La fregata (seconda parte)

Sorgeva allora l’alba. Ad oriente una luce dapprima biancastra, poi gialla, indi rossastra, s’alzava invadendo rapidamente il cielo. Gli astri, poco prima scintillanti, a poco a poco impallidivano, scomparivano e le urla delle fiere diventavano più rade e più fioche.
Le rive della superba fiumana, man mano che la baleniera avvicinavasi a Calcutta, perdevano il loro aspetto selvaggio. Le grandi foreste popolate da numerose bande di tigri, di bufali selvaggi, di sciacalli e di serpenti e le immense piantagioni di bambù, a poco a poco scomparivano per lasciare il posto a fertilissime campagne coltivate con grande cura, a piantagioni di indaco, di cotone e cinnamomo, a bellissimi e svariati alberi carichi di frutta d’ogni specie, ad eleganti ville ed a grossi villaggi.
Drappelli di “ungko”, scimmie col petto sporgente, la pelliccia nera, bruna o grigia e il volto quasi umano, apparivano fra le macchie di alberi, dondolandosi fra i rami, facendo salti prodigiosi di dieci e persino quindici metri; poi vedevansi bande di “axis”, eleganti animali somiglianti ai cervi, col pelo fulvo e picchiettato di bianco; indi tranquilli bufali, che venivano a dissetarsi, e nell’aria od appollaiati sui tetti delle capanne o posati sui rami arcuati dei paletuvieri, uccelli d’ogni sorta e d’ogni grandezza, nibbi, gypaeti, bozzagri, ibis brune, marangoni, folaghe dalle penne porporine ed azzurre, anitre braminiche e giganteschi “arghilah”, alcuni dei quali affacendati a far scomparire tutto intero qualche corvo impertinente, che aveva osato disputare a loro qualche preda.
– Siamo vicini a Calcutta, – disse un remigante, dopo aver osservato attentamente le due rive.
Tremal-Naik, che da qualche ora era in preda ad una febbrile impazienza, nell’udire quelle parole si alzò di scatto, spingendo lo sguardo verso il nord.
– Dov’è? – chiese egli. – La vedi tu?
– Non ancora, ma fra breve la vedremo.
– Arranca!… arranca!…
La baleniera accelerò la corsa. I “thugs”, non meno impazienti del loro capo, arrancavano allora con vero furore, piegando le pagaie sotto la potente trazione. Nessuno parlava per non perdere una sola battuta.
Alle otto, un colpo di cannone si udì verso l’alto corso del fiume.
– Cos’è questo? – chiese Tremal-Naik, con ansietà.
– Siamo vicini a Kiddepur.
– Qualche legno da guerra parte e saluta.
– Presto! presto!… Potessimo arrivare a tempo!…
Il fiume cominciava ad animarsi straordinariamente. Barchi “brick”, brigantini, golette, piroscafi salivano e scendevano la corrente in gran numero. Delle grandi “grab”, dei grandi “pariah” della costa del Coromandel le cui barocche costruzioni non permettono di compiere che un sol viaggio all’anno, cioè all’epoca del monsone favorevole; dei leggieri “poular” di Dacca, rapidissimi forniti di alberi e di una grande vela quadrata; dalle “bangle” coperte di tetti di stoppia e con alberi di bambù larghissimi e dei magnifici “fylt’ sciarra” larghi cinquanta e più piedi, riccamente dorati, e condotti da più di trenta rematori, s’incrociavano in mille guise o stavano ancorati lungo le rive dinanzi ai “bengalow” od ai villaggi.
Tremal-Naik doveva mettere in opera tutta la sua abilità, per non cozzare contro quella folla di bastimenti e di barche che cresceva enormemente, tanto da occupare, talvolta, il fiume intero.
I “thugs” arrancavano sempre, con crescente furia, tendendo i muscoli in modo tale, da far quasi scoppiare la pelle.
Alle nove la baleniera passava dinanzi a Kiddepur, grosso villaggio che sorge sulla riva sinistra del fiume, e pochi minuti più tardi giungeva in vista di Calcutta, la regina del Bengala, la capitale di tutti i possedimenti inglesi delle Indie, colla sua linea imponente di palazzi, colle sue pagode, colle sue cupole, coi suoi bizzarri campanili, colle sue capanne, coi suoi “squares” e col forte William, la più grande e robusta fortezza che abbia la penisola, e che ha bisogno d’almeno diecimila uomini per essere difesa.
Tremal-Naik era balzato in piedi come spinto da una molla e guardava con occhio stupefatto quell’agglomeramento straordinario di fabbricati, di giardini e di vascelli.
– La nave? – chiese, con accento selvaggio.- Dov’è la nave?
– Là!… Là.!… guarda!… – esclamò un thug.
Tremal-Naik guardò nella direzione indicata e vide a poca distanza dalle cateratte che mettono l’acqua nei fossati del forte William, una fregata di forme svelte, ma assai impoppata, attrezzata a barco, ed armata di numerosi cannoni, vomitare nubi di fumo dal camino che sembrava troppo stretto.
Sul ponte andavano e venivano soldati di fanteria e marinai, affacendati a stivare botti ed a ritirare le gomene sciolte dai gavitelli. Si capiva anche a prima vista, che la nave preparavasi a partire. Tremal-Naik provò una stretta al cuore.
– Presto, ragazzi!… presto!… – esclamò egli con accento disperato.
I “thugs” raddoppiarono i loro sforzi. La baleniera, spinta innanzi dalle sei pagaie manovrate con forza sovrumana, non correva più, volava. I bordi gemevano sotto i colpi vigorosi e l’acqua rimbalzava fino sulla poppa.
– Presto!… presto!… – gridava Tremal-Naik, completamente fuori di sé.
Ad un tratto emise un urlo straziante.
– Ada!… Ada!… Perduto!… tutto è perduto!…
La fregata aveva abbandonato il molo e scendeva maestosamente il fiume, vomitando nubi di fumo e mandando lunghi fischi.
I “thugs”, sfiniti, impotenti di più oltre lottare, si erano arrestati guardando con occhio feroce la nave, che passava a duecento passi dalla imbarcazione.
– Tutto è perduto! – urlò un di loro, tendendo il pugno.
– No, no!… – esclamò Tremal-Naik.
Si curvò, raccolse la carabina, l’armò e diresse la canna sulla fregata. Sul ponte di comando aveva veduto un uomo e l’aveva subito riconosciuto: era il capitano Macpherson.
Già aveva imbracciato l’arme, già stava per far partire il colpo, quando un thug lo atterrò.
– Tu vuoi farci assassinare, – disse lo strangolatore, disarmandolo.
Tremal-Naik si rialzò cogli occhi accesi, le pugna alzate, il viso stravolto.
– Ma non sai tu, miserabile, che se i “thugs” perdono Raimangal io perdo la mia Ada? – urlò egli.
– Calmati, Tremal-Naik. Vi sono altre navi che si recano nelle “Sunderbunds”.
– Quali?
– Guarda quella cannoniera. Imbarca cannoni e botti di polvere. Non vedi sul picco la bandiera inglese?
Tremal-Naik vide infatti una grande cannoniera, ancorata dinanzi alla spianata dello Strand, che preparavasi a partire. Un pennacchio di fumo usciva dal camino.
– Se fosse vero!… – mormorò egli con voce tremante. – Al molo! al molo La baleniera con quattro arrancate approdò dinanzi a Kuti- Bazar.
Proprio nel medesimo istante, un canotto montato da un quartier-mastro della Reale Marina prendeva il largo.
– Ohe! Hider! – gridò un “thug”.
Il quartier-mastro, indiano pur egli, si volse.
– Olà, amici, dove andate? – chiese egli tornando a riva.
– Chi è quel marinaio? – chiese Tremal-Naik.
– Un affiliato, gli fu risposto.
Hider in quel frattempo era sbarcato. Era un bell’uomo di alta statura, sui quarant’anni, con una barba nerissima e folta, occhi lucentissimi e membra muscolose. Tra le labbra teneva una corta pipa e fumava vigorosamente.
– Amici miei, – disse, avvicinandosi, – qui succedono delle cose assai gravi.
– Lo sappiamo, – disse Tremal-Naik.
– Chi sei tu? – chiese il quartier-mastro, con diffidenza.
Tremal-Naik gli mostrò l’anello che portava in dito. Il marinaio cadde in ginocchio.
– Ordina, inviato di Kâlì, – disse con voce tremante.
– Conosci il capitano Macpherson?
– Forse più di te.
– Sai dove conduce la fregata?
– Nessuno sa ove vada la Cornwall, ma io ho un sospetto.
– La conduce a Raimangal.
– Il quartier-mastro scagliò la pipa a fracassarsi sui sassi.
– A Raimangal!… – esclamò egli. – A Raimangal hai detto?
– Sì, egli va ad assalire Suyodhana.
– Lo sospettavo. Ho fatto imbarcare due affiliati sulla “Cornwall”.
– Che ordini hanno?
– Di vegliare e di informarci di quanto succede, appena potranno disertare.
– Allora siamo perduti.
Il quartier-mastro non rispose. Non trovava parole.
– Cosa fa quella cannoniera che si sta armando? chiese Tremal-Naik.
– Ci rechiamo a Colombo.
– Bisogna che cada in nostra mano.
– Cosa vuoi fare della “Devonshire”?
– Per raggiungere la “Cornwall” prima che getti l’ancora a Raimangal.
– E colarla a fondo?
– Questo è affar mio, – disse Tremal-Naik.
– Comanda.
– Quanti affiliati ci sono a bordo della “Devonshire”?
– Siamo in sei.
– L’equipaggio ammonta a…?
– Trentadue uomini.
– Bisogna imbarcare almeno dieci affiliati.
– E’ impossibile! – esclamò Hider.
– Con sei affiliati non si conquista la cannoniera.
– Lo so.
– Cosa imbarcano ora?
– Cannoni.
– E poi?
– Delle provviste.
– Imbarcheranno delle botti di biscotto e di acqua, suppongo.
– E’ vero.
– Sta bene. Invece di botti di biscotto imbarcheranno delle botti contenenti dei “thugs”. Puoi fare questa sostituzione tu?
– Dirigo io l’armamento della “Devonshire”.
– Una parola ancora. Quando si parte?
– A mezzanotte, mi disse il capitano.
– Credi tu che si raggiungerà la “Cornwall”?
– Forzando molto la macchina si potrebbe raggiungerla.
– Mi basta. A questa sera, Hider.

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