Quando i due filibustieri e la figlia del Corsaro Nero uscirono dal convento dei Carmelitani, trovarono sulla porta don Raffaele.
L’onesto piantatore se l’era svignata, per paura che i due corsari avessero la peggio in quel combattimento e che il capitano Valera gli facesse pagare ben caro il tradimento, ma non aveva osato lanciarsi attraverso le vie della città, che erano percorse dagli uomini di Morgan, i quali potevano fargli passare un brutto quarto d’ora.
Si era perciò tenuto nascosto dietro la porta del monastero, in attesa che il capitano od i corsari comparissero, pronto a mettersi sotto la protezione dell’uno o degli altri.
«Ah!… Siete qui, don Raffaele?» disse Carmaux, scorgendolo raggomitolato dietro la porta. «Non avete dato una bella prova del vostro coraggio, lasciando noi soli alle prese coi vostri compatrioti.»
«Voi sapete che io non sono mai stato un uomo di guerra» rispose il piantatore. «Che cosa volete che facessi per voi, non possedendo nessuna arma per di più?
«Ah!… La signora di Ventimiglia!… Che uomini siete voi!… Riuscite in tutte le vostre imprese. Li avete uccisi gli altri?»
«Uno solo, il soldato» rispose Carmaux. «Basta, conduceteci al palazzo del governo per vie fuori di mano, se è possibile.»
«Attraverseremo le ortaglie» rispose don Raffaele.
«Vi fidate di costui?» chiese la fanciulla a Carmaux.
«È una nostra vecchia conoscenza» rispose il filibustiere, ridendo. «Non temete di quel coniglio.»
Si misero in cammino, inoltrandosi attraverso a delle piccole piantagioni d’indaco e di cotone, che si stendevano dietro i sobborghi.
Non si scorgeva nessuno. Spagnoli e schiavi negri erano fuggiti o erano stati già catturati dai filibustieri di Morgan, che avevano spinto fino là le loro scorrerie, a giudicarlo dalle porte sfondate o sgangherate delle abitazioni e dagli ammassi di mobili fracassati, che si scorgevano sulle vie e che dovevano essere stati gettati dalle finestre.
Dopo un lungo giro, il piccolo drappello giunse sulla Plaza Mayor, dove gran parte dei corsari di Morgan vi si erano radunati.
Montagne di barili, di balle di cotone, di botti di zucchero, di farina e di altre derrate, ingombravano la piazza, che pareva fosse stata tramutata in un immenso mercato.
Parecchie centinaia di prigionieri spagnoli, scelti fra le persone più cospicue della città, si trovavano ammassati in un angolo, guardati da drappelli di corsari, armati fino ai denti.
Vedendo comparire Carmaux e Wan Stiller colla fanciulla e col piantatore, parecchi filibustieri erano mossi loro incontro gridando:
«Buona presa, Carmaux?»
«Corna di toro!… Il vecchio marinaio ha scelta una vera perla!… Dove hai scovata quella bellezza, furbone?»
«E questi è il traditore che ha fatto impiccare i nostri camerati» urlarono parecchi, circondando don Raffaele. Facciamolo ballare con una buona corda al collo!…»
«Oh!… Canaglia, non scappi più.»
Venti mani si erano allungate verso il disgraziato piantatore, che pareva più morto che vivo, e stavano per afferrarlo, quando Carmaux si gettò in mezzo a loro colla spada in mano, urlando:
«Largo!… È preda mia e guai a chi la tocca!…»
«Impicchiamolo!… Lascia fare, camerata. Te lo pagheremo egualmente.»
«È del capitano» ribatté Carmaux. «Me lo ha già pagato. Sgombrate! E questa fanciulla è la figlia del Corsaro Nero»
Un grido di stupore ed insieme d’ammirazione sfuggì da tutti i petti. Tutti lasciarono cadere le spade e le sciabole, e si levarono i berretti ed i cappellacci.
«La signora di Ventimiglia!» esclamarono.
La fanciulla era rimasta impassibile, e guardava fieramente quei ruvidi uomini del mare, colle ciglia aggrottate.
Fece solamente un lieve cenno col capo, vedendo i filibustieri scoprirsi rispettosamente.
«Andiamo, signora» disse Carmaux, ringuainando la spada. «Il capitano ci aspetta.»
Il circolo si aperse. Carmaux e Wan Stiller si diressero verso il palazzo del governatore, dove Morgan aveva preso alloggio.
Anche colà i filibustieri avevano, secondo la loro abitudine, tutto devastato, colla speranza di trovare oro e denaro nascosti.
I mobili erano stati fracassati, le tappezzerie lacerate, i soffitti sfondati e sgretolati, e sollevate perfino le lastre di pietra dei pavimenti.
Carmaux, che conosceva il palazzo, avendo preso parte al saccheggio compiuto vent’anni prima dai filibustieri dell’Olonese, del Corsaro Nero e di Michele il Basco, condusse la fanciulla in una delle sale superiori, dicendole:
«Aspettatemi qui, signora, e tu Wan Stiller, mettiti di guardia alla porta e impedisci a tutti l’entrata. Vado a cercare il capitano.»
Morgan si trovava nell’ampia sala del Consiglio coi suoi ufficiali, tutti occupati a far chiudere in casse il denaro, l’oro e le pietre preziose, frutto del saccheggio.
Vedendo entrare Carmaux, che non aveva più veduto dal mattino, ma che era stato avvertito come si trovasse sulle traccie della figlia del Corsaro Nero, gli mosse sollecitamente incontro, chiedendogli premurosamente:
«Nulla, è vero?»
«L’abbiamo trovata.»
«Jolanda di Ventimiglia!…» esclamò Morgan trasalendo.
«È qui.»
«Tu sei un uomo meraviglioso, Carmaux. Avrai doppia parte nella ripartizione del bottino e altrettanto avrà l’amburghese.
«Conducimi da lei.»
«Un momento, mio capitano. Ho appreso un segreto sul conto del governatore di Maracaybo, che la figlia del Corsaro Nero probabilmente ignora, ma che voi dovete conoscere prima di vederla.»
Morgan lo condusse in un gabinetto attiguo alla sala, chiudendo la porta.
Quando Carmaux gli ebbe narrato tutto ciò che aveva appreso da don Raffaele, lo stupore dell’ almirantenon ebbe più limiti.
«Il conte di Medina, figlio di Wan Guld!» esclamò. «Ecco un nemico che se somiglia a suo padre, ci darà del filo da torcere e che bisogna che cada nelle nostre mani prima che noi lasciamo Maracaybo. Quella razza è implacabile nei suoi odii. Sai dove si è rifugiato?»
«Tutti lo ignorano, capitano.»
«Finché egli è libero, Jolanda di Ventimiglia avrà tutto da temere da lui, se è vero che suo padre lo ha incaricato di vendicarlo anche sui discendenti del Corsaro Nero.»
Rifletté un momento, poi disse:
«Dobbiamo recarci a Gibraltar senza perdere tempo. So che la squadra spagnola è stata veduta al largo di Puerto de Chimare e potrebbe, da un momento all’altro, giungere qui ed impedirci l’uscita dalla laguna. Darò ordine ai miei d’imbarcarsi oggi stesso, veleggeremo questa sera alla volta di Gibraltar. Conducimi dalla fanciulla, mio bravo Carmaux. Sono impaziente di vederla.»
Rientrarono nella sala del Consiglio. Morgan conferì per qualche minuto coi suoi ufficiali, dando gli ordini opportuni, onde prima che le tenebre scendessero, gli equipaggi, i prigionieri e le ricchezze accumulate si trovassero a bordo dei legni; poi seguì Carmaux entrando nel salotto dove si trovava la figlia del Corsaro Nero.
Appena si trovò in presenza della fanciulla, un grido gli sfuggì.
«Mi sembra di vedere in voi, signora» le disse inchinandosi galantemente «il fiero gentiluomo d’oltremare.»
«Siete voi il capitano Morgan?» chiese la fanciulla con voce armoniosa, fissando sul formidabile filibustiere, che empiva ormai già il mondo delle sue audaci imprese, i suoi grandi occhi neri.
«Sì» egli rispose, «Io ero il luogotenente di vostro padre, signora.»
«Morgan» disse Jolanda, senza staccare un solo istante i suoi sguardi dal fiero scorridore del mare. «Quante volte ho trovato questo nome nelle memorie lasciate da mio padre! Sapete che io ho lasciato l’Europa, per venire a chiedere la vostra protezione?»
«Contro chi, signora?» chiese il filibustiere.
«Contro il conte di Medina, che mi nega i diritti indiscutibili che io ho sull’eredità di mia madre, la duchessa Honorata Wan Guld.»
«Se voi, signora, prima di salpare dai porti dell’Europa, mi aveste avvertito delle vostre intenzioni, avrei lasciata la Tortue con una flotta imponente per venirvi ad incontrare all’entrata del golfo del Messico. Sarebbe bastata la notizia che la figlia del Corsaro Nero veniva a chiedere la protezione dei Fratelli della Costa, perché tutti i filibustieri della Tortue si mettessero in mare. Vostro padre, o signora, quantunque sia scomparso da molti anni, conta ancora più amici che i più famosi corsari, me compreso.»
«Sì» disse la fanciulla con un sospiro. «Mio padre aveva qui, fra gli eroi del mare, ancora molti devoti camerati.»
«Signora» disse Morgan con impeto. «Vi hanno usata qualche villania gli spagnoli? Parlate e, parola di Morgan, voi ne avrete pronta vendetta.»
Jolanda lo guardò a lungo in silenzio, quasi sorridendo, poi disse: «No.»
«Nemmeno il governatore?»
«No.»
«Eppure io so che meditava di farvi sparire.»
«Farni… sparire?»
«Sì, signora.»
«Per qual motivo?» chiese la fanciulla con stupore.
«Ve lo dirò in un altro momento.»
«Queste parole mi sorprendono. So che il governatore insisteva perché rinunciassi in favore del governo spagnolo ai miei diritti sulle vaste possessioni che appartenevano a mia madre, dopo la morte del duca, mio nonno.»
«E avete rinunciato?»
«Oh, mai!…»
«Non vi ha minacciato?»
La fanciulla parve riflettere qualche istante, poi disse:
«Mi ha parlato di vendetta, che egli era stato incaricato di compiere.»
«Miserabile!» gridò Morgan. «Il giaguaro voleva ingannarvi, prima di divorarvi.»
«Dite?» chiese Jolanda.
«Signora, si dice che il governatore sia fuggito a Gibraltar. In questo momento i miei uomini stanno imbarcandosi per andarlo a trovare, non potendo essere io tranquillo finché quell’uomo non sarà in mia mano. Vi offro sulla mia nave, che porta il nome glorioso e temuto della invincibile Folgore che comandava vostro padre, un posto. Mi seguirete voi? Sarete sotto la protezione della bandiera dei Fratelli della Costa e nessuno potrà giungere fino a voi, se prima non ci avranno distrutti dal primo all’ultimo. Accettate?»
«Ho fede nella lealtà dei filibustieri, compagni di mio padre» rispose la fanciulla. «Capitano Morgan, io appartengo alla filibusteria.»
«Venite, signora, e si provino gli spagnoli a strapparvi agli scorridori del mare della Tortue.»
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