscurità gli occhi verdi della tigre.
– Posso fidarmi, – mormorò. – Non temere, Ada, che noi ti salveremo.
Soffocò un sospiro e tirò innanzi, camminando curvo e sulla punta dei piedi, tastando con una mano la parete di sinistra. Kammamuri, cinque passi più indietro, tastava la parete di destra. Si avanzarono per pochi minuti, poi s’arrestarono entrambi, trattenendo il respiro. Si udiva nel fondo della galleria un lieve rumore, come un fremito. Si avrebbe detto che una o più persone venivano avanti, strisciando come serpenti.

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