Poteva avere quindici anni. La sua persona era elegante, graziosa, flessuosa; la sua pelle rosea, di una morbidezza impareggiabile; gli occhi grandi, neri e d’una dolcezza infinita; il naso piccolo e dritto; le labbra sottili, rosse come il corallo, schiuse ad un ineffabile sorriso, che lasciava scorgere due file di piccolissimi e bianchissimi denti. Una capigliatura opulenta, nerissima, divisa sulla fronte da un fermaglio in cui era incastonato un grosso diamante, le ricadeva sulle spalle in pittoresco disordine, scendendo fino alla cintura.
Ella guardò quegli uomini armati, i cadaveri che ingombravano il ponte e tutti quei rottami, senza che una contrazione di paura, di orrore o di oscurità, si disegnasse sul suo viso gentile.
– Chi è quella donna? – chiese Yanez con strano accento, afferrando una mano di Kammamuri e stringendola forte.
– La mia padrona – rispose ilmaharatto . – Lavergine della pagoda d’Oriente .
Yanez fece alcuni passi verso la pazza che continuava a conservare
l’immobilità di una statua e la guardò fissa.
– Quale rassomiglianza!… – esclamò impallidendo.
Ritornò rapidamente verso Kammamuri e, prendendogli la mano:
– Quella donna è inglese? – chiese con voce alterata.
– È nata in India da genitori inglesi.
– Perché è diventata pazza?
– È una storia lunga.
– La narrerai dinanzi alla Tigre della Malesia. Imbarchiamoci,maharatto , e voi, tigrotti, spogliate per bene questa carcassa e poi incendiatela. LaYoung-India ha cessato di esistere.
Kammamuri s’avvicinò alla pazza, la prese per mano e la fece scendere nelpraho del portoghese. Ella non aveva opposto resistenza, né pronunziato sillaba alcuna.
– Partiamo – disse Yanez, prendendo la ribolla del timone.
Il mare a poco a poco si era calmato. Solamente attorno ai frangenti spumeggiava e muggiva, sollevandosi in larghe ondate.
Ilpraho , guidato da quegli abili ed intrepidi marinai, superò le scogliere, balzando e rimbalzando sui cavalloni come una palla elastica e s’allontanò con fantastica rapidità lasciandosi dietro una scia candidissima, in mezzo alla quale giocherellavano mostruosi pesci-cani.
In capo a dieci minuti raggiunse la punta estrema dell’isola, la girò senza rallentare la sua velocità, e navigò verso un’ampia baia che aprivasi dinanzi a un grazioso villaggio. Composto di venti e più solidissime capanne, difeso da una triplice linea di trincee armate di grossi cannoni e da numerosissime spingarde, da alte palizzate e da profondi fossati irti di aguzze punte di ferro.
Un centinaio di malesi semi-nudi, ma tutti armati fino ai denti, uscirono dalle trincee e si slanciarono verso la spiaggia, mandando urla selvagge, agitando pazzamentekriss avvelenati, scimitarre, scuri, picche, carabine e pistole.
– Dove siamo? – chiese Kammamuri con inquietudine.
– Nel nostro villaggio – rispose il portoghese.
– È qui che abita la Tigre della Malesia?
– Abita lassù, dove ondeggia quella bandiera rossa.
Ilmaharatto alzò il capo, e sulla cima di una gigantesca rupe che cadeva a picco sul mare, scorse una gran capanna difesa da parecchie palizzate, su cui si agitava maestosamente una grande bandiera rossa adorna d’una testa di tigre.
– Andremo lassù? – domandò con commozione.
– Sì, amico – rispose Yanez.
– Come mi riceverà?
– Come si deve accogliere un coraggioso.
– Lavergine della pagoda d’Oriente verrà con noi?
– Per ora no.
– Perché? – Perché quella donna somiglia a…
S’interruppe. Una rapida commozione aveva alterato improvvisamente i suoi lineamenti e i suoi occhi si inumidirono. Kammamuri se ne accorse.
– Voi mi sembrate commosso, signor Yanez – disse.
– T’inganni – rispose il portoghese, tirando a sé la ribolla per evitare la punta estrema di una scogliera che riparava la baia. – Sbarchiamo, Kammamuri.
Ilpraho si era arenato con la prua verso la costa.
Il portoghese, Kammamuri, la pazza e i pirati sbarcarono.
– Conducete questa donna nella migliore abitazione del villaggio – disse Yanez, additando ai pirati la pazza.
– Le faranno del male? – domandò Kammamuri.
– Nessuno ardirà toccarla – disse Yanez. – Le donne qui si rispettano forse più che in India ed in Europa. Vieni,maharatto .
Si diressero verso la gigantesca rupe e salirono una stretta scala scavata nel vivo masso, lungo la quale erano scaglionate sentinelle armate di carabine e di scimitarre.
– Perché tante precauzioni? – chiese Kammamuri.
– Perché la Tigre della Malesia ha centomila nemici.
– Non è amato dunque il capitano?
– Noi lo idolatriamo, ma gli altri… Se tu sapessi, Kammamuri, come gl’inglesi lo odiano. Eccoci giunti: non temere nulla.
Infatti giungevano allora dinanzi alla gran capanna, difesa pur questa da trincee, da gabbionate, da fossati, da cannoni, da mortai e da spingarde del secolo precedente.
La tigre della Malesia (seconda parte)
13 Luglio 2007 Di Lascia un commento
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