Due rivali formidabili

Quando il conte di Medina entrò nel quadro, trovò Morgan solo, appoggiato alla tavola che occupava il centro del salotto, su cui stavano ancora i bicchieri vuotati da Carmaux e da Wan Stiller.

 Il filibustiere, vedendolo entrare, aveva spinto innanzi due sedie, dicendo con voce secca:

 «Sedete, signor conte; abbiamo da parlare di cose importanti.»

 «Conte!…» esclamò il governatore di Maracaybo, fingendo un gesto di stupore. «Ecco un titolo che sarei lieto di avere, ma per ora non lo possiedo. Vi siete ingannato, capitano Morgan, chiamandomi così.»

 «Ne siete ben convinto?» chiese il filibustiere con accento leggermente beffardo.

 «Io sono don Diego Miranda, e null’altro. Non ho mai avuto alcun titolo nobiliare.»

 «Piantatore forse?»

 «Fabbricante di cioccolatto a S. Domingo.»

 «Possibile che io mi sia ingannato o meglio che si siano ingannati coloro che avevano conosciuto in piena funzione il governatore di Maracaybo?» disse Morgan, sempre beffardo. «Signor conte di Medina, è meglio che giuochiamo a carte scoperte.»

 «Conte di Medina!» esclamò il figlio del duca. «È uno scherzo questo, capitano Morgan, per aumentare il prezzo del riscatto? Se si tratta di piastre, parlare pure. Sono abbastanza ricco per pagare e vi prego fin d’ora, di voler fissare la somma necessaria per riacquistare la mia libertà.»

 Morgan si mise a ridere; era però un riso secco, che non si udiva certo con piacere e che fece sussultare il conte.

 «Un riscatto» disse. «Non vi ho fatto chiamare per spillarvi alcune migliaia di piastre. Non ho terre e castelli come quel grande gentiluomo che fu il Corsaro Nero, tuttavia sono oggi ricco a sufficienza. E poi che importa a me l’oro? Signor conte, figlio del duca di Wan Guld, sia pure nato da altra donna, gettate la maschera.»

 «Quale?» chiese il governatore con voce sardonica.

 «Quella che cercate di applicarvi al viso per nascondere il vostro vero essere.»

 «Dunque io sarei?»

 «Il conte di Medina e Torres, governatore di Maracaybo.»

 «Un bel nome ed un bel titolo» disse il gentiluomo. «Vi hanno ingannato per bene coloro che vi hanno detto ciò.»

 Morgan, che cominciava ad impazientirsi, tese una mano verso la miniatura appesa alla parete, che rappresentava il duca di Wan Guld.

 «Ebbene, signor conte, negate ora, se l’osate, che quell’uomo non sia vostro padre. Lo conobbi troppo bene, quando lottava ferocemente contro il Corsaro Nero, a cui aveva prima ucciso nelle Fiandre il fratello maggiore, a tradimento e poi impiccati qui, in America, gli altri due: il Corsaro Verde ed il Rosso. Negatelo!…»

 Il conte era rimasto silenzioso.

 «Negatelo dunque» ripeté Morgan. «Quella miniatura vi appartiene.»

 «Chi ve lo ha detto?» chiese il conte. «Chi fu il miserabile che mi ha tradito? Maledizione su di lui. Ebbene sì, io sono il conte di Medina e Torres, figlio del duca di Wan Guld e della marchesa di Miranda, e governatore di Maracaybo… Che desiderate ora da me?»

 «Sapere una sola cosa» disse Morgan.

 «Quale?»

 «Perché avete mandato delle navi ad impadronirsi della figlia del Corsaro, della signora Jolanda di Ventimiglia?»

 «Voi volete sapere troppo, capitano Morgan» disse il conte. «Sono affari che riguardano me solo e non i filibustieri della Tortue.»

 «Voi avete dimenticato che il Corsaro Nero fu uno dei più grandi capitani della filibusteria e che, come tale, sua figlia ha diritto alla nostra protezione.»

 «La protezione di ladri di mare, di uomini posti fuori della legge!» disse il conte con un sorriso ironico. «Bei gentiluomini, in fede mia!…»

 Una vampa d’ira era salita sul viso di Morgan. La sua destra si posò rapidamente sulla guardia della spada ed estrasse a metà il ferro dalla guaina.

 «Uccidetemi, o meglio assassinatemi» disse il conte con voce pacata, aprendosi il giubetto e mostrando la bianca camicia di seta. «Il cuore batte qui.»

 Quella calma e quelle parole, furono come una doccia gelata per il filibustiere.

 «Morgan si batte, ma non assassina» disse ringuainando il ferro. «Avete la lingua che taglia, signor conte.»

 «La mia spada taglierebbe di più» rispose arditamente il figlio di Wan Guld.

 «Lo vedremo, se un giorno noi ci incontreremo l’uno di fronte all’altro, col ferro in pugno.»

 «Accetto fin d’ora la sfida.»

 «Volete rispondere alla mia domanda?»

 «Vi ho detto che sono affari che riguardano la mia famiglia.»

 «Voi odiate la signora di Ventimiglia.»

 «È possibile che io possa odiare la figlia di colui che causò la morte di mio padre, il duca di Wan Guld.»

 «Il Corsaro Nero non lo uccise. Fu vostro padre che diede fuoco alle polveri, quando la Folgore abbordò la sua fregata. Io ero presente a quella tragica scena. D’altronde, il Corsaro aveva dei gravi motivi per odiare vostro padre, che gli aveva assassinati tre fratelli.»

 «Ma non di abbandonare sulle onde del Mare dei Caraibi, colla tempesta che stava per iscoppiare, la figlia legittima di mio padre, Honorata di Wan Guld.»

 «Il Corsaro Nero aveva giurato di sterminare tutti coloro che portavano quel nome nefasto e l’aveva giurato sulle salme dei suoi fratelli, il Corsaro Rosso ed il Verde. D’altronde Honorata, sfuggita miracolosamente alla tempesta, non solo gli perdonò, ma divenne persino sua moglie.»

 «Ebbene anch’io ho giurato… Ho raccolta l’eredità di mio padre.»

 «Nelle vene della signora di Ventimiglia scorre il sangue della vostra famiglia.»

 «Mia madre non era quella di Honorata; io non sono un Wan Guld, sono un bastardo» disse il conte, con amarezza.

 Si passò una mano sulla fronte, come per scacciare un triste pensiero, poi disse, quasi con impazienza:

 «Orsù, che cosa volete fare di me?»

 «Promettetemi di rinunciare ai vostri disegni, che non possono essere se non malvagi, sulla signora di Ventimiglia e di lasciare per sempre le colonie spagnole dell’America, ed io vi porrò in libertà.»

 «Non sperate di strapparmi una simile promessa» disse il conte con voce energica.

 «Allora vi condurrò alla Tortue e vi rimarrete prigioniero finché avrete cambiato idea.»

 «Fate pure.»

 «Vi avverto che, fino all’arrivo, voi rimarrete chiuso in una cabina e guardato a vista, non desiderando io che la signora di Ventimiglia sappia che voi siete a bordo.»

 «Ah!… Ella è qui!…» esclamò il conte, fingendo la più viva sorpresa.

 «Non lo sapevate?»

 «Nessuno me lo disse.»

 «Non createvi delle illusioni.»

 «Che cosa volete dire, signor Morgan.»

 «Lasciate ogni speranza di poter agire contro di lei.»

 Il conte alzò le spalle senza rispondere. Appena però Morgan gli ebbe voltato il dorso per chiamare gli uomini che vegliavano al di fuori in attesa del prigioniero, un sorriso sinistro gli apparve sulle labbra, mentre una cupa fiamma gli balenava negli occhi.

 «Signor conte» disse Morgan, lasciando entrare i due corsari di guardia. «Seguìte questi uomini.»

 «Sta bene» rispose il governatore.

 E uscì colla fronte alta, senza tradire la menoma apprensione e senza nemmeno salutare il suo nemico.

 «Ecco un uomo capace di darmi molto da fare» mormorò Morgan, quando si trovò solo. «Sarà meglio affrettarci ad approdare alla Tortue. «In mare non dormirò tranquillo finché vi sarà a bordo costui. Carmaux!…»

 Il francese, che forse s’aspettava quella chiamata e che fumava sull’ultimo gradino della scala in compagnia dell’inseparabile amburghese, fu lesto ad accorrere.

 «Che cosa vuole il signor Morgan?»

 «Affido a te ed all’amburghese la sorveglianza del conte. Non è necessario che ti dica che egli è un pericoloso personaggio.»

 «È il figlio di Wan Guld, del terribile vecchio che ha dati al Corsaro Nero tanti fastidi» disse Carmaux. «Io ed il mio compare Wan veglieremo a turno dinanzi alla sua cabina.»

 «E non una parola alla signora di Ventimiglia, sulla presenza del conte. Forse non vivrebbe più tranquilla, sapendolo a bordo.»

 «Non siamo che in quattro a conoscerlo, e se don Raffaele parla, lo butto ai pesci.»

 «Lavorano i carpentieri?»

 «Sono tutti nella cala e pare che la falla sia più larga di quanto supponevano gli spagnoli.

 «Non potremo rimetterci alla vela prima di domani a sera.»

 «Andrò io ad accelerare i lavori. Va’, Carmaux, e apri gli occhi.»

 Il francese raggiunse l’amburghese, che non aveva abbandonato il suo posto.

 «Acqua in bocca, compare, su quanto è avvenuto. È l’ordine.»

 «Non parlerò.»

 «Hai veduto don Raffaele?»

 «Mi pare di averlo scorto poco fa sul castello di prora.»

 «Andiamo a cercarlo.»

 Attraversarono la tolda, dove una parte dell’equipaggio, aiutato da parecchi prigionieri spagnoli della fregata, lavorava accanitamente alle pompe, per vuotare la sentina e salirono sul castello, ma non riuscirono a scorgerlo.

 Percorsero nuovamente la coperta, guardando sotto le vele che erano state calate in coperta e fra i rotoli di cordami; poi scesero nelle batterie interrogando i loro camerati, visitando perfino la camera comune dell’equipaggio e le dispense senza trovarlo.

 «Questa sparizione è misteriosa» disse l’amburghese. «Che quel pauroso, temendo qualche vendetta da parte del governatore, sia fuggito?»

 «E dove?» chiese Carmaux. «È più probabile che si sia annegato. La desiderava tanto la morte!…»

 «È impossibile che abbia presa una così disperata risoluzione; cerchiamolo ancora, compare.»

 Alcuni amici, informati della scomparsa del piantatore, si erano uniti a loro, visitando la nave dalla tolda alla cala; dovettero finalmente convincersi che quel povero uomo non si trovava più a bordo del veliero.

 Uno dei prigionieri della fregata aveva detto loro che, trovandosi pochi minuti prima sul cassero, gli pareva di aver udito un tonfo, come se un corpo o qualche attrezzo fosse caduto in mare.

 «Si è annegato» disse l’amburghese. «Mi rincresce, parola di marinaio, perché, quantunque spagnolo, era un buon uomo.»

 «O l’hanno invece annegato?» disse Carmaux.

 «E chi?» chiese l’amburghese, che era stato profondamente colpito da quelle parole.

 «Qualcuno che forse sospettava di lui.»

 «Il capitano Valera?»

 «Chi lo sa?»

 «Avrebbe gridato e opposta qualche resistenza.»

 «Possono averlo prima pugnalato a tradimento od imbavagliato.»

 «Eppure ho scorto poco fa il capitano giù nel frapponte, che chiacchierava tranquillamente col capitano del veliero» disse l’amburghese.

 «Comunque sia, mi rattrista la miseranda fine di quel buon diavolo, che ci ha reso tanti servigi. In guardia, amburghese. Il governatore è affidato alla nostra sorveglianza e dobbiamo tenere gli occhi aperti. Quello è il più pericoloso di tutti!…»

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