Appena ci fummo accorti d’avere una posizione solida – come diceva scherzando Ferrol – fummo presi da un intenso desiderio: quello cioè di rinnovare la nostra famiglia artistica.
Il problema era arduo, poichè i bohémiens, credetelo, non nascono oggidì come le rape. E poi volevamo unire a noi qualche bel nome appartenente alla famiglia letteraria.
A Quintino non era il caso di pensare. Quel bravo amico, in quell’epoca, si trovava a Manaos, la capitale dell’Amazzonia, colpito dalla febbre gialla in compagnia del giornalista transatlantico.
Il pronipote di Spartaco aveva dato un addio alla vita randagia.
Una sera, dinanzi ad una bottiglia di barbèra venerandissima, io e Ferrol tenemmo consiglio.
Mentre stavamo meditando, i nostri sguardi caddero su di un libro che avevamo ricevuto giorni prima.
— Roberto M…. I Pescatori del Rodano.
Ci guardammo l’un l’altro con stupore.
— Cerchiamo un letterato e ne abbiamo uno sotto gli occhi, — disse Ferrol.
— Facciamolo venire, — diss’io.
Roberto era stato un tempo l’amico intimo di Ferrol. Un bohémien della più bell’acqua, un compagno carissimo, ben degno di far parte della nostra famiglia artistica.
Da quella sera il romanziere fu la nostra fissazione. Bisognava assolutamente andarlo a trovare, ma dove? Questo era il guaio.
Il suo nome si ritrovava presso qualche libraio, non così la sua persona. Quello spirito randagio non era cosa facile a incontrarlo.
L’anno precedente l’avevamo trovato all’Esposizione di Torino, poi era improvvisamente scomparso, senza lasciarci traccia di sè.
Il caso ci mise sui suoi passi. Frugando fra alcune vecchie carte, Ferrol aveva trovato un bigliettino del romanziere.
Sotto vi era ancora scritto a matita: Lerici.
— Andiamo a cercarlo in riva al mare, — mi disse Ferrol. — Se non lo troveremo colà, seguiremo le sue tracce finchè lo scoveremo.
L’indomani noi partivamo per la Spezia, risoluti a non far ritorno senza averlo almeno veduto.
Appena giunti ci recammo a Lerici, senza nemmeno fare colazione. Lungo la via ci eravamo uniti ad un vecchio amico che aveva per di più il vantaggio di conoscere a fondo l’incantevole riviera del Tirreno.
Appena scesi, ci mettemmo in cerca del romanziere, chiedendo nuove di lui a quanti incontravamo. Niente, sempre niente. Si conosceva il nome dello scrittore e tutti giuravano di non averlo mai veduto in quel paese.
— Andiamo dal Sindaco, — disse il nostro nuovo amico.
Fu tempo sprecato.
— Io non l’ho mai veduto, — fu la risposta che ci diede il rappresentante della cittadina.
Non eravamo ancora convinti. Andammo a interrogare il segretario comunale, poi gli assessori, i caffettieri, i trattori, il medico, il farmacista e perfino il parroco. Cosa incredibile: nessuno aveva mai veduto il viso del letterato, anzi nemmeno i suoi baffi.
Ci venne il sospetto che potesse essere morto.
— Andiamo a trovare il becchino, — disse. Ferrol. — Se è stato sepolto qui, noi lo sapremo. —
Ci dirigemmo verso il cimitero, prendendo un aspetto funebre.
Il becchino stava scavando una fossa.
— Galantuomo, — disse Ferrol, fingendosi commosso. — Avete interrato voi uno scrittore, nostro carissimo amico?
— Sì, è morto due mesi or sono, — ci rispose quell’uomo. Aveva bevuto un po’ troppo e s’è rotto il collo cadendo dalla scala. —
Ci venne subito un terribile pensiero.
— Che quel disgraziato si fosse dato ai liquori? — si chiese Ferrol. — No, non è possibile!…
— Udiamo, — diss’io. — Era proprio uno scrittore?
— Sicuro, scriveva le lettere alle donnette del paese. Sebbene tedesco, conosceva l’italiano. —
Scappammo via per non accopparlo.
Roberto era vivo. Dove cercarlo? Stavamo per tornarcene all’albergo, quando passando per una via, c’incontrammo con un venditore ambulante di libri.
— Interroghiamo quell’uomo, — disse Ferrol. —
Sul banchetto del venditore avevamo veduto un libro di Roberto. Fu una felice ispirazione. Un’ora dopo noi eravamo in treno, diretti alla Spezia.
Trovammo il romanziere annidato in un candida casa che sorgeva in riva al mare, presso la scogliera della lanterna.
Egli cercava le ispirazioni nell’infinito azzurro del mare, fumando la pipa.
L’incontro fu commovente. Le bottiglie sopratutto sparsero un mare di lagrime.
Esponemmo al romanziere il nostro progetto di fondare una famiglia artistica e furono subito gettate le basi della futura società.
Non fece che una sola obbiezione: ossia di andarla a fondare in campagna. La sera stessa noi partivamo per Torino per andare alla scoperta di nuovi artisti.
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