L’agguato (prima parte)

Tremal-Naik, quantunque mezzo strangolato e confuso, appena sentì il laccio allentarsi, s’alzò e raccolta la carabina si slanciò risolutamente verso il fiume, sperando di far scoppiare la testa del traditore. Quando però giunse sulla riva, Manciadi era scomparso.
S’inoltrò nell’acqua ma nessuna persona appariva alla superficie del fiume. Forse la corrente aveva trascinato seco l’assassino, stato senza dubbio colpito dalla carabina o dalla pistola del maharatto.
– Ah! miserabile! – esclamò Tremal-Naik furente.
– Padrone! – gridò Kammamuri, accorrendo in compagnia della tigre e del cane.- Dov’è il brigante?
– E scomparso, Kammamuri, ma lo ritroveremo.
– Sei ferito?
– Tremal-Naik non si lascia strangolare da quegli uomini.
– Ho il sangue che non mi scorre più, padrone. Temeva di non giungere in tempo per salvarti. Ah! la canaglia! Strangolare il mio padrone!…
Traditore! Se mi cade fra le unghie non gli lascio intero un pezzettino grande come una rupia. Ingannare così noi, cacciatori di serpenti! Sai, padrone, che l’hai scampata per miracolo?
– Lo so, Kammamuri. Ed Aghur?… Cosa è successo di Aghur?
Il maharatto ammutolì, lasciandosi cadere lungo il corpo le braccia.
– Kammamuri, parla, – disse Tremal-Naik che già indovinava tutto.
– E’ morto, padrone, – balbettò Kammamuri.
Tremal-Naik si portò le mani alla testa con gesto disperato.
– Morto?… Morto! – singhiozzò egli. – Tutti muoiono adunque attorno a me? Ma che ho fatto io, Siva, perché debba perdere tutti quelli che io amo? Sono io adunque maledetto dai numi?
Chinò il capo sul petto e qualche cosa di umido rotolò giù per le abbronzate guancie. Kammamuri, nel vedere quell’uomo piangere, si sentì schiantare l’anima.
– Padrone, – mormorò egli.
Tremal-Naik non l’udì. Colla faccia stretta fra le mani, s’era seduto sulla riva del fiume e contemplava con occhio umido la jungla, sulla quale scorreva un lieve soffio di vento, imbalsamato dal profumo dei gelsomini e dei mussenda. Il suo petto d’atleta si sollevava di quando in quanto, sotto i singhiozzi.
– Mio padrone, oh, mio povero padrone! – esclamò Kammamuri. – Non piangere, sii forte; bisogna esserlo.
– Sì, forte, per combattere la fatalità che pesa su di noi, – disse Tremal-Naik con rabbia. – Povero Aghur, così giovane e così intrepido, morire! Sei almeno certo che sia proprio morto?
– Sì, padrone, l’ho veduto coi miei propri occhi e toccato colle mie proprie mani. Era là, disteso accanto ad uno stagno, col laccio al collo e un pugnale nel petto. Il miserabile Manciadi, dopo d’averlo atterrato, lo ha finito con quell’arme.
– Fu adunque Manciadi ad assassinarlo?
– Sì, padrone, lui!
– Ah! sciagurato!
– Ma non assassinerà altri, te lo dico io. La mia palla deve averlo colpito; forse i pesci stanno banchettando colle sue carni.
– Quel mostro adunque, aveva tramato un piano infernale?
– Sì, padrone. Aveva assassinato Aghur per allontanar me e piombare poi su di te. Per fortuna me ne accorsi a tempo e giunsi qui in buon punto.
– Ma non avevi alcun sospetto prima?
– No, padrone, non me ne accorsi, non dubitai nemmeno. Egli ci ingannava molto bene. Quale scopo poteva avere per assassinarci?
– Temo che l’abbiano qui mandato gl’indiani di Raimangal.
– Lo credi, padrone?
– Ne sono certo. Hai veduto il suo petto?
– No, poiché lo teneva sempre coperto, e non so il perché.
– Per nascondere il misterioso tatuaggio.
– Adesso comprendo: deve essere così; ma perché tanto accanimento contro di te?
– Perché amo Ada.
– Non vogliono adunque, quegli uomini, che tu l’ami?
– No, e cercano d’assassinarmi.
– Ma perché?
– Perché sul capo di quella donna pesa una terribile condanna.
– Quale?
– Non lo so, ma un giorno svelerò il mistero.
– E credi tu che quei miserabili tornino alla carica?
– Credo di sì, Kammamuri.
– Io ho paura, padrone. E tu?
Tremal-Naik non rispose. Egli aveva volto lo sguardo al sud e si era improvvisamente alzato.
– Hai veduto qualche cosa? – chiese il maharatto con ansietà.
– Sì, Kammamuri. Mi pare d’aver scorto un chiarore strano balenare in fondo alla jungla e poi spegnersi.
– Andiamo alla capanna, padrone. Qui non siamo sicuri.
Tremal-Naik guardò un’ultima volta la jungla ed il fiume e si diresse a lenti passi verso la capanna, sulla cui soglia si arrestò.
– Guarda, Kammamuri – diss’egli con tristezza. Questa capanna altre volte sì gaia, sì ridente, mi sembra che abbia l’aspetto funebre d’un sepolcro. Povero Aghur!
Soffocò un singhiozzo e si sdraiò sull’amaca, nascondendo il viso fra le mani. Kammamuri s’appoggiò allo stipite della porta, cogli occhi fissi sulla jungla, mormorando a più riprese:
– Povero padrone!
Passarono tre lunghe ore senza che il maharatto si muovesse. Il suono acuto del “ramsinga” lo strappò dalla sua immobilità.
– Funebre tromba! – mormorò egli con rabbia, – ancora una disgrazia adunque? Fai bene ad avvertirmi.
Fece più volte il giro della capanna guardando attentamente in mezzo alle erbe, ma non scorse nulla di nuovo. Rientrò traendosi dietro Darma e Punthy, barricò la porta e vi si stese di dietro, in maniera da essere svegliato al menomo urto.

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