Si strappò di dosso la larga fascia di cachemire, la stese per terra, vi depose sopra la giovanetta e le si inginocchiò accanto, poi diede fuoco ad una piccola torcia resinosa. Tosto una luce azzurrognola illuminò il sotterraneo. Era questo assai vasto, colle pareti di pietra qua e là screpolate e scolpite bizzarramente. La volta era pure adorna di sculture rappresentanti teste d’elefanti e divinità indiane e s’alzava, nel mezzo, verso la bocca del pozzo, formando una specie di gigantesco imbuto rovesciato.
Tremal-Naik, estremamente commosso, pallido, tremante si curvò sulla giovanetta e le slacciò la corazza d’oro i cui diamanti mandavano sprazzi di luce viva. Quella bella creatura era fredda come un marmo e bianca come l’alabastro. Aveva gli occhi chiusi e circondati da un cerchio azzurro, i lineamenti alterati e le labbra semi-aperte che lasciavano a nudo i candidissimi denti: si sarebbe detto che era morta.
Tremal-Naik le rialzò delicatamente i lunghi e neri capelli che le cadevano sulla nivea fronte e la contemplò per alcuni istanti, rattenendo persino il respiro.
Indi a poco la toccò in fronte e quel contatto strappò alla giovanetta un lieve sospiro.
– Ada!… Ada!… esclamò l’indiano.
La testa della giovanetta chinata su di una spalla, si alzò lentamente, poi le palpebre si aprirono e lo sguardo si fissò sul volto di Tremal-Naik. Un grido uscì da quelle labbra.
– Mi riconosci, Ada? – chiese Tremal-Naik.
– Tu… tu qui, Tremal-Naik! – esclamò ella con voce fioca. – No…
non è possibile… Dio, fa’ che non sia un sogno!…
Chinò la testa sul petto e scoppiò in lagrime.
– Ada! – mormorò Tremal-Naik, atterrito. – Perché piangi?… Non mi ami più adunque?…
– Ma sei tu, proprio tu, Tremal-Naik?
– Sì, Ada, io, giunto in tempo per salvarti.
Ella rialzò il viso bagnato di lagrime. Le sue manine strinsero affettuosamente quelle del prode indiano.
– No, non è un sogno! – esclamò ella ridendo e piangendo ad un tempo.
– Sì, sei tu, proprio tu!… Ma dove sono io?… Perché queste umide pareti?… Perché quella torcia?… Ho paura, Tremal-Naik…
– Sei presso di me, Ada, al sicuro dai colpi dei nemici. Non aver paura che io ti difendo.
Ella lo guardò per alcuni istanti con strana fissazione, poi divenne più pallida d’una morta e tremò in tutte le membra.
– Ho sognato? – mormorò ella.
– Non hai sognato, – disse Tremal-Naik che indovinò il suo pensiero.- Essi stavano per sacrificarti alla loro spaventevole divinità.
– Sacrificarmi… Sì, sì, mi ricordo di tutto. M’avevano offuscata la ragione, m’avevano promesso felicità nel paradiso di Kâlì… sì, sì, mi ricordo che mi trascinavano sotto le gallerie… che mi stordivano colle loro urla; il fuoco ardeva a me dinanzi… stavano per gettarmi sulle fiamme… orrore!… Ho paura!… ho paura, Tremal-Naik!
L’indiano le rispose con voce commossa.
– Non tremare, vaga “vergine della pagoda”, sei a me vicina, presso il “cacciatore di serpenti” che giammai ebbe paura, difesa dal forte braccio di Kammamuri e dagli artigli della mia fedele Darma.
– No, non avrò paura, al tuo fianco, valoroso Tremal-Naik. Ma come sei qui tu? Come mai giungesti in tempo per salvarmi? Cos’è accaduto dopo quella notte orribile che fui strappata dalla pagoda? Quanto ho sofferto, Tremal-Naik, da quel tempo. Quante lagrime, quante angoscie, quanti tormenti! Credevo che i miserabili ti avessero assassinato ed aveva già perduto ogni speranza di rivedere colui che m’aveva promesso di salvarmi.
– Ed io, credi che non abbia sofferto nella mia jungla, lontano da te?
Credi tu che non abbia provato dei tormenti, quando colpito al petto dal pugnale degli assassini, languivo impotente nel fondo di un’amaca?
– Che?… Tu pugnalato?
– Sì, ma ora non porto che la cicatrice.
– E tu sei venuto ancora in quest’isola maledetta?
– Sì, Ada, e ci sarei venuto anche se avessi saputo di non ritornare mai più vivo nella mia jungla. Un miserabile mi aveva confessato che tu correvi il pericolo di venire sacrificata alla divinità di questi uomini. Poteva io rimanere nella jungla nera? Partii, anzi volai, scesi in queste caverne e piombai in mezzo all’orda. Appena ti ebbi strappata dai loro artigli fuggii e qui mi nascosi coi miei compagni.
– Non siamo adunque soli qui?
– No, abbiamo il prode Kammamuri e Darma.
– Oh! io voglio vederli questi tuoi compagni.
– Kammamuri! Darma!
Il maharatto e la tigre s’accostarono al padrone.
– Ecco Kammamuri, – disse Tremal-Naik, – un vero valoroso.
Il maharatto cadde ai piedi della giovanetta baciandole la mano che le porgeva.
– Grazie, mio buon amico, diss’ella.
– Padrona, – rispose Kammamuri, – mia buona padrona, io sono tuo schiavo. Fa’ di me quello che tu vuoi. Sarò felice di perdere la mia vita per la tua libertà e…
S’arrestò di botto balzando in piedi. Tremal-Naik, malgrado il suo straordinario coraggio, rabbrividì.
Un lontano fragore erasi improvvisamente udito e andava avvicinandosi rapidamente.
– Giungono? – si chiese Tremal-Naik, stringendo colla sinistra la mano della fidanzata ed afferrando colla destra una pistola.
La tigre mandò un sordo brontolìo Il rumore s’avvicinava sempre. Passo sopra le loro teste facendo tremare le volte della spelonca, poi cessò tutto d’un colpo. Padrone, – mormorò Kammamuri, – spegni il fuoco! – Tremal-Naik ubbidì e tutti e quattro si seppellirono nelle tenebre. Il medesimo fragore tornò a ripetersi, ripassò sulle loro teste e come prima cessò presso al pozzo. Ada tremò così forte, che l’indiano se ne accorse.
– Sono qui io a difenderti, – le disse. – Nessuno scenderà quaggiù.
– Ma cos’è? – chiese Kammamuri.-Ne sai nulla, Ada?
– Questo rumore l’ho udito ancora, – rispose con un filo di voce la giovanetta. – Non seppi mai cosa significasse, né chi lo producesse.
La tigre emise un secondo brontolìo e guardò fisso fisso la gola del pozzo .
– Kammamuri, – disse Tremal-Naik – qualcuno si avvicina.
– Sì, la tigre lo ha udito.
– Rimani presso Ada. Io vado a vedere se scendono.
La giovanetta s’aggrappò a lui, tremando per fortissimo spavento e:
– Tremal-Naik! Tremal-Naik! – mormorò con voce appena percettibile.
– Non temere, Ada, – rispose l’indiano, che in quell’istante avrebbe pugnato contro mille uomini.
Si svincolò dalle braccia della fidanzata, e s’avvicinò al pozzo col coltellaccio fra i denti e la carabina armata. La tigre lo seguiva, brontolando.
Non aveva fatto dieci passi che udì in alto un lieve crepitìo. Passò la mano sulla testa di Darma come per raccomandarle silenzio, e s’avvicinò con maggior precauzione, arrestandosi sotto l’apertura del pozzo.
Guardò su, ma l’oscurità era troppo fitta per distinguere qualche cosa. Tendendo bene l’orecchio, raccolse un lieve bisbiglio. Si sarebbe detto che alcune persone parlavano presso il muricciuolo.
– Eccoli, – mormorò egli. – A noi due, Suyodhana. – Non aveva ancora terminato che un bagliore illuminò la sovrastante spelonca.
Per quanto fosse stato rapido, Tremal-Naik scorse, chinati sul pozzo, sei o sette indiani.
Puntò rapidamente la carabina e drizzò la canna verso il parapetto che stavagli di fronte.
– Sono qui sotto, disse una voce.
– Ho scorto il nostro uomo, – disse un’altra.
Tremal-Naik premette il grilletto. La detonazione fu coperta da un clamore spaventevole.
Uno scroscio rimbombò sul pozzo e ogni fragore improvvisamente cessò.
Tremal-Naik scaricò una delle sue pistole. Un’esclamazione di rabbia gli sfuggi.
– Ah miserabili! – gridò.
Kammamuri e Ada si slanciarono, di comune accordo, verso di lui.
– Tremal-Naik! – esclamò la giovanetta, prendendogli una mano.- Sei ferito?
– No, Ada, non sono ferito – rispose l’indiano forzandosi di parere calmo.
– Quello scroscio?…
– Hanno rinchiuso il pozzo, ma usciremo di qui, o mia Ada, te lo prometto.
Accese la torcia e trasse la fidanzata lontano, facendola sedere sul cachemire.
– Sei stanca, – le disse dolcemente. – Cerca di riposare, mentre noi cerchiamo un passaggio. Finché ci siamo noi, non correrai pericolo alcuno.
La giovanetta affranta da tante emozioni, malgrado l’imminenza del pericolo, lo ubbidì e si coricò sullo scialle. Tremal-Naik ed il maharatto si diressero verso le pareti e si misero a scandagliare con profonda attenzione, colla speranza di trovare qualche passaggio che permettesse a loro la fuga.
Cosa strana, incomprensibile: al di là della parete s’udiva di quando in quando un cupo fragore, eguale a quello poco prima udito e che faceva mugolare la tigre.
Era da una mezz’ora che cercavano, percuotendo le rocce col coltello e scrostandole, quando s’accorsero che la temperatura dell’antro erasi cangiata, diventando assai calda. Tremal-Naik e il maharatto sudavano come se fossero in una stufa.
– Cosa vuol dir ciò? – si chiedeva il “cacciatore di serpenti”, assai inquieto. Scorse un’altra mezz’ora, durante la quale la temperatura continuò ad elevarsi. Pareva che dalle roccie uscissero vampe di fuoco. In breve, quel calore divenne insopportabile.
– Ma che vogliano arrostirci? – domandò il maharatto.
– Non capisco più nulla, – rispose Tremal-Naik, liberandosi del “dubgah”.
– Ma da dove viene questo calore? Se continua così, cuoceremo.
– Affrettiamoci.
Ripresero gli scandagli, ma fecero il giro della caverna senza avere scoperto passaggi.
Tuttavia, in un angolo, la roccia risuonava come se fosse vuota. Si poteva intaccarla coi coltelli e scavare una galleria.
I due indiani tornarono presso la giovanetta, ma questa dormiva. Si consigliarono brevemente sul da farsi e decisero di procedere immediatamente alla loro liberazione. Impugnati i coltelli assalirono vigorosamente la roccia, ma ben presto dovettero sostare. La temperatura era diventata ardente e morivano di sete. Cercarono se vi fosse qualche pozza d’acqua, ma non ne trovarono una sola goccia.
Ebbero paura.
– Dovremo morire in questa spelonca? – si chiese Tremal-Naik, gettando uno sguardo disperato su quelle rupi, che a poco a poco si calcinavano.
In quell’istante un misterioso mormorio si fece udire sopra le loro teste ed un enorme pezzo di rupe si staccò dalla volta, cadendo a terra con grande fracasso. Quasi subito, da quel crepaccio, piombò giù furiosamente un largo sprazzo d’acqua.
– Siamo salvi! – urlò Kammamuri.
– Tremal-Naik, – mormorò la giovanetta, svegliata dal precipitare della cascata. L’indiano si lanciò verso di lei.
– Cosa vuoi? – le chiese.
– Soffoco… l’aria mi manca. Cos’è questo intenso calore che mi dissecca? Un sorso d’acqua, Tremal-Naik, dammi un sorso d’acqua. – Il “cacciatore di serpenti” la prese fra le sue robuste braccia e la portò presso alla cascata, dove il maharatto e la tigre bevevano a lunghi sorsi.
Colle mani fece una specie di conca che riempì di acqua e l’accostò alle labbra della giovanetta, dicendole:
– Bevi, Ada, ve n’è per tutti.
Le porse parecchie volte da bere e poi, a sua volta, si dissetò.
D’improvviso la tigre emise un rauco miagolio, indi cadde pesantemente al suolo, dibattendosi furiosamente. Kammamuri, spaventato, si slanciò verso la belva, ma le forze tutto d’un tratto gli mancarono e cadde supino cogli occhi stravolti, le mani raggrinzate e le labbra coperte di bava sanguigna.
– Pa…drone!… – balbettò, con voce spenta.
– Kammamuri! – gridò Tremal-Naik, – grande Siva!… Ada!… Oh mia Ada!…
La giovanetta come la tigre e Kammamuri aveva gli occhi sbarrati, la spuma alle labbra e la faccia spaventosamente alterata. Agitò le mani cercando di aggrapparsi al collo dell’indiano, aprì la bocca come se volesse parlare, poi chiuse gli occhi e si irrigidì.. Tremal-Naik la sostenne e mandò un urlo straziante.
– Ada!… Aiuto!… Aiuto!…
Fu l’ultimo suo grido. La vista gli si offuscò, i muscoli gli si irrigidirono, una violenta commozione lo scosse dal capo alle piante, vacillò, si raddrizzò, indi cadde come fulminato sulle ardenti pietre della caverna, trascinando seco la fidanzata.
Quasi nel medesimo istante sopra il pozzo s’udì uno schianto, ed una turba d’indiani precipitò nella spelonca, gettandosi sui quattro fulminati.
PARTE SECONDA.
Il capitano Macpherson.
Il trionfo degli strangolatori (terza parte)
26 Aprile 2007 Di Leave a Comment
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