Quattro giorni dopo, il filibustiere si dichiarò pronto a mettersi in marcia.
La ferita si era quasi interamente rimarginata, e, quantunque si fosse nutrito di sole frutta, le forze a poco a poco gli erano ritornate.
La sua robusta, anzi eccezionale fibra, aveva concorso non poco ad affrettare la sua guarigione.
Già il giorno innanzi si era provato a fare una breve passeggiata nel bosco vicino, senza provare alcun dolore.
«Partiamo, signora» disse dunque quella mattina, dopo una magra colazione di banane cucinate sotto la cenere. «Dobbiamo raggiungere il mare al più presto.»
7«Là sta la nostra salvezza.»
«Supponete che questa laguna abbia uno sbocco verso il golfo del Messico?» chiese Jolanda.
«Sì, perché io ho ieri osservato che la corrente scende verso il sud per sei ore, e che poi risale verso il settentrione.»
«Dunque queste acque subiscono il flusso e riflusso del mare?»
«Precisamente.»
«E sperate di trovare là Carmaux?»
«O per lo meno qualche villaggio di Caraibi. Quei selvaggi non sono più cattivi e rispettano gli uomini dalla pelle bianca, ora che hanno subìto la colonizzazione spagnola. Da loro potremo avere facilmente una buona piroga colla quale riusciremo a giungere alla Tortue. Colla promessa di qualche fucile, non si fanno pregare per accompagnarci.»
«E Carmaux?»
«Quando saremo alla Tortue manderò qui un drappello di bucanieri o di filibustieri a cercarlo.
«Dov’è il nostro canotto?»
«L’ho ricondotto qui ieri sera, mentre voi dormivate. La zattera che mi avete insegnato a costruire, mi ha trasportata fino al banco dove si era arenato.»
«Siete una fanciulla ammirabile, signora di Ventimiglia.»
Presero le spade e la pistola e scesero la riva, ma una dolorosa sorpresa li attendeva: l’imbarcazione era nuovamente scomparsa!…
«Che si sia affondata?» si chiese Morgan, diventando pallidissimo.
«Non lo ammetterò mai» rispose Jolanda, che appariva non meno sgomentata del filibustiere. «Era tutta d’un pezzo e non aveva alcuna crepatura.»
«Allora ce l’hanno rubata.»
«E quando?»
«Voi siete certa che vi fosse ancora ieri sera?»
«Sì, l’avevo legata con una liana nuova.»
«Qualcuno ce l’ha rubata approfittando dell’oscurità. Durante la vostra veglia non avete veduto nessuno?»
«Non mi parve, signor Morgan.»
Il filibustiere scese la riva e prese la liana che prima univa il canotto ad un fusto di legno cannone e la esaminò attentamente.
«È stata tagliata con un colpo di coltello o con qualche cosa di simile» disse. «Signora, io suppongo che altri indiani abbiano scoperto il nostro accampamento e la più elementare prudenza consiglia di andarcene di qui al più presto.»
«E dove?» chiese Jolanda.
«Nella foresta dove gli Oyaculè hanno inseguito Carmaux ed i due caraibi. M’ingannerò, eppure io spero di ritrovare ancora il mio marinaio»
«Sarà necessario attraversare il fiume, ma mi pare che l’acqua non sia troppo profonda e poi sono un buon nuotatore e non avrei difficoltà a portarvi sulla riva opposta.»
«Allora andiamo, signor Morgan» rispose Jolanda. «Marciando sempre verso il nord noi giungeremo in ogni modo al mare e voi avete una piccola bussola, è vero?»
«Sì, signora di Ventimiglia.»
Raccolse un grosso ramo per servirsene da bastone e si misero tutti e due in cammino, attraversando il promontorio boscoso.
Morgan s’avanzava adagio per non irritare troppo la ferita e di quando in quando si arrestava per scrutare i dintorni, temendo sempre una sorpresa da parte di coloro che avevano rubata la scialuppa.
La foresta sembrava invece deserta, non si scorgevano che pochi gruppi di cebo brune, scimmie dal corpo massiccio, ricche di pelo che si solleva in forma di cresta sul capo, terminante in un ciuffo e che poi si allunga come una barba, girando intorno al mento.
In dieci minuti Morgan e Jolanda attraversarono il lembo della foresta e giunsero sulla riva del fiume, in un luogo ove l’acqua non era molto profonda ed il guado possibile.
«Permettete che vi prenda in braccio, signora» disse Morgan. «Non voglio che vi bagniate.»
Stava per curvarsi onde prendere la fanciulla fra le braccia, quando alcune freccie sibilarono ai suoi orecchi, senza colpirlo, poi una turba d’indiani uscì correndo dalla foresta, maneggiando le pesanti mazze quadrangolari ed agitando gli archi.
Morgan snudò rapidamente la spada, gettandosi dinanzi a Jolanda per proteggerla, poi, coprendosi con un fulmineo mulinello, arrestò per un istante gli assalitori, gridando in lingua spagnola:
«Fermatevi o vi uccido!…»
Gl’indiani invece di obbedire si schierarono in semicerchio tendendo gli archi e puntando le frecce contro il petto del filibustiere.
Il momento era terribile. Era impossibile che a così breve distanza gl’indiani, che sono generalmente abilissimi arcieri, potessero mancare al bersaglio.
Morgan, comprendendo che la sua vita e quella di Jolanda erano in grave pericolo, abbassò la spada, dicendo con voce minacciosa:
«Che cosa volete voi dall’uomo bianco? Io non sono vostro nemico. Perché mi assalite?»
Un indiano che era più alto degli altri e che portava infisse nei capelli alcune penne di crace, con un cenno fece abbassare gli archi, poi s’avanzò di qualche passo, dicendo pure in lingua spagnola:
«Chi sei tu e da dove vieni?»
«Siamo naufraghi che la tempesta ha gettati su queste coste.»
«Sei tu che hai ucciso uno dei nostri capi che era qui venuto a cacciare il maipuri (tapiro) con un suo compagno e che poi non ha fatto più ritorno alla sua città?»
«Intendi parlare di Kumara, forse?» chiese Morgan, facendo un gesto di sorpresa ed insieme di gioia.
«Come conosci il mio nome?» chiese l’indiano, con non minore sorpresa.
«Io l’ho incontrato cinque giorni or sono presso la costa, assieme al suo compagno. Era stato sorpreso dagli Oyaculè e si era rifugiato nel mio accampamento.»
«Sono comparsi qui gli Oyaculè?» chiese l’indiano, con un tremito nella voce.
«Sì, e furono essi a dividermi da Kumara.»
«E dov’è ora il capo?»
«Io non lo so. È fuggito nella foresta assieme ad uno dei miei compagni e non ho più riveduto nessuno»
«Tu mi giuri sul tuo piaye che non l’hai ucciso?»
«Lo giuro» disse Morgan.
L’indiano si volse verso i suoi compagni e scambiò con loro alcune parole, in una lingua che il filibustiere non comprendeva, quindi tornò verso Morgan che stava sempre dinanzi a Jolanda e gli disse:
«Credo a quanto hai raccontato, uomo bianco. Dove andavi ora?»
«Verso la costa, colla speranza di veder passare uno dei nostri canotti.»
«Vieni invece al nostro villaggio che è situato pure presso le rive del mare, all’uscita delle acque della laguna. Noi ti accordiamo larga ospitalità e non avrai nulla da temere. Tu sai che i caraibi sono oggi gli alleati degli spagnoli.»
«Noi siamo pronti a seguirti.»
«È tua figlia quella fanciulla?» chiese il caraibo.
«No, mia sorella» rispose Morgan.
«Deve essere coraggiosa quanto è bella.»
«E saprà difendersi quanto un uomo di guerra.»
«È sotto la mia protezione e nessuno oserà alzare gli sguardi su di lei. Facciamo colazione, poi partiremo.»
Gli indiani si sedettero intorno a Morgan e a Jolanda e trassero dalle loro pagara (specie di ceste formate di foglie intrecciate) dei pesci che avevano pescati di recente e che avevano già arrostiti, alcuni quarti di kariacù (specie di cervo), dei banani, delle gallette di manioca e alcuni fiaschi di casciri , forte liquore che, bevuto in abbondanza, ubbriaca quanto l’acquavite.
Erano una quarantina, tutti di statura media, come lo sono anche oggidì i pochi caraibi sfuggiti alle stragi commesse dagli spagnoli, dai francesi, dagli olandesi, con spalle larghe, nerboruti, dalla pelle d’una tinta giallo-rossiccia, resa ancora più rossiccia da una mistura d’olio di cocco mescolato all’urina che solevano spalmarsi per difendersi dalle punture delle innumerevoli zanzare.
Avevano il viso tondo, grosso, d’aspetto un po’ malinconico e gli occhi piccoli, neri e vivacissimi ed i capelli assai oscuri e grossolani.
Tutto il loro vestito consisteva in un piccolo gonnellino di cotone ornato di frange e palline di diversi colori; invece abbondavano di collane e di braccialetti formati con denti di belve, con cocche variopinte, becchi di tucano e cristalli di monte; molti avevano il setto nasale bucato e attraversato da una spina di pesce e sotto il labbro inferiore portavano, incastrato nella carne, un dischetto di legno od un pezzo di scaglia di tartaruga.
Quand’ebbero terminata la colazione, che fu consumata in silenzio, non avendo gli indiani dell’America meridionale l’abitudine di parlare durante i loro pasti, si dissetarono abbondantemente, poi diedero il segnale della partenza.
Morgan e Jolanda si misero dietro al capo, il quale, per dimostrare meglio le sue pacifiche intenzioni, non aveva prese nemmeno le loro spade.
Attraversarono un lembo della foresta, aprendosi faticosamente il passo fra quegli ammassi di verzura, e scesero verso la laguna, in una piccola cala dove si trovavano arenati sulla riva sette lunghi canotti fra cui quello che aveva appartenuto a Morgan.
«Sei stato tu a rubarmelo?» chiese il filibustiere al capo dell’orda.
«Sì» rispose l’indiano, ridendo. «Te l’ho preso ieri sera, poco dopo il tramonto. Avendo scorti i fuochi che ardevano nel tuo campo, ho costeggiato la laguna per vedere chi erano le persone accampate e, trovato il canotto, te l’ho preso. D’altronde non era tuo.»
«Apparteneva a Kumara» rispose Morgan.
«L’ho riconosciuto subito e, credendo che tu avessi ucciso quel valente guerriero, ti ho teso l’imboscata per vendicarlo.»
«Sospetti ancora che io l’abbia ammazzato?»
«No.» rispose l’indiano. «Presto, imbarchiamoci.»
I caraibi presero posto nei canotti, afferrarono le pagaie e la piccola flottiglia si spinse al largo, dirigendosi verso settentrione.
Morgan e Jolanda si erano installati nella piroga del capo, che era la più lunga e anche la più comoda, essendo riparata nel centro da una piccola piupa , ossia tettoia formata con foglie di waie e di maripa .
Verso sera i canotti giungevano alla foce d’un fiume o d’un canale che fosse, che pareva comunicasse col mare, scendendo la corrente verso la laguna.
Gl’indiani s’accamparono all’estremità d’un promontorio, accendendo numerosi fuochi per tener lontane le belve. Al mattino, allo spuntare del sole, tornavano ad imbarcarsi, remando con gran lena.
A mezzodì il canale s’allargò improvvisamente e subito apparve, su una delle rive, un villaggio acquatico, o aldè piantato su una enorme palizzata e composto di tre o quattro dozzine di carbè , gigantesche case formate da una immensa tettoia, lunghe da sessanta a ottanta piedi, alte diciotto o venti, coi tetti di canne e di foglie di latania.
Attorno alle palizzate, che sostenevano quelle ampie costruzioni, si scorgevano numerosi canotti, alcuni scavati nel tronco d’un cedro ed altri di bambù.
Udendo le grida dei guerrieri, dalle carbè e anche dalle jupa , che sono le capanne destinate alle donne, uscirono numerosi indiani seguìti da un gran numero di fanciulli, che salutavano l’arrivo della squadriglia con strilli così acuti da sfondare gli orecchi.
La canoa del capo, che era la prima, abbordò la palizzata più prossima ed il capo stesso aiutò Morgan e Jolanda a salire sulla piattaforma, dove si erano radunati alcuni sotto-capi, riconoscibili per le penne di craci e di tucani che portavano infisse nei capelli.
Il capo scambiò con loro alcune parole, poi facendo un gesto di sorpresa si volse verso Morgan, dicendogli in lingua spagnola:
«Tu hai detto il vero e ne sono lieto.»
«Perché?» chiese il filibustiere.
«Kumara è giunto qui ieri sera, sano e salvo.»
«E l’uomo bianco?»
«Gli uomini bianchi, vuoi dire.»
«No, ve n’era uno solo cogl’indiani.»
«Ve ne sono ora due: guarda. Ecco che giungono.»
Due uomini si erano precipitati fuori da una capanna e correvano verso Morgan e Jolanda, balzando attraverso le piattaforme e agitando pazzamente le braccia.
«Carmaux!…» aveva esclamato il filibustiere con gioia.
«E don Raffaele» aveva aggiunto Jolanda.
«Da dove è sbucato quello spagnolo?» si chiese Morgan, con stupore. «E lo dicevano morto!…»
«Capitano!… Capitano!…» gridò Carmaux, che arrivava come una bomba. «Salvi!… Salvi!… Ecco il più bel giorno della mia vita!…»
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