La colonna, che il Corsaro Nero ed il Basco dovevano condurre attraverso la palude difesa dalla batteria, era composta di trecentottanta uomini armati di una corta sciabola e di qualche pistola con solo trenta cariche, non avendo creduto necessario di armarsi di fucili, armi che reputavano di ben poca utilità contro i forti e d’imbarazzo nei combattimenti a corpo a corpo.
Erano però trecentottanta demoni risoluti a tutto, pronti a precipitarsi con furia irresistibile contro qualsiasi ostacolo, certi di uscire vincitori.
Al comando dei capi si misero subito in marcia, portando ognuno dei fasci di legna e dei grossi rami d’albero da gettare nella palude per rendere le sabbie accessibili.
Erano appena giunti sull’orlo di quel vasto pantano, quando si vide la batteria spagnuola, che si trovava all’opposta estremità, fiammeggiare, lanciando fra i canneti un uragano di mitraglia. Era un avvertimento pericoloso non però sufficiente per arrestare quei fieri scorridori del mare.
Il Corsaro Nero ed il Basco avevano lanciato il formidabile grido di guerra:
– Avanti, uomini del mare!…
I filibustieri si erano precipitati nella palude, gettando fasci di legna e tronchi d’albero per prepararsi la strada, senza preoccuparsi del fuoco della batteria nemica che diventava di minuto in minuto piú accelerato, facendo schizzare dovunque acqua e fango, sotto una pioggia incessante di mitraglia.
La marcia attraverso quel pantano diventava sempre piú pericolosa, di passo in passo che i filibustieri si allontanavano dal margine della foresta.
Il ponte, formato dai tronchi e dai fasci di legna, non bastava a tutti.
A destra e a sinistra, degli uomini capitombolavano, sprofondando fino alla cintola, senza essere piú capaci di uscirne se non venivano soccorsi dai compagni, e per colmo di sventura i materiali che avevano portato con loro per formarsi una via praticabile, non erano sufficienti per attraversare l’intera palude.
Quei valorosi erano costretti, di tratto in tratto, sempre sotto il fuoco della batteria, a immergersi nel fango per risollevare i tronchi ed i fasci e portarli piú innanzi, lavoro estremamente faticoso non solo, ma anche pericoloso, data la natura del fondo.
Il fuoco degli spagnuoli intanto cresceva. La mitraglia fischiava fra i canneti recidendoli, sollevava miriadi di spruzzi d’acqua limacciosa e colpiva gli uomini delle prime file, senza che questi potessero in modo alcuno rispondere a quelle scariche mortali, non possedendo che delle pistole dal tiro limitato.
Il Corsaro Nero ed il Basco, in mezzo a quel trambusto, conservavano un ammirabile sangue freddo. Incoraggiavano tutti colla voce e coll’esempio, facevano animo ai feriti, passavano ora dinanzi ed ora indietro per sollecitare i portatori dei tronchi e dei fasci ed indicavano i luoghi piú coperti di canneti, onde non esporre i loro uomini al fuoco incessante della batteria.
I filibustieri, quantunque cominciassero a dubitare della riuscita di quella difficile impresa, che chiamavano una vera pazzia, non si perdevano d’animo e lavoravano con lena accanita, certi che se fossero riusciti a varcare quel pantano, avrebbero facilmente vinta la batteria.
La mitraglia però faceva sempre strage fra le prime file. Piú di dodici corsari colpiti a morte erano spariti sotto il fango della palude ed oltre venti feriti si dibattevano in mezzo ai tronchi degli alberi ed ai fasci di legna, pure quei valorosi non si lamentavano, no!… Incoraggiavano invece i compagni ad avanzare, rifiutando i loro aiuti, onde non perdessero tempo ed urlando con furore:
– Avanti, compagni!… Vendicateci!…
Quella tenacia, quell’audacia ed il valore dei capi, dovevano finalmente trionfare contro gli ostacoli e contro la resistenza degli spagnuoli. Superato 1’ultimo tratto, dopo nuove perdite ed immense fatiche, i filibustieri giunsero finalmente sul suolo solido.
Organizzarsi prontamente e lanciarsi come un uragano all’assalto della batteria, fu l’affare d’un solo istante.
Nessuno piú poteva resistere a quei terribili uomini assetati di vendetta nessuna batteria, per quanto formidabilmente armata e disperatamente difesa, poteva ributtarli.
Colle sciabole nella destra e le pistole nella sinistra, i corsari irruppero sui terrapieni del ridotto.
Una scarica di mitraglia getta a terra i primi; gli altri montano all’assalto come furie scatenate, massacrano i cannonieri sui loro pezzi, investono i soldati messi a guardia del posto, li opprimono, nonostante la loro accanita resistenza.
Un urrah formidabile annunzia alle bande dell’Olonese che il primo, e forse piú difficile ostacolo, è stato superato.
La loro gioia doveva però essere di breve durata. Il Corsaro ed il Basco, che si erano affrettati a scendere nella pianura per studiare la via da tenere, si erano subito accorti che un altro ostacolo sbarrava loro il passo della montagna.
Al di là d’un piccolo bosco avevano veduto ondeggiare in alto il grande stendardo di Spagna e quella bandiera annunziava la presenza di qualche forte o di qualche ridotto.
– Per la morte di tutti i baschi!… – urlò Michele, furioso. – Ancora un osso duro da rodere! Quel dannato comandante di Gibraltar vuol proprio sterminarci? Cosa dice, cavaliere?
– Penso che questo non è il momento di andare indietro.
– Abbiamo subito già delle perdite crudeli.
– Lo so.
– Ed i nostri uomini sono sfiniti.
– Accorderemo loro un po’ di riposo, poi andremo ad assalire anche questa batteria.
– Credi che sia una batteria?
– Lo suppongo.
– E l’Olonese, che sia riuscito a giungere presso i forti?…
– Non abbiamo udito detonazioni verso la montagna, dunque egli deve aver raggiunti felicemente i boschi senza aver incontrato ostacoli.
– Sempre fortunato quell’uomo!…
– Speriamo di esserlo anche noi, Michele.
– Cosa facciamo ora?…
– Manderemo alcuni uomini ad esplorare il bosco.
– Andiamo cavaliere. Non bisogna lasciar raffreddare i nostri uomini.
Risalirono il poggio che si trovava a ridosso della foresta e incaricarono alcuni uomini audaci di spingersi presso la batteria.
Mentre gli esploratori s’allontanavano frettolosamente, seguiti a breve distanza da un drappello di bucanieri, incaricati di proteggerli contro le imboscate, il Corsaro Nero ed il Basco facevano trasportare i feriti al di là della palude, onde metterli in salvo nel caso di una ritirata precipitosa, facevano gettare altri fasci ed altri tronchi d’albero, per assicurarsi una via dietro le spalle.
Avevano appena finito di gettare il nuovo ponte, quando si videro giungere gli esploratori ed i bucanieri.
Le notizie che recavano non erano troppo buone. Il bosco era stato sgombrato dagli spagnuoli, però nella pianura avevano veduto una formidabile batteria difesa da numerose bocche da fuoco e da buon nerbo di truppe e che bisognava assolutamente assalire, se si voleva giungere sulla via della montagna. Invece nessuna nuova recavano dell’Olonese e delle sue bande non avendo udito echeggiare spari in alcuna direzione.
– In marcia, uomini del mare!… – gridò il Corsaro, snudando la spada. – Se abbiamo espugnata la prima batteria, non indietreggeremo davanti alla seconda.
I corsari, premurosi di giungere sotto i forti di Gibraltar, non si fecero ripetere due volte il comando. Lasciato un drappello a guardia dei feriti, si cacciarono risolutamente sotto gli alberi marciando rapidamente colla speranza di sorprendere i nemici.
La traversata della foresta si compí facilmente, non avendo incontrata resistenza, quando però giunsero nella pianura si arrestarono indecisi, tanto loro sembrava formidabile la batteria rizzata dai nemici.
Non era un semplice terrapieno, era un vero ridotto difeso da fossati, da palizzate e da muri a secco armati di otto cannoni.
Anche il Corsaro Nero ed il Basco erano diventati titubanti
– Ecco un osso ben duro da rodere, – disse Michele al Corsaro. – Non sarà facile attraversare la pianura sotto il fuoco di questi pezzi.
– Eppure non possiamo piú tornare indietro, ora che l’Olonese è forse presso i forti. Si direbbe che noi abbiamo paura, Michele.
– Avessimo almeno qualche cannone.
– Gli spagnuoli hanno inchiodati quelli della batteria da noi conquistata. Orsú all’assalto!…
Senza guardare se era o no seguito dagli altri, l’ardito Corsaro si slanciò attraverso la pianura correndo verso il ridotto.
I filibustieri, dapprima esitarono, poi vedendo che dietro al Corsaro si erano pure lanciati il Basco, Wan Stiller, Carmaux e l’africano, si precipitarono innanzi incoraggiandosi con clamori assordanti.
Gli spagnuoli del ridotto li lasciarono accostare fino a mille passi, poi diedero fuoco ai loro pezzi.
L’effetto di quella scarica fu disastroso. Le prime file dei corsari furono rovesciate, mentre le altre, atterrite e scoraggiate, retrocedevano precipitosamente, nonostante le grida dei capi.
Qualche drappello tentò ancora di riorganizzarsi, ma una seconda scarica lo costrinse a seguire il grosso, il quale ripiegava confusamente verso il bosco per poi ripassare la palude.
Il Corsaro Nero non li aveva però seguiti. Raccolti intorno a sé dieci o dodici uomini fra i quali Carmaux, Wan Stiller e l’africano, si era gettato in mezzo ad alcune macchie che fiancheggiavano il margine della pianura e con una marcia rapida aveva potuto oltrepassare il raggio di tiro del ridotto giungendo felicemente ai piedi della montagna.
Si era appena cacciato nei boschi, quando in alto udí rombare le grosse artiglierie dei due forti di Gibraltar ed echeggiare le urla dei filibustieri.
– Amici!… – gridò. – L’Olonese si prepara ad assalire la città. Avanti, miei valorosi!…
– Andiamo a prendere parte all’altra festa, – disse Carmaux. –
Speriamo che sia piú animata ed anche piú fortunata.
Quantunque fossero tutti stanchi, si misero a salire animosamente la montagna, aprendosi faticosamente il passo fra i cespugli e gli sterpi.
Sulla cima si udivano intanto tuonare con furore le grosse artiglierie dei due forti. Gli spagnuoli dovevano aver scoperte le bande dell’Olonese, e si preparavano a difendersi disperatamente.
Alle cannonate, i filibustieri del famoso Corsaro rispondevano con clamori assordanti, forse per far credere ai nemici di essere ben piú numerosi di quello che realmente erano. Non avendo fucili per rispondere, cercavano d’impressionare i difensori dei forti con le loro urla.
Le palle dei grossi cannoni cadevano ovunque, perfino alla base della montagna. Quei grossi proiettili di ferro segnalavano il loro passaggio con schianti fragorosi, abbattendo piante secolari, le quali cadevano con grande fracasso.
Il Corsaro Nero ed i suoi compagni s’affrettavano per raggiungere 1’Olonese, prima che questi cominciasse l’assalto dei due forti.
Avendo trovato un sentiero aperto fra gli alberi, in meno di mezz’ora si trovarono presso la cima, dove s’incontrarono colla retroguardia dell’Olonese.
– Dov’è il capo? – chiese il Corsaro Nero.
– Sul margine del bosco, – risposero.
– È cominciato l’attacco?
– Si attende il momento propizio, prima di esporci.
– Guidatemi da lui.
Due filibustieri si staccarono dalla banda e facendolo passare in mezzo a fitti cespugli, lo condussero agli avamposti dove si trovava l’Olonese con alcuni sottocapi.
– Per le sabbie d’Olonne! – esclamò il filibustiere, con voce allegra.
– Ecco un rinforzo, che mi giunge in buon tempo.
– Un magro rinforzo, Pietro, – rispose il Corsaro. – Ti ho condotto solamente dodici uomini.
– Dodici!… E gli altri? – chiese il filibustiere, impallidendo.
– Sono stati respinti nella palude, dopo d’aver subito delle gravi perdite.
– Mille fulmini!… Ed io che contavo su costoro!
– Forse hanno ritentato l’attacco della seconda batteria od hanno trovato un’altra via. Poco fa udivo i cannoni rombare nella pianura.
– Non importa. Cominceremo intanto l’assalto del forte piú grande.
– E come daremo la scalata?… Non possiedi scale.
– È vero, ma spero di costringere gli spagnuoli ad uscire.
– In quale modo?
– Simulando una fuga precipitosa. I miei corsari sono avvertiti.
– Allora attacchiamo.
– Filibustieri della Tortue! – urlò l’Olonese. – All’attacco!…
Le bande dei corsari, che fino allora si erano tenute nascoste sotto gli alberi ed i cespugli, per ripararsi dalle scariche tremende dei cannoni dei due forti, al comando del loro capo si precipitarono verso la spianata.
L’Olonese ed il Corsaro Nero si erano messi alla loro testa e s’avanzavano correndo, onde non far subire ai loro uomini perdite troppo crudeli.
Gli spagnuoli del forte piú prossimo, che era il piú importante e il meglio armato, vedendoli apparire, sparavano a mitraglia per spazzare la spianata, ma era forse troppo tardi. Malgrado molti cadessero, i corsari in pochi istanti giunsero sotto le mura e sotto le torri, tentando di arrampicarsi su per le scarpate e facendo fuoco colle pistole per allontanare dagli spalti i difensori.
Alcuni erano già riusciti, nonostante la difesa disperata della guarnigione, a salire, quando si udí echeggiare la voce tuonante dell’Olonese:
– Uomini del mare! In ritirata!…
I corsari, che si trovavano già impossibilitati a salire sulle torri e sui bastioni per mancanza di scale ed anche per la fiera resistenza che opponevano gli spagnuoli, s’affrettarono ad abbandonare l’impresa fuggendo confusamente verso il bosco vicino, tenendo però salde le armi in pugno.
I difensori del forte, credendo di sterminarli facilmente, invece di mitragliare coi cannoni, abbassarono rapidamente i ponti levatoi e si precipitarono imprudentemente all’aperto per dare loro addosso. Era quello che aspettava l’Olonese.
I corsari, vedendosi inseguiti, tutto d’un tratto volsero la fronte assalendo furiosamente i nemici.
Gli spagnuoli che non s’aspettavano quel vertiginoso contrattacco, sorpresi da tanta furia, retrocessero confusamente, poi s’arrestarono per tema che i corsari approfittassero della loro ritirata per entrare nel forte.
Una battaglia tremenda, sanguinosissima, s’impegnò da ambo le parti sulla spianata e dinanzi ai bastioni. Corsari e spagnuoli lottavano con pari furore a colpi di spada, di sciabola e di pistola, mentre quelli rimasti sugli spalti facevano grandinare nembi di mitraglia che mietevano amici e nemici alla rinfusa.
Già gli spagnuoli, due volte piú numerosi, stavano per cacciare i filibustieri e salvare Gibraltar, quando sul campo della lotta si videro irrompere le bande di Michele il Basco, il quale era riuscito ad aprirsi una via attraverso i boschi della montagna.
Quei trecento e piú uomini, giunti in cosí buon punto, decisero le sorti della mischia.
Gli spagnuoli, incalzati da tutte le parti, furono respinti entro il forte, ma assieme a loro entrarono pure i filibustieri, coll’Olonese, il Corsaro Nero ed il Basco usciti miracolosamente illesi.
Quantunque respinti, anche entro il forte gli spagnuoli opponevano una fiera resistenza, decisi a farsi sterminare, piuttosto che ammainare il grande stendardo di Spagna.
Il Corsaro Nero, entrato fra i primi, si era scagliato in un ampio cortile, dove un duecento e piú spagnuoli combattevano con accanimento disperato, cercando di rigettare gli avversari e di aprirsi il passo attraverso le loro file, per accorrere alla difesa di Gibraltar.
Già piú d’un archibugiere era caduto sotto la formidabile spada del terribile filibustiere, quando si vide precipitare addosso un uomo coperto di ricche vesti e col capo ricoperto da un ampio feltro grigio, adorno d’una lunga piuma di struzzo.
– Badate, cavaliere!… – gridò quel gentiluomo, alzando la sua lunga e scintillante spada. – Io vi uccido!…
Il Corsaro, che si era allora sbarazzato, a gran fatica, di un capitano degli archibugieri, il quale finiva di spirare ai suoi piedi, si volse rapidamente e mandò un grido di stupore.
– Voi, conte!…
– Io, cavaliere, – rispose il castigliano, salutando colla spada. – Difendetevi, signore, poiché l’amicizia non sta piú fra noi; voi combattete per la filibusteria ed io mi batto per la bandiera della vecchia Castiglia.
– Lasciatemi passare, conte, – rispose il Corsaro, cercando di gettarsi contro un gruppo di spagnuoli, che facevano fronte ai suoi uomini.
– No, signor mio, – disse il castigliano, con tono reciso. – O voi ucciderete me od io ucciderò voi.
– Vi prego, conte, lasciatemi passare!… Non costringetemi ad incrociare il ferro, con voi. Se volete battervi vi sono delle centinaia di filibustieri dietro di me. Io ho un debito di riconoscenza verso di voi.
– No, mio signore: siamo pari. Prima che la bandiera venga abbassata, il conte di Lerma sarà morto come il governatore di questo forte e tutti i suoi prodi ufficiali.
Ciò detto si scagliò contro il Corsaro, incalzandolo con furia.
Il signore di Ventimiglia, che conosceva la propria superiorità sul castigliano ed a cui rincresceva dover uccidere quel leale e generoso gentiluomo, fece due passi indietro, gridando ancora:
– Vi prego, non costringetemi ad uccidervi!…
– E sia!… – esclamò il conte, sorridendo. – A noi, signor di Ventimiglia!
Mentre attorno a loro la lotta ferveva con crescente furore fra urla, imprecazioni, gemiti di feriti e detonazioni di archibugi e di pistole, si assalirono reciprocamente coll’animo deliberato di uccidere o di farsi uccidere.
Il conte attaccava con grande impeto, raddoppiando le stoccate e coprendo il Corsaro in uno scintillio di colpi, che venivano prontamente ribattuti. Entrambi, oltre le spade, avevano estratti anche i pugnali, per meglio parare le botte. Si avanzavano, retrocedevano, s’incalzavano con nuova lena, tenendosi in piedi con grandi stenti a causa del sangue che scorreva per il cortile.
Ad un tratto il Corsaro, che aveva rinunciato all’idea di uccidere il nobile castigliano, con una battuta di terza, seguita da un rapido semicerchio, fece balzare la spada del conte, giuoco che gli era già riuscito nella casa del notaio.
Disgraziatamente pel castigliano, accanto a lui rantolava il capitano degli archibugieri, che poco prima era caduto sotto i colpi del Corsaro. Precipitarsi addosso a lui, strappargli la spada che ancora stringeva fra le dita rattrappite dalla morte e gettarsi nuovamente addosso all’avversario, fu l’affare d’un solo istante. Nel medesimo tempo un soldato spagnuolo era accorso in suo aiuto.
Il Corsaro, costretto a far fronte a quei due avversari, non esitò piú. Con una stoccata fulminea abbatté il soldato, poi volgendosi contro il Conte che lo assaliva di fianco, andò a fondo a corpo perduto.
Il castigliano, che non s’aspettava quel doppio colpo, ricevette la botta in mezzo al petto e la spada del filibustiere gli uscí dietro il dorso.
– Conte! – gridò il signor di Ventimiglia, prendendolo fra le braccia, prima che cadesse. – Triste vittoria per me questa, ma voi l’avete voluta.
Il castigliano, che era diventato pallido come un morto e che aveva chiusi gli occhi, li riaprí fissandoli sul Corsaro, poi gli disse con un mesto sorriso:
– Cosí voleva… il destino… cavaliere… Almeno… non vedrò… ammainare… lo stendardo… della vecchia Castiglia.
– Carmaux… Wan Stiller!… Soccorso! – gridò il Corsaro.
– È inutile… cavaliere… – rispose il conte, con voce semispenta. – Io… sono… uomo… morto… Addio mio gentiluomo… ad…
Uno sbocco di sangue gli spense la frase. Chiuse gli occhi, cercò di sorridere un’ultima volta, poi esalò l’ultimo respiro.
Il Corsaro, piú commosso di quanto avrebbe creduto, depose lentamente al suolo il cadavere del nobile e fiero castigliano, gli baciò la fronte che era ancora tiepida, raccolse sospirando la spada sanguinante, e si scagliò nella mischia, urlando con una voce che aveva un singhiozzo strozzato:
– A me, uomini del mare!…
La lotta ferveva ancora con estremo furore entro il forte.
Sugli spalti, sulle torri, nei corridoi, nelle camerate e perfino nelle casematte, gli spagnuoli combattevano colla rabbia che infonde la disperazione. Il vecchio e valoroso comandante di Gibraltar e tutti i suoi ufficiali erano stati uccisi, ma gli altri non s’arrendevano ancora.
La strage durò un’ora, durante la quale quasi tutti i difensori caddero attorno alla bandiera della patria lontana, piuttosto che cedere le armi.
Mentre i filibustieri dell’Olonese occupavano il forte, il Basco con un’altra grossa sortita assaliva l’altro che era poco lontano, costringendo i difensori alla resa, dopo d’aver promesso loro salva la vita.
Alle due, quell’aspra battaglia cominciata al mattino era terminata, ma quattrocento spagnuoli e centoventi filibustieri giacevano estinti, parte nei boschi e parte intorno al forte, cosí ostinatamente difeso dal vecchio Governatore di Gibraltar.
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