Era un superbo indiano, alto cinque piedi e sei pollici, color del bronzo. Largo e robusto aveva il petto, muscolose le braccia e le gambe, fieri i lineamenti del volto e regolarissimi. Yanez, che aveva visto cinesi, malesi, giavanesi, africani, indiani, bughisi, macassaresi e tagali, non si ricordava di aver incontrato un uomo di colore così bello e così vigoroso. Non c’era che Sandokan che potesse superarlo.
Quell’uomo dormiva, ma il suo sonno non era tranquillo. Il petto gli si sollevava affannosamente, la sua ampia e bella fronte si corrugava, le labbra di un rosso vivo, ardente, fremevano e le sue mani, piccole come quelle di una donna, si aprivano e si chiudevano, come se volessero afferrare qualche cosa e stritolarla.
– Bell’uomo! – esclamò Yanez.
– Zitto, parla – mormorò il luogotenente.
Un rauco accento straziante era uscito dalle labbra dell’indiano.
– Mia! – aveva esclamato.
La sua faccia, d’un tratto, divenne burrascosa. Una vena che gli solcava la fronte s’ingrossò improvvisamente.
– Suyodhana – mormorò, con accento d’odio, l’indiano.
– Tremal-Naik! – disse il luogotenente.
A quel nome l’indiano si scosse, si alzò di scatto e fissò sul luogotenente uno sguardo che scintillava come quello di un serpente.
– Che cosa vuoi? – chiese.
– Un signore vuol vederti.
L’indiano guardò Yanez che stava qualche passo indietro a Churchill.
Un sorriso sdegnoso sfiorò le sue labbra mettendo a nudo i denti bianchi come l’avorio.
– Sono una belva forse? – chiese. – Che…
Si arrestò e trasalì. Yanez che, come si disse, stava dietro al luogotenente, gli aveva fatto un rapido cenno. Senza dubbio aveva compreso che gli stava dinanzi un amico.
– Come ti trovi qui dentro? – chiese il portoghese.
– Come può trovarsi un uomo che nacque e visse libero nellajungla – disse Tremal-Naik con voce triste.
– È vero che tu sei unthug ?
– No.
– Eppure hai strangolato delle persone.
– E vero, ma non sono unthug .
– Tu menti.
Tremal-Naik si alzò digrignando i denti e con gli occhi fiammeggianti; ma un nuovo gesto del portoghese lo calmò.
– Se tu mi lasciassi alzare il mantellino, ti mostrerei il tatuaggio che distingue ithug .
– Alzalo, – disse Tremal-Naik.
– Non accostatevi, milord! – esclamò il luogotenente.
– Non ho arma alcuna – disse l’indiano. – Se io alzo un braccio, scaricami in petto le tue pistole.
Yanez s’avvicinò al letto di foglie e si curvò sull’indiano.
– Kammamuri – mormorò con voce appena distinta. Un rapido lampo brillò negli occhi dell’indiano. Con un gesto alzò il mantellino e raccolse il biglietto contenente le pillole che il portoghese aveva lasciato cadere.
– L’avete visto il tatuaggio? – chiese il luogotenente che aveva, per precauzione, armato una pistola.
– Non lo ha – rispose Yanez, raddrizzandosi.
– Non è unthug dunque?
– Chi può dirlo? Ithugs hanno tatuaggi in più parti del corpo.
– Non ne ho – disse Tremal-Naik.
– Da quanto tempo si trova qui, luogotenente? – chiese Yanez.
– Da due mesi, milord.
– Dove lo si condurrà?
– In qualche penitenziario dell’Australia.
– Povero diavolo! Usciamo, luogotenente.
Il marinaio aprì la porta. Yanez ne approfittò per volgersi indietro e fare a Tremal-Naik un ultimo gesto che significava «obbedite».
– Volete visitare il fortino? – chiese il luogotenente quand’ebbe chiusa e sprangata la porta.
– Mi pare che non abbia nulla di attraente – rispose Yanez. – Arrivederci dalrajah , signore.
– Arrivederci, milord.
Tremal-Naik (terza parte)
2 Novembre 2007 Di Leave a Comment
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