Essa girò all’intorno qualche istante, come per assicurarsi che alcuna persona trovavasi al disotto del gigantesco albero, poi si alzò, ed un uomo, un indiano a giudicarlo dalla tinta, uscì, aggrappandosi ad uno dei rami. Dietro di lui uscirono quaranta altri indiani, i quali si lasciarono scivolare giù pei colonnati, fino a terra.
Erano tutti quasi nudi. Un solo “dubgah”, specie di sottanino, d’un giallo sporco, copriva i loro fianchi e sui loro petti scorgevansi dei tatuaggi strani che volevano essere lettere del sanscrito e proprio nel mezzo vedevasi un serpente colla testa di donna.
Un sottile cordone di seta, che pareva un laccio ma che aveva una palla di piombo all’estremità, girava più volte attorno al “dubgah” ed un pugnale era passato in quella strana cintura.
Quegli esseri misteriosi, si assisero silenziosamente per terra, formando un circolo attorno ad un vecchio indiano dalle braccia smisurate, e lo sguardo brillante come quello d’un gatto.
– Figli miei, – disse questi con voce grave. – La nostra possente mano ha colpito lo sciagurato che ardì calcare questo suolo consacrato ai “thugs” ed inviolabile a qualsiasi straniero. E’ una vittima di più da aggiungere alle altre cadute sotto il nostro pugnale, ma la dea non è ancora soddisfatta.
– Lo sappiamo, – risposero in coro gl’indiani.
– Sì, figli liberi dell’India, la nostra dea domanda altri sacrifici.
– Che il nostro grande capo comandi e noi tutti partiremo.
– Lo so, che voi siete bravi figli, – disse il vecchio indiano. – Ma il tempo non è ancora venuto.
– Cosa s’aspetta adunque?
– Un gran pericolo ci minaccia, figli. Un uomo ha gettato gli occhi sulla Vergine, che veglia la pagoda della dea.
– Orrore! – esclamarono gl’indiani.
– Sì, figli miei, un uomo audace osò guardare in volto la vaga Vergine, ma quell’uomo se non cadrà sotto la folgore della dea, perirà sotto il nostro infallibile laccio.
– Chi è quest’uomo?
– A suo tempo lo saprete. Portatemi la vittima.
Due indiani si alzarono e si diressero verso il luogo dove giaceva il cadavere del povero Hurti. Tremal-Naik, che aveva assistito senza batter ciglio a quella strana scena, alla vista di quei due uomini che afferravano il morto per le braccia trascinandolo verso il tronco del “banian”, si era alzato di scatto colla carabina in mano.
– Ah! maledetti! – esclamò egli con voce sorda togliendoli di mira.
– Cosa fai, padrone? – bisbigliò Kammamuri, prendendogli l’arma ed abbassandola.
– Lascia che li accoppi, Kammamuri, – disse il “cacciatore di serpenti”. – Essi hanno ucciso Hurti, è giusto che io lo vendichi.
– Vuoi perderci tutti e due. Sono quaranta.
– Hai ragione, Kammamuri. Li colpiremo tutti in una sola volta.
Riabbassò la carabina e tornò a coricarsi mordendosi le labbra per frenare la collera.
I due indiani avevano allora trascinato Hurti nel mezzo del circolo e l’avevano lasciato cadere ai piedi del vecchio.
-Kâlì! – esclamò egli, alzando gli occhi verso il cielo.
Trasse il pugnale dalla cintura e lo cacciò nel petto di Hurti.
– Miserabile! – urlò Tremal-Naik. – E’ troppo!
Egli s’era slanciato fuori dal nascondiglio. Un lampo squarciò le tenebre seguito da una strepitosa detonazione ed il vecchio, colpito in pieno petto dalla palla del “cacciatore di serpenti”, cadde sul corpo di Hurti.
Il vendicatore di Hurti (seconda parte)
9 Marzo 2007 Di Lascia un commento
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