La Baia di Sarawak (seconda parte)

 – Non comprendo – disse. – Avete degli uomini coi quali potreste impadronirvi del vascello senza troppi sacrifici e invece mi regalate un milione! Che uomo siete voi?
 – Sono la Tigre della Malesia – rispose Sandokan. – Orsù, arrendetevi o sarò costretto a scatenare contro di voi questi tigrotti che mi circondano.
 – Ma che cosa farete dei miei uomini?
 – V’imbarcheremo tutti nelle scialuppe e vi lasceremo liberi.
 – E dove andremo?
 – La costa del Borneo non è molto lontana. Spicciatevi, decidete.
 Il capitano esitava. Forse temeva che, deposte le armi, i pirati si scagliassero contro i suoi uomini per massacrarli.
 Yanez indovinò subito ciò che passava nella mente di lui e, facendosi innanzi:
 – Capitano – disse, – avete torto di dubitare della parola della Tigre della Malesia, poiché mai egli mancò alle promesse fatte.
 – Avete ragione – disse il comandante. – Olà, marinai, deponete le armi; ogni resistenza è inutile.
 I marinai, che se la vedevano molto brutta, non esitarono un solo istante e gettarono sul ponte coltelli, scuri, manovelle e aspe.
 – Bravi ragazzi – disse Sandokan.
 Ad un suo cenno, le due baleniere e tre scialuppe furono calate in mare, dopo averle ben provviste di viveri.
 I marinai, inermi, sfilarono in mezzo ai pirati prendendo posto nelle imbarcazioni. Ultimo rimase il capitano.
 – Signore – diss’egli, arrestandosi dinanzi alla Tigre della Malesia, – non abbiamo né un’arma per difenderci, né una bussola per dirigerci. Sandokan staccò da una catenella che gli pendeva sul petto una bussola d’oro e, porgendola all’ufficiale:
 – Questa è per dirigervi – rispose.
 Si levò dalla cintura le due pistole e dal dito un magnifico anello, ornato di un diamante grosso come una nocciola, e porse i tre oggetti al capitano.
 – Queste armi per difendervi, questo anello per ricordo, e la borsa piena di diamanti per pagarvi il vascello che vi ho preso – disse Sandokan.
 – Siete l’uomo più strano che abbia incontrato in vita mia – osservò il capitano, ricevendo i tre oggetti. – E non pensate che io potrei scaricarvi addosso queste armi?
 – Non lo farete.
 – Perché?
 – Perché siete un leale gentiluomo. Andate!
 Il capitano fece un leggero saluto con la mano e discese nell’imbarcazione, la quale prese subito il largo, seguita da tutte le altre, dirigendosi verso l’ovest.
 Venti minuti dopo l’Helgolandlasciava quei paraggi navigando lestamente verso la costa di Sarawak che era lontana tutt’al più un centinaio di miglia.
 – Andiamo ora a trovare Kammamuri e la sua padrona – disse Sandokan, dopo aver dato la rotta. – Speriamo che non sia accaduto nulla alla povera Ada.
 Scese la scaletta di poppa assieme con Yanez e bussò alla cabina delmaharatto .
 – Chi è? – domandò Kammamuri.
 – Sandokan.
 – Abbiamo vinto, capitano?
 – Sì, amico mio.
 – Evviva la Tigre della Malesia! – urlò il bravomaharatto . Tolse i mobili che aveva accumulato dietro la porta ed aprì. Yanez e Sandokan entrarono.
 Ilmaharatto era armato fino ai denti. Aveva ancora in mano la scimitarra e la sua cintura era zeppa di pistole e di pugnali. Sdraiata su di una poltroncina stava la pazza, occupata a strappare, con mano nervosa, i petali ad una rosa di Cina, tolta poco prima da un vaso di fiori.
 Vedendo entrare Sandokan e Yanez si alzò di scatto, fissando su di loro uno sguardo che rivelava un profondo terrore.
 – Ithugs !… Ithugs !… – esclamò.
 – Sono i nostri amici, padrona – disse ilmaharatto .
 Ella guardò Kammamuri per qualche istante, poi ricadde sulla poltroncina tornando a strappare il fiore che teneva in mano.
 – Le urla dei combattenti hanno prodotto qualche impressione sulla disgraziata? – chiese Sandokan almaharatto .
 – Sì – rispose egli. – Si è alzata tutta tremante gridando: Ithugs ! ithugs ! Ma poi, a poco a poco, si è calmata.
 – Null’altro?
 – Null’altro, capitano.
 – Veglia attentamente su di lei, Kammamuri.
 – Non lascerò il suo fianco.
 Yanez e Sandokan risalirono in coperta. Proprio in quel medesimo istante gli uomini di guardia segnalavano, verso sud, un punto rossastro che correva con rapidità.
 Yanez e Sandokan si slanciarono a prua guardando attentamente in quella direzione.
 – Dev’essere il fanale di una nave – disse il portoghese.
 – Lo è certamente. Ciò mi inquieta assai – rispose Sandokan.
 – Perché, fratello mio?
 – Quella nave può incontrare le scialuppe. – Corpo di una spingarda! Non ci mancherebbe che questa!…
 – Non spaventarti, Yanez. L’Helgolandha dei buoni cannoni. Ma… toh, quella nave è a vapore. Non vedi, Yanez, quella striscia rossastra che si alza verso il cielo?
 – Per Giove! Hai ragione!
 – Ai cannoni, ragazzi! Ai cannoni! – tuonò la Tigre della Malesia. –
 – Che fai? – chiese Yanez, afferrandolo per un braccio.
 – È la cannoniera, Yanez.
 – Quale cannoniera?
 – Quella che ci seguiva. La manderemo a picco.
 – Sei matto!
 – Ma non la vedi tu?
 – Sì che la vedo, ma se tu le spari addosso, a Sarawak ci cannoneggeranno. Se non andrà a picco alla prima bordata, correrà da quel dannato di Brooke a denunciarci.
 – Per Allah! – esclamò Sandokan, colpito da quel ragionamento.
 – Stiamo calmi, fratello – disse Yanez.
 – E se incontra le scialuppe?
 – Non è cosa facile, Sandokan. La notte è oscura, le scialuppe filano verso ovest e la cannoniera, se non erro, ha la prua al nord. Un incontro, in simili circostanze, non è facile. Ho forse torto?
 – No, ma vedere quella dannata cannoniera…
 – Calma, fratello. Lasciamola filare al nord.
 La cannoniera che con tanta ostinazione, ma probabilmente senza saperlo, seguiva i pirati di Mompracem, era allora vicinissima. A babordo e a tribordo brillavano i due fanali verde e rosso e sulla cima del trinchetto il bianco. A poppa si scorgeva il timoniere ritto accanto alla ruota.
 Passò accanto all’Helgolanddescrivendo una specie di semicerchio e sparve verso il nord, lasciandosi dietro una scia fosforescente.

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