Il disastro della Marianna

Ancora una volta, la formidabile nave delle tigri di Mompracem, costruita da quegli impareggiabili ingegneri americani, aveva giustificato il suo titolo d’invincibile ed a prova di scoglio.

Nonostante l’urto tremendo sopportato da quel terribile colpo di sperone, le sue macchine e la sua prora avevano meravigliosamente resistito ed il suo blindaggio aveva sopportato, senza sfasciarsi, quel grandinar furioso di tante artiglierie.

Usciva dalla battaglia quasi incolume, poichè, salvo poche ammaccature di nessuna importanza, i suoi robusti fianchi potevano subire ben altre prove. Tutto il danno si era limitato a quattro morti, quattro artiglieri mutilati dallo scoppio di una granata.

Il Re del Mare non aveva rallentata la sua marcia. Sandokan e Yanez, sapendosi ormai inseguiti e supponendo, non a torto, che gli alleati avessero indovinato lo scopo di quella crociera, volevano giungere alla foce del Sedang con un vantaggio di almeno ventiquattro ore, per proteggere la Marianna e possibilmente abboccarsi coi capi dayaki.

Essi erano certi di trovare la loro piccola nave nascosta fra le scogliere, in attesa del loro arrivo.

– Se il diavolo non ci mette la coda, – disse Yanez a Tremal-Naik, – quando la squadra degli alleati ci raggiungerà, tutto sarà finito.

– Che non cessi di darci la caccia? – chiese l’indiano.

– Cercheranno di chiuderci fra il Sedang ed il Redjang per costringerci a gettarci verso la costa, – rispose il portoghese. – Spero tuttavia che non giungeranno in tempo.

– Purchè laggiù non incontriamo il figlio di Suyodhana. Hai udito quello che ci ha gridato sir Moreland?

– Sia pure, ma suppongo che quell’uomo non avrà certo una flotta sotto i suoi ordini.

– E se l’avesse armata? I thugs dovevano possedere dei tesori immensi che solo il figlio di Suyodhana avrà raccolti dopo la dispersione della setta.

– Sì, immensi, padrone, – disse Kammamuri che si era in quel momento accostato. – Durante la mia prigionia nel sotterraneo di Raimangal io ho veduto una caverna piena di barili colmi d’oro.

– Purchè non siano rimasti sott’acqua, – disse Yanez.

– Mi fu poi detto che possedeva ricchezze incalcolabili depositate presso le principali banche dell’India.

– Tu mi guasti la mia fumata, mio caro Kammamuri, – disse Yanez. – Che il figlio della Tigre dell’India sia riuscito ad armare parecchie navi? Bah! – esclamò poi, alzando le spalle, – la nostra nave può ben tenere testa a parecchie e daremo una lezione anche a quel signore. Veramente sarebbe ora che si mostrasse e si facesse vedere se somiglia a suo padre.

– Che peccato che sir Moreland non ci abbia fornito qualche spiegazione sul nostro nemico, – disse Tremal-Naik.

– Uhm! – fece Yanez. – Io ho il sospetto che quell’anglo-indiano sia più ai servigi del figlio di Suyodhana che a quelli del rajah di Sarawak.

– Ragione di più per non risparmiarlo, signor Yanez, – disse Kammamuri. – Dovevate lasciar tuonare tutte le artiglierie contro la sua scialuppa a vapore, invece di danneggiarla solamente.

– Che cosa vuoi, mi rincresceva lasciar massacrare quel giovane valoroso, – rispose Yanez.

– Così piacevole e cortese, – aggiunse Tremal-Naik. – Con noi si è mostrato un vero gentiluomo, quand’io e Darma eravamo suoi prigionieri, specialmente verso la mia figlia.

– Fino dal primo istante?

– Veramente no, – rispose l’indiano.

– Nei primi giorni appariva estremamente freddo, anzi mi guardava sovente con un brutto sguardo che mi dava non poche preoccupazioni, poi a poco a poco cambiò.

– Ah! – fece Yanez, sorridendo.

Riaccese la sigaretta che gli si era spenta e s’avviò verso il cassero dove si erano in quel momento mostrate Surama e Darma.

– Non avrete già avuto paura, mie buone fanciulle – disse guardando specialmente la figlia dell’indiano con una certa malizia.

– Grazie signor Yanez, – gli sussurrò Darma, prendendogli la destra e stringendogliela fortemente.

– Che cosa sai tu?…

– Ho sentito tutto.

– Ti sarebbe assai spiaciuto se fosse stato ucciso, è vero Darma?

– Sì, – sospirò la fanciulla. – Amor fatale!…

– Bah, finita la guerra vedremo di scovarlo quel coraggioso giovane. Chissà!… Tutto potrebbe finire bene e fare di voi due felici, poichè me ne sono accorto che anche sir Moreland ti ama ardentemente.

– Eppure, sahib bianco, – disse Surama, – mi hanno detto che aveva tentato di far saltare la nostra nave.

– Danneggiarla gravemente forse e approfittare della confusione per rapirci Darma, – disse Yanez. – Oh, non l’avrebbe certo lasciata annegare. Toh!… La nebbia si alza e vedo laggiù a diffondersi un poco di luce. È l’alba che sorge; vedremo se le navi degli alleati ci sono ancora alle spalle.

Infatti la nebbia, che aveva così opportunamente protette le tigri di Mompracem, cominciava ad alzarsi, cacciata via dalla brezza mattutina. Quando tutti quei vapori scomparvero verso il nord, il mare apparve deserto.

La squadra degli alleati, che non poteva competere colle poderose macchine del Re del Mare, doveva essere rimasta molto indietro e fors’anche ritornata verso la foce del Sarawak.

Anche verso il nord l’orizzonte appariva sgombro, essendosi tenuto l’incrociatore molto lontano dalle coste bornesi, per non farsi scorgere da qualche nave costiera.

Non si vedevano altro che degli uccelli marini, assai numerosi in quei paraggi e che volteggiavano con una leggerezza ed una velocità veramente ammirabili.

Il Re del Mare continuò la sua corsa velocissima tutto il giorno, volendo Sandokan non solo conservare il suo vantaggio, ma aumentarlo, onde avere il tempo necessario per trovare la Marianna.

Prima del tramonto l’incrociatore navigava già nelle acque che bagnano la costa del Sedang.

– Possiamo considerarci, almeno per ora, fuori di pericolo, – disse Yanez a Horward il quale, assieme a Darma, contemplava il tramonto del sole.

– Sì, però fra giorni, anzi forse fra quarant’otto ore, saremo costretti a ricominciare la musica, – rispose l’americano. – Le navi degli alleati non ci lasceranno tranquilli.

– Ah!… che superbo tramonto!… – esclamò in quel momento Darma.

– Quelli che si ammirano in questi mari sono infatti i più splendidi. – disse Yanez. – Hanno delle tinte che non si vedono in altri luoghi. Se state attenti vedrete il famoso raggio verde.

– Un raggio verde! – esclamarono l’americano e Darma.

– È splendido, mia piccola Darma: è un fenomeno meraviglioso che si può ammirare solamente nei mari della Malesia e nell’Oceano Indiano. Il cielo è purissimo, quindi anche tu lo vedrai. Aspetta solamente che l’orlo superiore del sole stia per scomparire.

– Possibile che da tutto quel fulgore infuocato possa sprigionarsi un raggio d’un tal colore! – esclamò.

– Sono certo di non ingannarmi: state attenti.

Il sole tramontava in un oceano di luce, le cui tinte a poco a poco variavano certo a causa dello stato più o meno igrometrico dell’atmosfera e della distanza dell’astro dallo zenith. Mentre stava, per modo di dire, per affondare nell’oceano, pel cielo si diffondeva una luce rosso-giallognola la quale prendeva rapidamente una tinta quasi violacea che si perdeva insensibilmente in un fondo azzurro-grigiastro. Il margine superiore del disco stava per sparire, quando apparve improvvisamente un raggio assolutamente verde, d’una bellezza tale da strappare all’americano ed a Darma un grido d’ammirazione.

Si proiettò per qualche istante sulle acque, poi scomparve di colpo, mentre l’ultimo lembo dell’astro diurno si celava dietro l’orizzonte.

– Splendido! – aveva esclamato Horward.

– Superbo! – aveva detto Darma. – Non avevo mai veduto un raggio d’un tal colore!…

Perchè non hai percorso che di rado questi mari, – rispose Yanez.

– E non si può vederlo in altri luoghi? – chiese Kammamuri che si era unito a loro.

– È difficilissimo, perchè occorrono eccezionali condizioni di limpidezza ed una grande purezza d’orizzonte e solamente in queste regioni si possono avere con maggior frequenza tali condizioni. Ecco la campana che ci chiama a cena. Approfittiamone finchè nessun pericolo ci minaccia, – disse Yanez, offrendo il braccio alla giovane anglo-indiana.

Due ore dopo il tramonto, il Re del Mare, che non aveva diminuita la sua velocità, si trovava di fronte alla foce del Sedang, ad una distanza di qualche mezza dozzina di miglia.

– Che la Marianna sia nascosta entro il fiume? – chiese Kammamuri a Yanez che esplorava la costa con un cannocchiale.

– Il suo comandante non sarà stato così sciocco. Deve essersi celato in mezzo alle scogliere di levante, che formano parecchi canali. Avanzeremo lentamente in quella direzione.

La nave, che aveva moderata la sua velocità, fece una punta fino a breve distanza dalle foci del fiume, poi si diresse verso l’est, dove si scorgevano lunghe file di scogliere.

Già si trovava a poca distanza dalle prime rocce che emergevano come minuscoli isolotti, quando si udirono rombare in lontananza alcune deboli detonazioni.

Sandokan, prontamente avvertito da Kammamuri, si era affrettato a salire in coperta assieme a Tremal-Naik ed a Horward.

Esaminato attentamente l’orizzonte in tutte le direzioni, nessuna nave, nè a vela, nè a vapore, apparve in vista. Eppure quegli spari, tre, se gli uomini di guardia non si erano ingannati, erano stati uditi da tutti. Una viva inquietudine si era dipinta sul viso di Sandokan.

– Che qualche nave abbia sorpresa la mia vecchia Marianna e l’abbia cannoneggiata? – si chiese. – Da quale parte venivano quegli spari?

– Da occidente, – disse Yanez, che era di guardia.

– Non hai veduto prima, in quella direzione, alcuna colonna di fumo?

– Niente; l’orizzonte era purissimo.

– Quelle detonazioni erano deboli?

– Debolissime.

– Quelle cannonate devono quindi essere state sparate ad una grande distanza, – disse Horward.

– Sì, considerato che il vento soffia appunto dall’est.

– Sandokan, – disse Tremal-Naik, la cui fronte si era oscurata.

– Cerchiamo subito la Marianna.

– È quello che faremo, – rispose la Tigre delle Malesia. – Se non la troveremo dietro a quelle scogliere, torneremo verso il Sedang. Manda Kammamuri con dei gabbieri sulle coffe e con dei buoni cannocchiali onde esplorino attentamente l’orizzonte.

Il Re del Mare aveva continuata la sua corsa verso l’est, seguendo la costa ad una distanza di un paio di miglia per non urtare contro qualche banco di sabbia; tuttavia nessuna nave appariva in vista.

Una profonda ansietà aveva invaso l’equipaggio e soprattutto Sandokan e Yanez. L’assenza del loro praho, che doveva trovarsi in quei paraggi già da parecchi giorni e forse da qualche settimana, inquietava assai tutti, temendo che fosse stato scoperto da qualche nave nemica ed affondato.

Sambigliong era furioso, più di tutti, e girava e rigirava fra le torricelle dei grossi cannoni, promettendosi di fracassare l’audace che aveva osato di abbordare la vecchia Marianna.

La corsa del Re del Mare durò un’ora, senza che i gabbieri avessero potuto scoprire in alcuna direzione il veliero, poi ad un comando di Sandokan l’incrociatore virò di bordo, accostandosi ad una barriera d’altissime scogliere che formavano un braccio di mare fra esse e la costa. Ormai tutti erano convinti che una disgrazia fosse toccata alla povera nave.

– Attivate i fuochi! – aveva comandato Sandokan. – Se giungiamo in tempo, faremo pagar caro agli inglesi questo colpo di mano!…

– Che ci raggiunga la squadra degli alleati?… – chiese Tremal-Naik a Yanez.

– Dobbiamo avere un vantaggio d’una dozzina d’ore almeno, – rispose il portoghese. – Giungerà troppo tardi.

La nave filava come una rondine marina, a tiraggio forzato. Tonnellate di carbone venivano precipitate nei forni, sprigionando un calore così intenso che macchinisti e fuochisti penavano a sopportare.

La notte, chiarissima, essendo sorta la luna poco dopo le undici, permetteva di discernere sull’argentea superficie del golfo qualsiasi punto nero, i gabbieri però, ad ogni domanda che veniva loro indirizzata rispondevano sempre negativamente. Nulla, sempre nulla!… Nessun punto nero sull’orizzonte!…

– Che quei colpi di cannone abbiano segnata l’agonia della Marianna? si chiedevano tutti, con crescente ansietà.

Alla mezzanotte le coste orientali di Sedang cominciarono a delinearsi, nerissime per la massa imponente delle loro foreste secolari.

Ad un tratto, quando il Re del Mare aveva già imboccato il canale che s’apriva dietro le scogliere, una voce risuonò sulla piattaforma del trinchetto.

– Fumo dinanzi a noi!…

Yanez aveva puntato un cannocchiale nella direzione indicata.

Un grosso punto nero, che emetteva una fitta colonna di fumo, filava fra la costa e le scogliere, fuggendo verso levante.

– Una nave a vapore! – gridò il portoghese. – Duemila metri!… Buon tiro per dei valenti artiglieri! Fermiamola!… Cento rupie a chi la tocca!…

Non aveva ancora terminata la frase che il vecchio quartiermastro americano, che aveva già guadagnati i duecento dollari, era dietro al suo pezzo, sotto la torretta proviera di babordo.

Vedeva perfettamente la nave che cercava di fuggire. La luna la illuminava in pieno.

La distanza era ragguardevole, però il vecchio cannoniere aveva fiducia nei suoi occhi e nel suo pezzo.

– Ora li accomodo io! – disse. – Le cento rupie balleranno nelle mie tasche in attesa di comperare una montagna di tabacco ed un barile di ginepro.

Attese che la nave passasse attraverso la prora dell’incrociatore e fece fuoco rapidamente.

Aveva colpito nel segno, causando all’avversario qualche grave danno o l’aveva mancato? Gli fu impossibile saperlo, perchè quasi nell’istesso momento la nave scompariva dietro un ostacolo, che la distanza non aveva permesso prima di distinguere, un isolotto o qualche scogliera.

Il Re del Mare si era messo in caccia, rallentando però la corsa, perchè da un momento all’altro poteva trovarsi dinanzi a uno dei tanti numerosi banchi sabbiosi che si estendono dinanzi alle foci del Sedang.

Giunto ad un chilometro dalle spiaggie, Sandokan aveva dato il comando di scandagliare.

Non conosceva che imperfettamente quei paraggi e non osava avanzarsi alla cieca, per paura di arenare l’incrociatore.

La nave però, contro la quale l’incrociatore aveva fatto fuoco, pareva che fosse scomparsa. Certo aveva approfittato delle scogliere che si vedevano numerose verso il nord, per cacciarsi in qualche canale e dileguarsi o cercare un rifugio entro qualche piccola baia.

Il Re del Mare, nella sua seconda corsa, doveva essere rimontato molto verso il levante del Sedang, quindi Yanez e Sandokan presero il partito d’abbandonare il fuggiasco, che doveva essere troppo debole per osare di contrastargli il passo, e di tornare verso ponente per cercare la Marianna.

Era sorto in loro il dubbio che il praho, per potersi sottrarre all’inseguimento, avesse cercato pure qualche nascondiglio o si fosse gettato alla costa.

Marciava da un quarto d’ora, a velocità ridotta, continuando a perlustrare, quando presso un gruppo di scogliere apparve una massa nerastra fornita d’un’alberatura altissima, dove si vedevano delle vele ancora spiegate.

– Nave alla costa! – gridarono in quel momento le vedette delle coffe.

– Deve essere la nostra Marianna! gridò Yanez. – Finalmente!…

Il Re del Mare aveva subito virato di bordo, avanzandosi lentamente verso quelle scogliere.

Tutti si erano precipitati verso prora per meglio osservare quella nave, la cui immobilità però dava luogo a non poche inquietudini, tanto più che pareva si trovasse addossata alle rocce.

Un fanale elettrico era stato subito volto verso di essa, illuminandola come in pieno giorno, eppure, cosa strana, pareva che nessuna persona si trovasse in coperta.

– Accendete tre razzi, – comandò Yanez. – Se a bordo vi sono degli uomini risponderanno di certo.

Che sia proprio la Marianna? chiese Tremal-Naik, il quale condivideva le apprensioni dei due comandanti.

– Non te lo posso ancora dire, – rispose il portoghese, – quantunque le vele siano d’un grosso praho o per lo meno d’un giong.

Mi nasce un dubbio.

– Che quella nave, per sfuggire alle cannonate dell’inglese si sia gettata addosso a quelle scogliere, arenandosi? È così Tremal-Naik?

– Sì.

– E temo che tu abbia indovinato.

– E l’equipaggio? Non si vede nessuno?

– E nessuno risponde, – disse Sandokan che si era accostato, mentre tre razzi lanciati da Kammamuri e da Sambigliong si spegnevano dopo di aver sparso in aria un nembo di scintille multicolori.

– Allora gli inglesi hanno fatto prigioniero l’equipaggio, – disse Tremal-Naik.

– E noi andremo a liberarli, dovessi inseguire quella nave fino entro il Sedang. Fa’ calare in acqua una scialuppa e andiamo a vedere se si tratta veramente della Marianna.

L’incrociatore aveva rallentata la marcia, sempre per tema di trovarsi improvvisamente dinanzi a dei bassifondi. Gli scandagli avevano già dati solamente dodici metri e pareva che il fondo si elevasse rapidamente.

La gran barca a vapore fu calata e Sandokan, Yanez e Tremal-Naik, con venti malesi armati, vi entrarono, dirigendosi verso la scogliera.

Il Re del Mare aveva virato di bordo tornando un po’ al largo, essendo l’ondata piuttosto forte.

La scogliera non distava che cinque o seicento metri. Era una lunga fila di rocce, di colore molto scuro, tagliate a mo’ di sega, coi fianchi sventrati e corrosi dall’eterna azione delle onde.

La nave si era arenata verso la punta settentrionale e nell’urto, che doveva essere stato violentissimo, si era piegata su un fianco, appoggiandosi colle bancazze ad una roccia elevata quanto l’alberatura.

Temendo una sorpresa, Sandokan comandò a dieci uomini di armare i fucili, poi spinse la scialuppa contro una caletta formata da una cintura di scogli, dove l’acqua era tranquilla.

Lasciati sei marinai a guardia dell’imbarcazione, cogli altri raggiunse la nave.

– La Marianna! gridò ad un tratto, con accento di dolore.

Il disgraziato veliero, od in causa d’una falsa manovra, o spintovi appositamente, si era sventrato sulle punte delle scogliere in così malo modo, da ritenerlo per sempre perduto.

Le rocce assai aguzze, gli avevano fracassata la carena, causandole uno squarcio così enorme, che le onde entravano liberamente nella stiva, rumoreggiando continuamente.

– In che stato è ridotto quel povero legno! – esclamò Yanez, che pareva non meno commosso della Tigre della Malesia. – Che l’abbiano costretto a gettarsi su queste scogliere? E il suo equipaggio?

– Vi è una scala di corda a babordo, – disse Tremal-Naik. – Saliamo.

– Preparate le armi, – comandò Sandokan. – Vi possono essere degli inglesi a bordo.

– Pronti! – disse Yanez.

Salì pel primo, quindi Sandokan, poi gli altri, tenendo in mano i fucili e le pistole.

Un silenzio di morte regnava sulla nave, ma che disordine sulla tolda!… Si vedevano casse e barili sventrati per ogni dove, fucili e spingarde rovesciate, poi a prora un buco enorme che pareva fosse stato prodotto da qualche granata.

Il boccaporto maestro era aperto e giù, nella profondità della stiva, si udiva l’acqua a muggire cupamente.

– Non vi è nessuno qui, – disse Yanez.

– Che cosa sarà successo dei miei uomini? – si chiese con ansietà Sandokan. – E del carico che aveva la nave? Mi pare che la stiva sia stata vuotata.

In quell’istante sulla cima dello scoglio, contro cui s’appoggiava la Marianna, si udì una voce a gridare: – Il capitano!…

Sandokan e Yanez avevano alzata vivamente la testa, mentre i malesi, per precauzione, armavano rapidamente le carabine.

Un uomo dalla pelle oscura e semi-nudo, scendeva rapidamente la roccia, tenendo in mano un parang, la cui larga lama scintillava vivamente ai raggi della luna.

In pochi istanti raggiunse la murata di babordo e balzò in coperta, dicendo:

– Vi aspettavo, capitano.

– Tu, Sakkadana! – esclamarono ad una voce Yanez e Tremal-Naik, riconoscendo in lui il pilota della Marianna.

Che cosa è successo qui? – chiese Sandokan.

– Siamo stati sorpresi ieri sera da una nave a vapore, che ci ha costretti a gettarci su queste scogliere, avendoci prodotto due squarci sotto la linea di galleggiamento. È fuggita vedendo giungere il vostro incrociatore.

– Ha saccheggiato la Marianna il suo equipaggio?…

– Sì, Tigre della Malesia. Ha portato via armi e munizioni.

– Ed i tuoi compagni dove sono?…

– Hanno guadagnato il Sedang.

– E tu sei rimasto?

– Non vi era più posto nella scialuppa, essendo stata l’altra spaccata da una palla di cannone.

– Non vi siete abboccati coi capi dayaki?

Sì, – rispose il pilota, – otto giorni or sono, ma nulla abbiamo potuto concludere. Il rajah, sospettando di loro, ne ha fatto imprigionare per precauzione una buona parte ed altri li ha esiliati lontani dalle frontiere.

– Maledizione! – esclamò Yanez. – Ecco una notizia che non m’aspettavo. Addio speranze!…

– Forse abbiamo tardato troppo, – disse Sandokan. – Il rajah ci ha prevenuti.

– Che cosa faremo ora, Sandokan?…

– Non ci rimane che lottare sul mare, – rispose la Tigre della Malesia. – Ritorneremo verso il nord, giacchè il grosso degli alleati si trova nelle acque di Sarawak e riprenderemo la guerra contro le navi mercantili, arrecando alle linee di navigazione il maggior danno possibile. Se sarà necessario ci spingeremo fino nei mari della Cina. A bordo, amici!… Non perdiamo tempo.

Stavano per ridiscendere nella scialuppa, quando udirono un colpo di cannone rimbombare a bordo del Re del Mare.

Sandokan aveva trasalito.

– Che segnali la flotta degli alleati? – si chiese.

– Lo suppongo, – rispose Yanez. – Vedo che si muove e che punta la prora verso di noi.

– Guardate! – gridò Tremal-Naik.

Verso l’ovest una luce vivissima illuminava l’orizzonte che poco prima era ancora tenebroso.

La flotta degli alleati, composta d’una mezza dozzina di navi, muoveva velocemente per impedire all’incrociatore di prendere il largo.

– Presto, a bordo! – gridò la Tigre della Malesia.

Si lasciarono scivolare l’un dietro l’altro giù per la fune e la scialuppa mosse velocemente verso il Re del Mare, che dal canto suo le muoveva incontro.

Le navi nemiche, quantunque fossero ancora lontane, avevano aperto il fuoco e le cannonate si succedevano alle cannonate e qualche proiettile s’inabissava a poche dozzine di metri dall’imbarcazione. Fra qualche minuto quelle masse metalliche dovevano giungere a destinazione.

Il Re del Mare era però ormai a poche gomene. Manovrò in modo da coprire la scialuppa dai tiri delle artiglierie avversarie, opponendo ai proiettili i suoi poderosi fianchi, poi la scala fu abbassata d’un colpo solo.

L’ingegnere Horward, Darma e Surama con Kammamuri erano usciti dalla torretta di poppa, gridando:

– Presto!… Presto!… Salite!…

Alcuni marinai avevano già calati i paranchi per issare la scialuppa.

Yanez, Sandokan, Tremal-Naik ed i loro compagni si slanciarono sulla scala, dopo d’aver assicurato i ganci.

– Finalmente! – esclamò l’americano. – Credevo che non arrivaste in tempo.

– A posto gli artiglieri! – gridò Sandokan. – Doppi timonieri alla ruota!…

– Avremo da fare per sbarazzarci della squadra; però siamo forti e veloci, – disse Yanez

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