Era d’altronde l’unica cosa da farsi per rimettersi un pò in gambe dopo quella terribile avventura, che per poco non li aveva mandati tutti e tre in fondo all’Atlantico a nutrire i pesci.
Ricominciava a piovere, ed il mare era sempre cattivissimo intorno alla scogliera. Montagne d’acqua si precipitavano, le une dietro alle altre, altissime, urtando poderosamente l’ostacolo e rimbalzando con mille muggiti paurosi.
Piccolo Flocco, aiutato un po’ dall’Assiano mezzo zoppicante, aveva tesa la randa accomodandola alla meglio sui remi, tanto per mettersi un po’ al coperto, mentre faceva man bassa sulle provviste, credendo di trovare forse dei prosciutti o per lo meno dei salsicciotti. Ma non vi era che un po’ di merluzzo secco e bacato, duro quanto una suola. Wolf non aveva peraltro dimenticato di aggiungervi dei biscotti in non migliori condizioni, e qualche litro di vino, che si poteva chiamare aceto.
«Che miserie!» brontolò il bravo Bretone, il quale si era già accomodato sotto la tenda improvvisata in un soffice letto di fuchi. «Non potevamo andare molto lontano con queste provvigioni. È bensì vero, a quanto ho udito e anche veduto, che sulla fregata si cominciava a soffrire la fame… Tò! E il mio uccellaccio? Avremo una quindicina di chilogrammi di carne.»
Lasciò che i suoi due compagni terminassero di preparare l’accampamento, e passando di roccia in roccia, andò a raccogliere il suo albatros, grande per mole, ma tutto piume.
«Questo mettilo in dispensa, Piccolo Flocco,» disse scaraventandolo ai piedi del giovane gabbiere. «La sua carnaccia frollandosi, diverrà migliore, o almeno un pò meno dura. Camerati a tavola! »
Si cacciarono sotto la tenda, e al rumoreggiare formidabile delle onde, che pareva dovessero schiantare la scogliera dalle fondamenta, si misero, non a mangiare, ma a rosicchiare. Fortunatamente avevano tutti dei denti solidissimi, sicché merluzzo e biscotto, sgretolati bene, passarono nei loro robusti corpi.
«Bel tempo per andare alla pesca dei gronghi o dei calamari!» disse Testa di Pietra, il quale affondato nei fuchi ascoltava quasi con piacere il crepitio della pioggia sulla tenda improvvisata. «Che non voglia finir più questa musica! Sono settimane e settimane che l’Atlantico è rabbioso. Piccolo Flocco, porta da bere: svelto!»
Il bravo ragazzo, quantunque fosse tutto ammaccato e non volesse confessarlo, fu pronto a ubbidire. Testa di Pietra aveva già estratto il coltello di manovra per decapitar la bottiglia, non possedendo un cavatappi, quando un grido gli sfuggì:
«Bouzy!»
«Fino scorpionato?» chiese l’Assiano, che si rammentava non senza disgusto delle bottiglie di mastro Taverna.
Il mastro lo guardò di traverso, prese la bottiglia, chiusa da una capsula di stagno dorato, e dopo averla guardata parecchie volte, e fattala girare e rigirare fra le mani, gridò novamente:
«Bouzy! proprio Bouzy! corpo d’una pipa rotta! So ancora leggere un poco lo stampato, perché il curato di Batz mi piantò qualche cosa nel cervello.»
Piccolo Flocco si mise a urlare a sua volta, come se comandasse una manovra:
«Bouzy! Bouzy! Sotto!»
Testa di Pietra lo guardò quasi con disprezzo, poi disse:
«Tu gridi come un’oca, senza sapere cosa contiene questa bottiglia andata a finire, chi sa come, nella dispensa di quella fregata inglese. Il sole di Londra non ha mai maturato i grappoli dello champagne.»
«Champagne hai detto? Io credo che tu t’inganni.»
«È proprio champagne nero di Bouzy.»
«Bouzy! Bouzy!» borbottò il giovane gabbiere. «Era un generale o un ammiraglio quel signor Bouzy?
«Tuo padre non ti ha mai fatto assaggiare il nostro più famoso vino? Lo champagne nero di Bouzy è un nettare, caro mio, e costa un occhio.»
«Che prima di darti al mare hai fatto il negoziante di vini?»
«Mio nonno…»
«Oh, ci siamo!»,
«…quando la pesca più non rendeva, andava a lavorare nei vigneti di Reims, e delle bottiglie ne portava parecchie a casa! E come saltavano!…»
«Decapita!»
«E i bicchieri?… È vino che mussa e scappa.»
Il mastro si tolse il berretto per esser pronto a impedire con quello che il vino scappasse via; poi, con un colpo secco di coltello, fece saltare il collo della bottiglia.
Il liquido generoso, maturato sopra gli strati cretosi della Marna, spumeggiò subito tentando di fuggire, ma il mastro fu pronto a impedirlo col berretto.
«L’odi grillare, Piccolo Flocco? Che musica eh? Quante volte mio nonno me la faceva sonare agli orecchi.»
«Scorpioni!» esclamò l’Assiano.
«Sì, succo di scorpioni divini!» rispose il mastro.
Levò il berretto, e a rischio di ferirsi la bocca, si mise a sorbire con tale avidità, che i suoi due compagni per un momento temettero non ne rimanesse per loro nemmeno un sorso.
«È proprio champagne?» domandò Piccolo Flocco.
«Come quello che mi portava mio nonno: vero Bouzy.»
«Lasciane una goccia anche per noi! Abbiamo il merluzzo nello stomaco, che non si decide né a salire, né a scendere.»
«È giusto!» rispose il mastro. «Sono un vero egoista. A voi, camerati, succhiate tutto quello che rimane.»
«Io non fidarmi,» disse Hulbrik, con un gesto di repulsione; ché il pover’uomo si rammentava sempre delle famose bottiglie scorpionate di mastro Taverna.
«Grazie, camerata: tu sei un bravo figliuolo,» disse quella birba di Piccolo Flocco; e vuotò in fretta la bottiglia, per paura che Testa di Pietra volesse intervenire.
«Che ne dici di questo vino?» chiese il mastro.
«Non ne ho mai bevuto del migliore,» rispose Piccolo Flocco.
«Sfido io! queste bottiglie si pagano sul posto due bei scudi. Il bianco poi due volte e anche tre di più. Mio nonno…»
«Quello famoso della pipa?» lo interruppe il gabbiere.
Un grido sfuggì dalle labbra di Testa di Pietra. Si era scordato della storica pipa e aveva cacciato le mani nelle tasche, paventando un disastro.
E il disastro era infatti avvenuto. Il cannuccio della pipa, nell’urto si era spezzato. Il mastro si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore e mormorò con voce commossa:
«Vi ho fumato trent’anni! Mio nonno e mio padre l’hanno pure usata, consumando montagne di tabacco. L’ho salvata da sette naufragi, ed ora eccola rovinata per sempre.»
«T’inganni, Testa di Pietra,» disse il giovane gabbiere. «Puoi fumare egualmente.»
«Sì, ma non colla storica piva del borgo di Batz.»
«Ma sì, ma sì; carica e tira, se il tabacco è asciutto.»
«Forse hai ragione, ragazzo: può servire ancora. L’acciarino e la pietra focaia son chiusi ermeticamente in una scatola impermeabile.»
Per sua fortuna, il tabacco regalatogli da Wolf non si era bagnato; così egli caricò rabbiosamente la pipa mutilata, si cacciò sotto la tenda, affondandosi nel letto di fuchi, e si avvolse fra nubi di fumo denso.
Intanto la bufera continuava sull’Atlantico. Il cielo si era novamente ottenebrato, e grandi masse di vapore, spinte da un vento furioso, galoppavano fra lampi e tuoni. Pioveva a dirotto e le onde, rompendosi contro la scogliera, portavano fino sul piccolo accampamento delle vere cortine di acqua polverizzata; ma nessuno dei tre naufraghi n’era preoccupato, ché la scogliera era troppo solida e il letto di fuchi molto soffice. Che cosa avrebbero potuto desiderare di più, almeno per il momento? L’Atlantico poteva muggire e sfogarsi finché voleva, ma non li avrebbe spazzati via. Non si trovavano più a bordo della baleniera, bensì accampati su rocce solide, che da secoli e secoli resistevano alle furie delle tempeste.
Testa di Pietra, terminata la sua pipata, si era placidamente addormentato e russava come un contrabbasso; l’Assiano aveva creduto bene d’imitarlo, e russava come una trottola d’Alemagna. Piccolo Flocco, tanto per fare qualche cosa, strappava le piume all’albatros decapitato dal mastro, sagrando perché non volevano venir via. «Bell’arrosto!» borbottava scotendo il capo. «Tra il merluzzo secco e questo, non so quale scegliere. E poi non avremo più dello champagne per digerire questo bestione, che pare enorme, ma pesa poco. E queste sono le belle cacce dei Bretoni di Batz!»
L’aveva già spiumato più di mezzo, quando i suoi sguardi si fissarono su un grosso punto nero sormontato da qualche cosa di bianco, o, meglio, di grigiastro.
«Una nave!» esclamò lasciando cadere l’uccellaccio e balzando in piedi fra una nuvolaglia di piume. «Che sia la maledetta fregata? Dio ce la mandi buona!»
In due salti piombò addosso a Testa di Pietra, il quale continuava a russare, stringendo ancora fra i denti la storica pipa mozzata.
«Su dormiglione!» gli disse. «Vuoi farti impiccare?»
«Chi parla di corda?» rispose il mastro, sbadigliando.
«Io Piccolo Flocco. La fregata sta per giungere.»
«Corpo di centomila campanili! Quel dannato lord vuole proprio la nostra pelle?… Ma sentiamo un po’ che cos’hai veduto.»
«Una nave che va alla deriva verso questa scogliera, portata dalle onde e spinta dai venti.»
«Proprio la fregata?»
«Questo non lo so; ci vorrebbe un cannocchiale.»
«Ad un buon marinaio i cannocchiali non servono quasi a niente. I miei occhi, vedi, valgono meglio di tutte le lenti che si arrotano,» lo interruppe Testa di Pietra ridendo. «E dov’è questa famosa nave che deve portare le funi per impiccarci?»
Il giovane gabbiere tese il braccio destro, indicando il punto nero. Testa di Pietra si mise prima in tasca la pipa, poi spalancò gli occhi, riparandoli con le mani bene aperte.
«Che sia una nave, non lo nego,» disse dopo una lunga osservazione. «Che sia una fregata lo escludo assolutamente.»
«E se tu t’ingannassi?»
«Io?… Un pescatore di Batz?…»
«Qualche volta, specialmente quando si è bevuto dello champagne, si può veder male.»
«Tu morirai asino, figliuolo mio!… Che peccato!… Eppure sei un gabbiere insuperabile!»
«Grazie, camerata.»
«Eh, eh!… Tu dimentichi sempre che io sono un tuo superiore.»
«Mio nonno…»
«Ah, hai avuto anche tu un nonno?»
«Mio padre non è nato da un urang-utang.»
«Benissimo: i viaggi t’istruiscono a gran passi. E che cosa faceva tuo nonno dunque?»
«Vendeva i polpi cotti nelle taverne di Pouliguen. Egli mi lasciò una fiocina che io spezzai un brutto giorno per dare la caccia ad un grosso calamaro dentro una caverna sottomarina e…»
Testa di Pietra non lo ascoltava più. Fissava intensamente la nave che le onde e i venti portavano verso la scogliera.
«Ma che fregata?» esclamò ad un tratto. «È un brick-goletta, e disalberato per di più.»
«Vedi persone a bordo?»
«Nessuna, Piccolo Flocco.»
«Che il mare abbia portato via tutto l’equipaggio?»
«Chi sa?»
«Credi che venga a sfasciarsi contro questa scogliera?»
«Forse no, ma passerà vicina; ed io penso che noi dovremmo tenerci pronti ad abbordarla.»
«Bella nave che ci offri!»
«Prenditi allora la baleniera fracassata.»
«Hai ragione, Testa di Pietra: morirò un asino.»
«Sfido io! non sei di Batz. Sveglia subito Hulbrik. La nave si avanza; e gli abbordaggi si debbono prendere al volo, diceva un celebre ammiraglio olandese.»
«Che mostro di sapienza!»
«Ehi, monello!… Obbedisci!»
«Pronto, comandante.»
Saltò addosso all’Assiano e lo scrollò ben bene, stringendogli anche molto il naso. Hulbrik aspirò fragorosamente la fresca aria marina che il vento portava, e si mise a sedere.
«Sai nuotare?» gli chiese Testa di Pietra.
«Io essere nato sulle rive di un grande fiume,» rispose l’Assiano. «Io molto camminare sull’acqua.»
«Allora tutto va bene. Una nuotata d’un paio di miglia ti spaventerebbe?»
L’Assiano fece un gesto negativo.
«Come sono duri questi Tedeschi!» disse il Bretone. «Ora capisco perché gl’Inglesi li vanno a scovare in tutti i principati alemanni. Bella gioventù, sana, robusta; un pò ottusa, ma che non si è mai fatta pregare per farsi uccidere. Senza questi uomini gli Americani avrebbero ormai cacciato via i bevitori di tè.»
«Chi sono?» chiese Piccolo Flocco.
«Non sai che cosa bevono gl’Inglesi?»
«Io li ho veduti bere anche del gin e del brandy.»
«Quelli erano marinai,» rispose gravemente il mastro.
E fissò novamente la nave, la quale, come abbiamo detto, si avanzava verso le scogliere e i banchi di sabbia, come se un timoniere perverso la volesse guidare a perdita sicura.
Che ci fossero dei marinai a bordo vi era da dubitare, poiché quella carcassa non aveva nessuna direzione, ed i suoi velacci, rimasti spiegati sotto le coffe, giravano per loro conto secondo le raffiche.
«E dunque?» chiese Piccolo Flocco. «Nave da guerra?»
«No, no: un legno mercantile qualunque, in rotta forse per le Antille, e che la bufera ha disalberato.
«E tu conti di raggiungerlo?»
«Corpo d’un campanile! Non voglio mica morire su questa scogliera arso dal sole e dalla sete. Quella nave sarà una carcassa; tuttavia varrà sempre più d’una baleniera affondata, impotente a tenere il mare. Mi preoccupa solamente una cosa: riusciremo a salvare i nostri due archibugi e le munizioni? Ad ogni modo prepariamoci.»
«E l’albatros?» chiese Piccolo Flocco.
«Lascialo marcire qui. Su quella nave troveremo, spero, qualche cosa di meglio. I naufraghi non avranno divorato tutto… Via gli stivali, le casacche ed i calzoni. Le munizioni sulla testa coi fucili. Sbrigatevi, camerati: il vento la spinge rapidamente.»
La nave misteriosa infatti si avanzava facendo dei balzi enormi sulle creste delle onde. Ma pareva bensì che il vento non avesse giurata la sua perdita, poiché aveva cambiato all’improvviso direzione, e soffiando con forza dentro le due vele basse, la spingeva un po’ al largo.
«Siamo pronti!» rispose il giovane gabbiere.
La nave in quel momento non si trovava che ad un miglio e mezzo di distanza e continuava la sua rotta verso il sud, scartando sovente, e questo era segno certo che non aveva timoniere.
I tre naufraghi scesero in mare, attesero che l’onda si ritirasse per non venire scaraventati attraverso i banchi di sabbia, e vi si abbandonarono, nuotando vigorosamente.
La risacca era fortissima: l’acqua balzava, rimbalzava e muggiva spaventosamente sollevando il fondo. Il mastro, famoso nuotatore, s’era messo alla testa e tagliava a fondo colle braccia e coi piedi. Piccolo Flocco lo seguiva, guizzando come un delfino, e l’Assiano veniva ultimo, pacato ma risoluto di non andare a fondo.
Già avevano guadagnato mezzo miglio, quando Hulbrik mandò un grido.
«Che hai, figliuolo mio?» chiese Testa di Pietra, che aveva allora tagliata a metà un’onda alta. «Ti lasci colare?»
«No, patre.»
«E perché gridi così forte?»
«Una pestia mi è passata vicina.»
«Che bestia era?»
«Io non posso vedere sott’acqua, patre.»
«Sarà un pescecane.»
«Me divorare?»
«Ma che! Si contenta anche di un piede.»
Il mastro scherzava spietatamente col povero Tedesco, ma non era uomo da lasciarlo in un grave pericolo. Infatti aveva aperto il suo coltellaccio ed era tornato prontamente indietro, invocando in suo aiuto tutti i campanili del mondo.
Con poche bracciate raggiunse il Tedesco, il quale continuava a nuotare tranquillo, quantunque fosse più che convinto di essere stato urtato da una bestia marina pericolosissima.
«Vediamo un po’,» brontolava il valoroso marinaio girando e rigirando intorno a Hulbrik, sempre alle prese colle onde. «Un pescecane fa presto a tagliare un uomo in due come un sigaro di Cuba.»
Batté le acque in diversi punti, si tuffò parecchie volte, poi si rimise alla testa degli altri, gridando:
«Alla nave! alla nave!»
Il brick-goletta passava allora distante meno di cinque gomene, e quantunque sgovernasse, per una fortuna straordinaria aveva evitato le scogliere. Ormai aveva oltrepassati anche gl’isolotti di sabbia, e trasportato dal vento, che agiva sempre bene o male sulle due vele basse rimaste spiegate, continuava a filare verso il sud, piegato un po’ sul tribordo. I tre nuotatori si affrettavano per paura che loro sfuggisse, e lottavano furiosamente contro le onde che anche al largo erano impetuose.
Con un ultimo slancio giunsero infime sotto l’anca sbandata e si aggrapparono saldamente ad alcune corde che pendevano.
«In alto!» gridò Testa di Pietra. «Siamo salvi!»
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