Mentre i filibustieri ed i bucanieri del Basco e dell’Olonese, entrati in Maracaybo senza incontrare la minima resistenza, s’abbandonavano al saccheggio piú sfrenato, riservandosi piú tardi di andar a scovare nei boschi gli abitanti, per privarli anche di quello che avevano cercato di salvare, il Corsaro Nero ed i suoi quattro compagni, dopo essersi armati di fucili e provvisti di viveri, si erano messi animosamente in caccia, dietro le tracce del governatore.
Appena usciti dalla città, si erano gettati in mezzo alle grandi boscaglie fiancheggianti il vastissimo lago di Maracaybo, prendendo un sentieruzzo appena praticabile, che non doveva andare molto lontano, cosí almeno aveva detto il vendicativo catalano.
Le prime tracce erano state subito scoperte. Erano le impronte lasciate da otto cavalli sul suolo umido della foresta e da due piedi umani, ossia di otto cavalieri e di un pedone, numero corrispondente esattamente a quello detto dal prigioniero spagnuolo.
– Lo vedete!… – aveva esclamato il catalano, con aria trionfante. –
Per di qui è passato il governatore col suo capitano ed i sette soldati, uno dei quali era partito senza cavallo, essendo caduto il suo nel momento della fuga, rompendosi le gambe.
– Lo abbiamo veduto – rispose il Corsaro. – Credi che abbiano molto vantaggio su di noi?
– Forse cinque ore.
– È già molto, ma siamo tutti buoni camminatori.
– Lo credo, non sperate però di raggiungerli né oggi, né domani. Forse voi non conoscete ancora le foreste del Venezuela e vedrete quante inaspettate sorprese ci preparano.
– E chi ce le preparerà queste sorprese?
– Gli animali feroci ed i selvaggi.
– Non ci fanno paura né gli uni né gli altri.
– I Caraibi sono fieri.
– Non lo saranno meno col Governatore.
– Sono suoi alleati e non vostri.
– Che si faccia guardare le spalle da quei selvaggi?
– È probabile, capitano.
– Non m’inquieto. I selvaggi non mi hanno mai fatto paura.
– Meglio per voi. Andiamo, caballeros: ecco la grande foresta.
Il sentiero era bruscamente cessato dinanzi ad una macchia enorme, ad una vera muraglia di verzura e di tronchi colossali, la quale pareva che non presentasse alcun passaggio per degli uomini a cavallo.
Nessuno può formarsi un’idea della lussureggiante vegetazione del suolo umido e caldo delle regioni sud-americane e specialmente dei bacini dei fiumi giganti.
Quel terreno vergine, continuamente fertilizzato dalle foglie e dalle frutta, che da secoli e secoli si ammonticchiano, è coperto costantemente da tali ammassi di vegetali, che forse in nessun’altra regione del mondo se ne vedono di eguali, poiché colà le piú umili piante assumono proporzioni gigantesche.
Il Corsaro Nero e lo spagnuolo si erano arrestati dinanzi alla macchia enorme, ascoltando con profonda attenzione, mentre i due filibustieri ed il negro scrutavano il folto fogliame degli alberi vicini ed i cespugli, temendo qualche sorpresa.
– Dove saranno passati? – chiese il Corsaro allo spagnuolo. – Non vedo alcuna apertura dinanzi a questo ammasso di alberi e di liane.
– Uhm!… – mormorò il catalano. – Il diavolo non se li sarà portati via, almeno cosí spero. Mi rincrescerebbe per le venticinque bastonate che mi bruciano ancora il dorso.
– Ed i loro cavalli non avranno avute le ali, suppongo, – disse il Corsaro.
– Il governatore è astuto ed avrà cercato di far perdere le sue tracce. Si ode alcun rumore dalla macchia?…
– Sí, – disse Carmaux. – Laggiú mi pare d’udire dell’acqua a scorrere.
– Allora ho trovato, – disse il catalano.
– Che cosa? – chiese il Corsaro.
– Seguitemi, caballeros.
Il soldato tornò indietro, guardando il suolo e ritrovate le orme dei cavalli, le seguí inoltrandosi fra gruppi di cari, sorta di palme dal fusto spinoso che danno certe frutta somiglianti alle nostre castagne, raccolte in grandi grappoli.
Procedendo con precauzione per non lasciare le sue vesti su quelle lunghe ed acute spine, giunse ben presto dove Carmaux aveva udito il mormorio d’un corso d’acqua.
Guardò ancora a terra, cercando di discernere fra le foglie e le erbe le orme dei quadrupedi, poi allungò il passo e non si arrestò che sulla riva d’un fiumiciattolo largo due o tre metri, e dalle acque nerastre.
– Ah!… ah!… – esclamò allegramente. – Lo avevo detto che il vecchio è furbo.
– E che cosa vuoi concludere? – chiese il Corsaro, che cominciava ad impazientirsi.
– Che per cacciarsi nella grande foresta e far perdere le sue tracce è sceso in questo fiumicello.
– È profonda l’acqua?
Il catalano immerse la sua spada e cercò il fondo.
– Non vi sono che trentacinque o quaranta centimetri di acqua.
– Vi saranno dei serpenti?…
– No, sono certo di questo.
– Allora entriamo anche noi in acqua ed affrettiamo il passo. Vedremo fin dove si saranno serviti dei cavalli.
Entrarono tutti e cinque nel fiumicello, lo spagnuolo prima e il negro ultimo, essendo incaricato di vegliare alle spalle; si misero in marcia rimescolando quelle acque oscure, fangose, ripiene di foglie secche e che esalavano dei miasmi pericolosi, prodotti dai vegetali in decomposizione.
Quel piccolo corso d’acqua era ingombro d’ogni specie di piante acquatiche, e che erano state in piú luoghi calpestate e lacerate. Vi erano cespugli di mucumucú, specie di aroidi leggere, che si tagliano facilmente, essendo i loro fusti composti quasi interamente d’una midolla spugnosa; gruppi di legno cannone, dai fusti lisci, a riflessi argentei e che servono a formare delle zattere leggerissime; gambi sarmentosi di robinie, specie di liane che contengono un succo lattiginoso, che ha la proprietà sorprendente di ubriacare i pesci, se viene mescolato alle acque dei fiumi o dei laghetti, e parecchie altre che rendevano faticoso il cammino.
Un silenzio quasi perfetto regnava sotto le cupe volte dei grandi vegetali, curvanti i loro rami sul piccolo corso d’acqua. Solamente di tratto in tratto, ad intervalli regolari, si udiva echeggiare bruscamente come uno squillo di campana, il quale faceva alzare vivamente il capo a Carmaux ed a Wan Stiller, tanto era naturale.
Quello squillo che aveva una vibrazione argentina, e che si propagava nitido, destando tutti gli echi della grande foresta vergine, non proveniva da una campana; lo mandava un uccello che si teneva nascosto fra le fitte fronde di qualche albero, dal campanaro, cosí chiamato dagli spagnuoli, un volatile grosso come un piccolo colombo, tutto bianco ed il cui grido si ode ad una distanza di ben tre miglia.
La piccola carovana, sempre in silenzio, continuava a procedere rapida, curiosa di sapere fin dove il Governatore e la sua scorta avevano potuto utilizzare i cavalli, passando sotto ammassi di verzura che s’intrecciano cosí strettamente, da intercettare quasi completamente la luce del sole, quando verso la riva sinistra si udí improvvisamente echeggiare una detonazione abbastanza violenta, seguita da una pioggia di piccoli proiettili, i quali caddero nel fiumiciattolo, producendo un rumore analogo al cadere della gragnuola.
– Tuoni d’Amburgo!… – esclamò Wan Stiller, che si era istintivamente curvato. – Chi ci mitraglia?
Anche il Corsaro si era abbassato, armando precipitosamente il fucile, mentre i suoi filibustieri erano vivamente retrocessi. Solamente il catalano non si era mosso, e guardava tranquillamente le piante che ingombravano le due rive.
– Ci assalgono?… – chiese il Corsaro.
– Non vedo nessuno, – rispose il catalano, ridendo.
– E quella detonazione?… Non l’hai udita tu?…
– Sí, capitano.
– E non t’inquieti?…
– Vedete bene che io rido invece.
Un secondo scoppio, piú forte del primo, si udí questa volta in alto e un altra pioggia di proiettili cadde in acqua.
– È una bomba!… – esclamò Carmaux retrocedendo.
– Sí, ma vegetale, – rispose il catalano. – So di che cosa si tratta.
Piegò verso la riva destra e mostrò ai compagni una pianta, che pareva appartenesse alla specie delle euforbiacee, alta venticinque o trenta metri coi rami coperti di spine e le foglie larghe venti o trenta centimetri. Alle sue estremità pendevano certe frutta un po’ rotonde, avvolte in una corteccia che sembrava legnosa.
– State attenti, – diss’egli. – Le frutta sono appassite.
Non aveva ancora finito di parlare che uno di quei globi scoppiò con grande fracasso, lanciando a destra e a sinistra una pioggia di granelli.
– Non fanno male, – disse il catalano, vedendo Carmaux e Wan Stiller balzare indietro. – Sono semplicemente semi. Quando il frutto si lascia appassire, la corteccia legnosa acquista una forte resistenza e fermentando, dopo un certo tempo, scoppia, lanciando a notevole distanza i semi contenuti nei sedici scompartimenti interni.
– Sono almeno buone da mangiarsi quelle frutta?
– Contengono una sostanza lattiginosa, mangiata solamente dalle scimmie, – rispose il catalano.
– Al diavolo anche gli alberi bombe!… – esclamò Carmaux. – Credevo che fossero spagnuoli del governatore che ci mitragliassero.
– Avanti, – disse il Corsaro. – Non dimenticate che siamo in caccia.
Ripresero la marcia nelle acque del fiumicello, e, percorsi due o trecento passi, scorsero dinanzi a sé delle masse nerastre semisommerse che ostacolavano la corrente.
– Hai veduto qualche albero granata, questa volta? – chiese Carmaux.
– Qualche cosa di meglio. O m’inganno assai o quelle masse sono i cavalli del governatore e della sua scorta.
– Adagio, – disse il Corsaro. – I cavalieri possono essere accampati nei dintorni.
– Lo dubito, – rispose il catalano. – Il governatore sa di aver da far con voi e avrà sospettato un accanito inseguimento.
– Sia pure, ma siamo prudenti.
Armarono i fucili, si misero l’uno dietro l’altro in fila indiana per non farsi sterminare tutti da una scarica improvvisa, e s’avanzarono silenziosamente, tenendosi curvi e cercando di celarsi sotto i rami degli alberi, incrociantisi sopra il fiumicello. Ogni dieci o dodici passi, però, il catalano si arrestava per ascoltare con grande attenzione e per scrutare le fronde e le liane che ingombravano le due rive, temendo sempre qualche sorpresa.
Procedendo cosí, con mille precauzioni, giunsero là dove giacevano quelle masse oscure. Non si erano ingannati: erano i cadaveri di otto cavalli, caduti l’uno accanto all’altro e semi immersi nelle acque nere del fiumicello.
Il catalano ne rimosse uno, aiutato dall’africano, e vide che era stato scannato con un colpo di navaia.
– Li conosco, – diss’egli. – Sono i cavalli del governatore.
– Dove saranno fuggiti i cavalieri?… – chiese il Corsaro.
– Si saranno cacciati nella foresta.
– Vedi nessuna apertura?…
– No, ma… ah!… i furbi!…
– Cos’hai?…
Vedete questo ramo spezzato, da cui cola ancora qualche goccia di linfa?
– Ebbene?…
– Guardate lassú, due altri ve ne sono pure stati rotti.
– Vedo.
– Ecco, i furbi si sono issati su questi rami e si sono calati al di là della macchia. Non ci resta che imitare la manovra.
– Cosa facile per noi marinai, – disse Carmaux. – Ohé!… Issatevi!…
Il catalano allungò le sue braccia smisurate e magre come zampe di ragno e si issò su di un grosso ramo, seguito da tutti gli altri, con un accordo ammirabile. Da quel primo ramo passò su di un secondo che si allungava orizzontalmente, poi su di un terzo, che apparteneva ad un altro albero, e continuò cosí quella marcia aerea per trenta o quaranta metri osservando sempre attentamente i ramicelli e le foglie vicine. Giunto in mezzo ad una rete di liane, si lasciò cadere bruscamente al suolo, mandando un grido di trionfo.
– Ehi, catalano!… – esclamò Carmaux. – Hai trovato qualche ciottolo d’oro? Si dice che abbondano in questo paese.
– È una misericordia, invece; per noi può avere l’egual valore se non di piú. Buona, nel cuore del Governatore.
Il Corsaro Nero si era pure lasciato cadere al suolo ed aveva raccolto un pugnale dalla lama corta, rabescata e dalla punta sottile come un ago.
– Deve averlo perduto il capitano che accompagnava il governatore, – disse il catalano. – Gliel’ho veduto nella cintola.
– Allora hanno preso terra qui, – disse il Corsaro
– Ecco là il sentiero aperto nella boscaglia dalle loro scuri. So che tutti ne avevano una, appesa all’arcione dei loro cavalli.
– Benissimo, – disse Carmaux. – Ci faranno risparmiare della fatica e procedere piú speditamente.
– Silenzio, – esclamò il Corsaro. – Si ode nulla?…
– Assolutamente nulla, – rispose il catalano, dopo d’aver ascoltato alcuni istanti.
– Ciò vuol dire che sono lontani. Se ci fossero vicini si udrebbero distintamente i colpi delle loro scuri.
– Devono avere un vantaggio di quattro o cinque ore.
– È molto; speriamo nondimeno di poterle guadagnare.
Si erano cacciati entro quella specie di sentiero, aperto dai fuggiaschi nel mezzo della foresta vergine. Non era possibile ingannarsi, perché i rami recisi non si erano ancora appassiti e si trovavano in grande numero sparsi al suolo.
Il catalano ed i filibustieri si erano messi a correre per avvantaggiarsi: ad un tratto la loro rapida marcia fu arrestata da un ostacolo imprevisto, e che il negro, il quale era a piedi nudi, e Carmaux e Wan Stiller che non portavano stivali lunghi, non potevano affrontare se non con grandi precauzioni.
Quell’ostacolo era costituito da una vasta zona di spine ansara, la quale si estendeva fitta fitta fra i tronchi colossali della foresta. Quelle piante spinose crescono in gran numero in mezzo alle selve vergini del Venezuela e delle Guiane, e rendono le marce quasi impossibili per gli uomini che non hanno le gambe riparate da uose di grosso cuoio e da solidi stivali, essendo le loro punte cosí acute da trapassare qualsiasi panno non solo, ma talvolta perfino le suole delle scarpe.
– Tuoni d’Amburgo!… – esclamò Wan Stiller, che per primo si era impegnato fra quelle spine. – È la via dell’inferno questa? Usciremo di qui scorticati come S. Bartolomeo.
– Ventre di pesce-cane!… – urlò Carmaux, che era balzato subito indietro. – Diverremo tutti zoppi se saremo costretti ad attraversare questi triboli! I maghi della foresta dovevano mettere un cartello colla scritta: è vietato il passaggio.
– Bah! Ne troveremo un altro, – disse il catalano. – Disgraziatamente è troppo tardi.
– Siamo costretti a fermarci? – chiese il Corsaro.
– Guardate!…
La luce scemava allora bruscamente, quasi di colpo e un’oscurità profonda precipitava sulla foresta, invadendo tutti i recessi.
– Si arresteranno anche essi? – chiese il Corsaro colla fronte aggrottata.
– Sí, finché si alzerà la luna.
– Spunta?…
– A mezzanotte.
– Accampiamoci.
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