L’agguato (seconda parte)

Passarono parecchie ore senza che nulla accadesse. Kammamuri, sempre più inquieto, non chiudeva gli occhi e di frequente s’alzava per affacciarsi, con grande precauzione, alle finestrine.
Verso la mezzanotte la luna tramontò lasciando la jungla nella più perfetta oscurità. Proprio allora Punthy abbaiò tre volte.
– Qualcuno s’avvicina, – mormorò Kammamuri. – Punthy l’ha udito.
Entrò nella stanza di Tremal-Naik. Questi dormiva profondamente e in sogno parlava dell’infelice Ada.
Punthy fece udire tre altre volte un sordo ringhio e si slanciò verso la porta mostrando i denti. Anche la tigre udì qualche cosa, poiché fece udire un sordo brontolio.
Kammamuri, dopo di essersi munito di un paio di pistole, andò a spiare a tutte le finestrine ma senza essere capace di veder nulla, né di udire nulla. Ebbe per un istante l’idea di sparare una pistolettata per ispaventare colui o coloro che ardivano avvicinarsi alla capanna, ma per non svegliare Tremal-Naik e per la tema che questi volesse slanciarsi all’aperto, si trattenne.
Qualche ora dopo, mentre passava dinanzi ad un pertugio, gli sembrò di vedere, al sud, una striscia di fuoco e di udire un leggiero sibilo, seguito da una sorda detonazione, ma non ne seppe di più.
– Quale mistero, – mormorò egli, tremando di terrore. – Se questa notte non succedono malanni, è segno che Siva e Brahma ci proteggono.
Rimase sveglio parecchie ore, poi cedendo alla fatica ed al sonno s’addormentò. Né il cane né la tigre diedero alcun altro segnale durante il resto della notte.
Al mattino, ansioso di sapere qualche cosa, si affrettò ad uscire. Ciò che prima colpì i suoi sguardi, fu un pugnale infisso per terra, a pochi passi dalla capanna, e che tratteneva una carta azzurrina.
– Oh! – esclamò egli, indietreggiando. – Qualcuno adunque ha osato spingersi qui?…
S’avvicinò con precauzione e quasi con ripugnanza a quelli oggetti e tremando li raccolse. Il pugnale era di acciaio brunito, d’un metallo che lasciava vedere le venature, d’una forma particolare e con delle strane incisioni sulla lama.
Aprì la carta e vi scorse disegnato un serpente colla testa di donna I’emblema misterioso degli indiani di Raimangal, e sotto alcune righe d’una scrittura rossa.
– Cosa significano queste righe? – si chiese il maharatto. – Qui sotto c’è un mistero, che il padrone svelerà.
Fece accovacciare Darma e Punthy e corse da Tremal-Naik. Lo trovò seduto dinanzi ad una delle finestre, colla testa fra le mani e lo sguardo triste, volto verso i nebbiosi orizzonti del sud.
– Padrone, – disse il maharatto.
– Cosa vuoi? – chiese l’indiano con voce sorda.
– Lascia i pensieri e guarda questi oggetti. Vi è un mistero da decifrare.
Tremal-Naik si volse come a gran fatica. Una contrazione nervosa alterò i tratti del suo volto, nel mirare il pugnale che Kammamuri gli mostrava.
– Cos’è? – chiese egli, rabbrividendo. – Chi ti ha dato quell’arma?
– L’ho trovata dinanzi alla capanna. Leggi questa lettera, padrone.
Tremal-Naik gliela strappò vivamente di mano, gettandovi sopra un avido sguardo. Ecco quanto lesse:
Tremal-Naik La misteriosa divinità che impera tremenda su tutta quanta l’India, t’invia il pugnale della morte. Basta una scalfittura della sua punta avvelenata, perché tu scenda nella tomba.
Tremal-Naik, tu devi scomparire dalla superficie della terra: la divinità lo vuole. Solo a questo prezzo puoi arrestare la folgore che sta per piombare sul capo di colei che fu condannata. Questa sera, al calar del sole, Manciadi attende il tuo cadavere. Suyodhana.
Tremal-Naik nel leggere la lettera era diventato pallido.
– Che?… – esclamò egli. – La mia vita!… La mia vita per arrestare la folgore che sta per piombare sul capo di colei che fu condannata!… Cosa significa questa minaccia? Morire? Io!
– Padrone, – mormorò Kammamuri, che tremava in tutte le fibre.- Corriamo un gran pericolo, lo sento.
– Non aver paura, Kammamuri, – disse Tremal-Naik.- I miserabili cercano di spaventarci, ma io sfido la misteriosa divinità che impera tremenda su tutta l’India. Ah! Essi vogliono la mia vita? La loro divinità mi comanda di scendere nella tomba e m’invia il pugnale!
Tremal-Naik non sarà così stupido da servirsene, né…
S’arrestò di botto. Un pensiero terribile gli era balenato nella mente.
Tornò a guardare la lettera. Uno stupore doloroso si dipinse sul suo volto.
– Grande Siva! – esclamò con voce soffocata. – Una folgore sta per piombare su colei che fu condannata!… Kammamuri!
– Padrone?
– Una donna fu condannata… Se fosse…
– Chi? padrone, chi?…
– L’hanno in loro mano…
– Ma chi?…
– Ada! – esclamò con accento straziante l’indiano.- Oh! mia povera Ada!… Kammamuri!… Kammamuri!…
Tremal-Naik si slanciò come un pazzo fuori della capanna e rientrò orribilmente trasfigurato.
– Padrone, è impossibile che l’uccidano, – disse Kammamuri.
– E se fosse vero? E se quei mostri la uccidessero? Orrore! orrore!…
Siva, oh mio dio, veglia su di lei! Veglia sulla mia povera Ada!
– Un singhiozzo lacerò il petto del “cacciatore di serpenti”.
– Cosa fare? – balbettò egli fuori di sé. – Sì, lo sento, i mostri l’hanno condannata… non vogliono che ella ami alcun mortale… uno di noi bisogna che muoia. Ma no, non voglio che ella muoia, così giovane, così bella!… E dovrò io adunque morire? Mai, mai, è impossibile, I’amò troppo per scendere nella tomba senza averla prima veduta un’ultima volta, senza dirle che io muoio per lei.
Tremal-Naik si contorse come un serpe, afferrandosi il capo fra le mani. D’improvviso scattò in piedi come una tigre che sta per avventarsi sulla preda. Un sinistro lampo guizzava nei suoi occhi.
– L’ora della vendetta è suonata! – diss’egli con intraducibile accento.- Ada, io vengo!… A me, Darma!
La tigre d’un balzo fu alla porta della capanna, facendo udire il suo formidabile mugolìo. Tremal-Naik, strappata da un chiodo una carabina, stava per uscire, quando Kammamuri l’arrestò.
– Dove vai, padrone? – gli chiese egli, abbrancandolo a mezzo corpo.
– A Raimangal per salvarla prima che me la uccidano.
– Ma non sai che laggiù v’è la morte? Non sai che a Raimangal vi sono forse mille di quegli uomini, che bramano il tuo sangue? Tu ti perdi, padrone, e forse uccidi colei che tu ami, credendo di salvarla.
– Io!…
– Ma sì, padrone, tu la uccidi. Al primo tuo apparire, la folgore scoppierà ed abbatterà quella donna.
– Gran dio!
– Calmati, padrone, ascoltami. Lascia fare a me e vedrai che noi sapremo tutto. Chissà, forse quegli uomini hanno voluto solamente spaventarti.
Tremal-Naik lo guardò come trasognato. Forse Kammamuri aveva ragione.
– L’ora non è ancora giunta per recarsi nell’isola maledetta, né tu sei ancora tanto forte per lottare contro di loro, – continuò il maharatto.- Essi vogliono il tuo cadavere, hanno scritto; ebbene, essi lo avranno. ma sarà un cadavere che respirerà ancora e che salterà alla gola dell’assassino del povero Aghur. Lascia che io ti guidi, padrone; i maharatti sono furbi, tu lo sai.
– Cosa vuoi dire? – chiese Tremal-Naik, che a poco a poco si arrendeva.
– Voglio dire che a noi occorre un uomo che confessi ogni cosa, per sapere ciò che si dovrà fare. Se sarà necessario, domani partiremo per Raimangal.
– Ci occorre un uomo?
– Sì, padrone, e quest’uomo sarà Manciadi. Ascoltami con attenzione.
Questa sera, al calare del sole, io ti porterò nella jungla e tu fingerai di essere morto. Io e Darma ci imboscheremo a pochi passi da te, onde non ti accada disgrazia. Arriva il brigante che assassinò Aghur; noi ci lanciamo su di lui e lo facciamo prigioniero. M’incarico io di fargli confessare il luogo dove nascondono la donna che tu ami e farlo parlare sul numero e sui mezzi dei nostri nemici.
Tremal-Naik prese le mani del maharatto e le strinse affettuosamente.
– Rimarrai? – chiese Kammamuri, con gioia.
– Sì, rimarrò – disse Tremal-Naik, emettendo un profondo sospiro.- Ma domani, sia pure solo, andrò a Raimangal. Sento che un pericolo minaccia Ada.
– No solo, – disse Kammamuri. – Io e Darma ti accompagneremo. Ora calma ed occhi bene aperti: questa sera avremo in nostra mano Manciadi.
Kammamuri lasciò il padrone che si era seduto sulla soglia della porta, in preda a mille angoscie ed a tetri pensieri, e si recò al fiume ad armare il canotto.
Durante la giornata nulla accadde di nuovo. Kammamuri si recò parecchie volte nella jungla, armato sino ai denti, sperando di scorgere qualcuno, forse lo stesso Manciadi, ma non vide anima viva, né udì alcun segnale o rumore.
Alle sette il sole radeva l’orizzonte occidentale. Era il momento d’agire.
– Padrone, – disse il maharatto, che si stropicciava allegramente le mani, – non perdiamo tempo.
Proprio in quel momento, al sud, echeggiò il “ramsinga”.
– La canaglia si avvicina, – disse Kammamuri. – Animo, padrone, io ti porto nella jungla. Non una parola, non il più piccolo movimento se non vuoi mandare a male l’imboscata. Appena l’assassino compare, la tigre lo atterrerà.
Afferrò il padrone, se lo caricò sulle spalle dopo di avergli cacciato sotto l’ampia fascia un paio di pistole e si diresse, barcollando, verso la jungla.
Il sole spariva dietro le gigantesche piantagioni dell’occidente, quando giunse ai primi bambù. Depose Tremal-Naik, che conservava l’immobilità di un cadavere, fra le erbe, poi curvandosi su di lui:
– Padrone, non un movimento, – gli disse. – Appena la tigre si slancierà su Manciadi, sorgi e tura la bocca al miserabile. Forse vi sono degli altri indiani nei dintorni.
– Lascia fare a me, – bisbigliò Tremal-Naik. Tutto passerà liscio.
Kammamuri s’allontanò, colla testa china sul petto, come un uomo addolorato. Quando giunse alla capanna un secondo squillo di tromba echeggiava fra i bambù spinosi della jungla.
– E’ ancora lontano Manciadi, – diss’egli. – Tutto va bene.
Entrò nella capanna s’armò di pistole e d’un coltellaceio, poi uscì guardando attentamente verso il fiume e verso la jungla.
– Darma, seguimi diss’egli.
La tigre con un salto lo raggiunse e tutti e due si slanciarono a rompicollo verso il sud, nascosti da una piccola piantagione di mussenda e di indaco. In meno di cinque minuti raggiunsero i bambù e s’imboscarono a sette od otto passi da Tremal-Naik.
Un terzo squillo di tromba, ma più vicino, ruppe il profondo silenzio che regnava nelle “Sunderbunds”.
– Buono, – mormorò Kammamuri, impugnando una delle due pistole. – Il miserabile ci sta vicino.
Guardò il padrone. Pareva un vero cadavere: era coricato su di un fianco, colla testa nascosta sotto un braccio. Avrebbe ingannato anche un marabù, anche uno sciacallo.
D’un tratto un magnifico pavone si alzò fra i bambù, volando via rapidamente. Kammamuri passò una mano sulla tigre che fiutava l’aria ed agitava la coda a mo’ dei gatti.
– Non muoverti, Darma, – le sussurrò.
Un secondo pavone s’alzò emettendo un grido di spavento.
Manciadi si avvicinava strisciando come un serpe, senza produrre il più piccolo rumore. Forse temeva di cadere in un’imboscata e s’avanzava con mille cautele.
Kammamuri s’alzò sulle ginocchia, tendendo la mano armata di pistola.
Là, di faccia, scorse i bambù a muoversi impercettibilmente, poi uscirono due mani ed infine una testa d’un giallo lucente.
Kammamuri sentì la fronte imperlarsi d’un freddo sudore.
Quella testa era di Manciadi, l’assassino del povero Aghur.
– Darma, – mormorò.
La tigre si era alzata raccogliendosi su se stessa; non aspettava che il comando per avventarsi.
Manciadi guardò Tremal-Naik con due occhi che mandavano cupi lampi e diede in un orribile scroscio di risa. Il “cacciatore di serpenti” non si mosse.
L’indiano allora uscì dai bambù, col laccio in mano, e fece alcuni passi verso il finto cadavere.
– Darma, afferralo! – esclamò Kammamuri, saltando in piedi.
La tigre fece un balzo di quindici passi e piombò come un fulmine sull’assassino, che fu violentemente atterrato.
Tremal-Naik rialzandosi si scagliò su di lui e con un formidabile pugno lo stordì.
– Tieni saldo padrone! – gridò il maharatto, accorrendo. – Fracassagli una gamba per impedirgli di muoversi.
– E’ inutile, Kammamuri, – disse Tremal-Naik, trattenendo la tigre.- L’ho mezzo accoppato.
Infatti l’indiano, colpito in fronte dal pugno d’acciaio del “cacciatore di serpenti”, non dava più segno di vita.
– Là, così va bene, – disse Kammamuri. – Ora lo faremo parlare. Non uscirà vivo dalle nostre mani, te lo giuro, padrone, e Aghur sarà vendicato.
– Non parlare così forte, Kammamuri, – mormorò Tremal-Naik, tornando ad allontanare la tigre che voleva sbranare il prigioniero.
– Credi che vi sieno degli altri indiani nei dintorni?
– Potrebbero esservi. Orsù, il cielo si oscura rapidamente e minaccia un uragano. Portiamolo nella capanna.
Kammamuri prese per le gambe Manciadi, Tremal-Naik lo afferrò pei polsi e partirono correndo, nel mentre che giganteschi nuvoloni neri s’alzavano con rapidità vertiginosa, dal sud.
Pochi minuti dopo giungevano alla capanna sbarrando la porta dietro di loro.

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