Uno spettacolo terrorizzante si era offerto agli sguardi del giovane gabbiere. Tutta la coperta della nave era piena di pescicani, scaraventati oltre le murate dalle onde, e che guizzavano disordinatamente colle immense bocche spalancate. Le loro code percuotevano furiosamente gli alberi e gli argani e rovesciavano i barili, scaraventandoli in mare come se fossero semplici fuscelli di paglia.
«Hai veduto, Piccolo Flocco?» chiese Testa di Pietra.
«Ho il cuore che non mi batte più. »
«Per così poco? Le snideremo quelle canaglie. Abbiamo ancora delle carabine inglesi e le adopreremo. »
«Sì, due,» disse l’Assiano. «Io averle messe in salvo insieme con le munizioni prima dell’ultima ondata.»
«Và a prenderle,» comandò Testa di Pietra. «Dimmi, Piccolo Flocco: hai mai veduto un simile spettacolo?
«Mai!»
«E tu, Hulbrik?»
«No, patre.»
«E nemmeno io prima d’ora. Forse mio nonno avrà veduto ben altro durante i suoi viaggi.»
«Non te l’ha raccontato?»
«Ero troppo piccino per comprendere, e poi ero troppo occupato a guardare la storica pipa.»
«Che il diavolo ti porti!»
Il Tedesco tornò con le carabine, alle quali aveva cambiato le capsule per essere più sicuro del colpo. Testa di Pietra impugnò la scure, arma meglio adatta per le sue braccia; gli altri, quelle da fuoco e sbucarono sul ponte.
Dieci o dodici pescicani continuavano a saltare furiosamente rompendosi i musi contro gli alberi e le murate. La tolda sembrava una macelleria, tanto era il sangue che quei bestioni avevano sparso. Qualcuno, di quando in quando, riusciva ad evitare tutti gli ostacoli e a ricadere in mare.
«Facciamo una corsa fino sulle griselle del trinchetto,» disse Testa di Pietra. «Guardatevi dai colpi di coda.
Attesero il momento opportuno e si slanciarono a corsa disperata verso la prora, saltando a destra e a sinistra per evitare gl’incontri coi formidabili mostri; e fortunati, come sempre, riuscirono a mettersi in salvo sulle griselle dell’albero di trinchetto, griselle che non si spingevano che fino alla coffa, poiché tutto sopra era caduto insieme con le vele e i pennoni. Lesti come scoiattoli, i tre uomini si issarono, mentre sotto di loro i pescicani continuavano a saltellare per la tolda, favoriti dai colpi di mare che, di quando in quando, si abbattevano sul brick-goletta.
Testa di Pietra, appena in salvo, spaziò gli sguardi sul tempestoso oceano, premendogli di sapere che cosa fosse accaduto della fregata.
«Più nulla!» gridò, tendendo le pugna. «La maledetta è scomparsa!»
«Che si sia rotta sulla costa?» chiese il giovane gabbiere. «Mi rincrescerebbe solamente per la bionda miss. »
«Chi può dirlo? C’è una grande foschia verso il sud,» rispose il mastro. «Può darsi che la fregata vi si sia immersa e continui la lotta contro la tempesta… Bà, pensiamo per ora ai casi nostri… Sei pronto, Hulbrik?»
«Sì, patre,» rispose il Tedesco, imbracciando la carabina. «Io folere saltare brutte pestie.»
«Attacca anche tu, Piccolo Flocco. La mia scure e il mio coltello per ora non servono a nulla. Un’altra volta prenderò un pezzo d’artiglieria e farò l’uomo cannone. »
Quattro o cinque squali nel frattempo erano riusciti a ricadere in mare, ma ne rimanevano ancora troppi sulla tolda per potervi scendere senza pericolo.
L’Assiano aprì il fuoco, e siccome era uno scelto tiratore, non mancò di cacciare sotto la pelle d’un pescecane una grossa verga di piombo. Il giovane gabbiere fu pronto ad imitarlo, e per un quarto d’ora i due demoni gareggiarono, sparando un gran numero di colpi, dei quali ben pochi andarono perduti.
Gli squali, bersagliati da tutte le parti, spiccavano salti immensi, rompendosi i musi contro le murate, poi con un ultimo sforzo si gettavano in acqua approfittando dei colpi di mare che, di quando in quando, ancora giungevano. Ma uno, forse perché troppo gravemente ferito, si era ostinato a rimanere sulla coperta.
«Ohé, tiratori maldestri, devo scendere io colla mia scure a finire quella canaglia?… Che cosa fai, Hulbrik? So bene che se tu potessi avere una bottiglia di birra, spareresti meglio.»
«Sì, patre,» rispose l’Assiano.
«Ma io posso offrirti la mia preziosa pipa mutilata. Vuoi tirare una boccata?»
«Dà, patre.»
«Hulbrik,» disse il giovane gabbiere. «Bada di non guastare la pipa del nonno di Testa di Pietra, portata non so da quali lontani paesi.»
«Dall’Asia Minore, asino!» disse il mastro.
«Proprietà di qualche principe turco?»
«Certamente.»
«Allora, Hulbrik, fumerai gli avanzi delle peggiori canaglie che il buon Dio abbia create.»
«Che cosa ne sai tu dei Turchi?» chiese il mastro.
«Mio nonno…»
«È stato impalato a Negroponte; è vero?»
«Ah, io non me lo ricordo! So che è morto in un paese della Turchia e non troppo bene.»
«Dà a me la tua carabina: sono stanco di assistere ad un combattimento senza prendervi parte.»
«Dovevi prendere la scure e scendere. Tuo nonno non sarebbe rimasto qui ad osservare e a malignare sui nostri colpi.»
«Corpo di centomila campanili! E tu credi che io, bretone di Batz, abbia paura d’un pescecane? Ne ho uccisi parecchi durante i miei viaggi. A te la carabina.»
«Sei pazzo, Testa di Pietra?»
«Tu non scendere, patre,» disse l’Assiano.
Ma il Bretone era già sulle griselle colla scure appesa al fianco. Fortunatamente non aveva che un solo nemico da affrontare e anche gravemente ferito, a giudicare dall’enorme quantità di sangue che si lasciava indietro ad ogni balzo.
«Pazzo, patre?» chiese Hulbrik, armando la carabina.
«È la pipa di suo nonno che gli ha guastato il cervello. Vediamo che cosa vuol fare quella testa dura.»
Il mastro si era lasciato scivolare in coperta e si era avanzato risolutamente contro lo squalo, impugnando la scure. Lo squalo, dopo un ultimo balzo, era caduto fra gli alberi di maestra e di trinchetto, o, meglio, fra i tronconi, e si era allungato tutto, spalancando l’enorme bocca. Il sangue abbondava intorno a lui.
Il terribile mastro lo assali senza esitare, troncandogli dapprima un pezzo di coda, poi lo colpì nella testa, sfondando cranio e mascelle. Il povero squalo, così sconciamente mutilato, raccolse le sue ultime forze, e approfittando d’un colpo di mare, si lasciò portar via.
«Che ne dici, Piccolo Flocco?» chiese il mastro guardando in alto e impugnando ancora la scure sanguinosa.
«Che hai ammazzato un morto!» rispose il gabbiere.
«Ah, canaglia!… Ma tu non sei disceso!»
«Non ne valeva la pena, camerata.»
«Pessimo Bretone!… Già sei del Pouliguen e non di Batz! Orsù, è finita, e potete scendere.»
«A cenare?» chiese il Tedesco.
«Se troveremo ancora qualche cosa…»
Il giovane gabbiere e il Tedesco si calarono sulla tolda, tutta innaffiata di sangue.
«Alla caccia di viveri!» disse il mastro. «Spero che non troverete nessun altro orso o giaguaro nascosto in qualche angolo oscuro. Tuttavia vi consiglio di portare con voi, per precauzione, le carabine.»
«No, patre: tu darmi tua scure ed io regalare a te due zamponi di crossa bestia.»
«E dove li troverai? Sei diventato pazzo, Hulbrik?»
«Dove? dove?» gridò in quel momento Piccolo Flocco. «Nella dispensa. Non ti ricordi più dell’orso che mi ha assalito e che voi avete ucciso?»
«Corpo di tremila campanili! Io perdo la memoria! Ma sono stati tanti gli avvenimenti in così breve tempo, da scombussolare il cervello meglio conformato… Avanti gli zamponi! Io intanto accenderò il fornello.»
Il Tedesco ed il giovane gabbiere, l’uno armato della scure e l’altro d’una carabina, scesero nel frapponte dirigendosi verso la dispensa. Testa di Pietra, invece, attraversò la nave, e si inerpicò sul cassero che le onde più non battevano, e di li, con suo vivo stupore, vide ancora galleggiare, sotto la poppa, la grossa scialuppa che aveva già notata.
«Ah, non ci sono che gl’Inglesi capaci di costruire delle vere imbarcazioni!» esclamò. «C’è un po’ d’acqua dentro, ma noi la leveremo. Ed ora pensiamo a contentare il nostro stomaco che da ventiquattr’ore batte il tamburo.»
Vi era una cucina in ferro, saldamente legata alla murata di babordo e fornita ancora abbondantemente di legna e di carbone. Testa di Pietra si mise subito all’opera, soffiando meglio d’un mantice, e riuscì ad ottenere un bel fuoco. Proprio in quel momento il Tedesco ed il gabbiere salivano in coperta, portando due enormi prosciutti d’orso ed una cassetta di biscotti inglesi.
«Corpo d’una fregata fracassata!» esclamò il mastro. «Persino i dolci!… E di bottiglie, niente, Piccolo Flocco?»
«Tutte spezzate: forse dall’orso che mi aveva assalito.»
«Ci vendicheremo sui suoi zamponi. »
Tutti e tre si trasformarono in cuochi, e poco dopo un profumo delizioso si spandeva sulla tolda della nave. Di quando in quando dei grossi getti d’acqua varcavano le murate e si precipitavano verso la poppa, rumoreggiando. Ma non vi era più alcun pericolo, quantunque l’oceano fosse sempre agitatissimo. La carcassa si era così bene incagliata nella scogliera, che solamente una grossa mina avrebbe potuto renderle la libertà, a pezzi s’intende.
«Peccato non ci sia con noi il Baronetto!» esclamò Piccolo Flocco, mentre Testa di Pietra, che era pure un buon cuciniere, levava uno dei due zamponi abilmente arrostito.
«Vuoi guastarmi l’appetito?» disse il mastro aggrottando la fronte.
«Eppure dobbiamo pensare al nostro comandante!»
Testa di Pietra fece un sospirone, che pareva non dovesse finir più, e mandò all’inferno centinaia di campanili.
«Sta’ zitto ora, ragazzaccio: quando avremo il corpo pieno discuteremo.»
Aveva deposto lo zampone su di una lastra di ferro, rialzata un po’ ai lati perché il sugo non se ne andasse.
Malgrado i colpi di mare e le loro apprensione, i tre uomini divorarono ferocemente, inzuppando biscotti inglesi. Ma una bottiglia mancava per completare la colazione; così dovettero contentarsi dell’acqua corrotta puzzolente, tratta dalla grossa botte di poppa.
«Si può ora discutere?» chiese Piccolo Flocco, lisciandosi il ventre.
«Un momento,» rispose Testa di Pietra con voce grave. «Quando mio nonno stava per prendere una decisione, accendeva prima la storica pipa.»
«E quella lo ispirava?»
«Pare.»
Caricò la famosa pipa, l’accese, lanciò in aria tre o quattro boccate, attese che il fumo si dissipasse, poi disse:
«Sapete che la scialuppa è sempre con noi?»
«Possibile?» esclamò Piccolo Flocco.
«Ha dell’acqua dentro, ma noi la vuoteremo.»
«E che cosa vuoi farne?»
«Andare in cerca della fregata,» rispose il mastro.
«O della Tuonante?»
«Non occupiamoci per ora del Baronetto. Noi lo vedremo giungere di certo da un momento all’altro. Egli è senza dubbio sulle tracce del marchese d’Halifax.»
«Che cosa sarà avvenuto della fregata? Che la tempesta l’abbia gettata sulla costa e fracassata?
«È ciò che noi dovremo chiarire, perché su quella nave vi è la fidanzata del nostro comandante.»
«Spereresti di portarla via al Marchese? » chiese il giovane gabbiere.
«Se la fregata si è arenata, come credo, l’abborderemo.»
«In tre soli?»
«Due Bretoni ed un Tedesco: non ti basta? Al momento opportuno pugneremo da forti.»
«Questo è certo.»
«Per ora,» riprese il Bretone, «non abbiamo nulla da fare. Lasciamo che la tempesta si calmi un pò, prima di calarci nella scialuppa. Approfitteremo intanto di questo intervallo per fare una dormita.»
Scesero nel frapponte, presero delle vecchie vele ed improvvisarono dei lettucci abbastanza comodi per uomini abituati a dormire sulla nuda tolda. Dopo aver dato un ultimo sguardo verso il sud, i tre uomini si coricarono l’uno accanto all’altro, tenendo a fianco le loro armi.
Intanto la tempesta scemava rapidamente. Le grandi raffiche non giungevano più a rimescolare l’oceano, ed anche il cielo si era un po’ rischiarato verso oriente. Per dodici ore una calma relativa doveva regnare intorno alla scogliera: almeno così la pensava il mastro.
Fu una dormita che si prolungò più del bisogno. Quando i tre naufraghi aprirono gli occhi, un magnifico sole splendeva sopra le loro teste, e fra l’alberatura fuggivano enormi bande di rincopi e di corvi di mare, i quali battagliavano tra di loro, strappandosi nuvole di penne.
Come Testa di Pietra da bravo marinaio aveva previsto, l’oceano si era calmato e le raffiche erano cessate.
«La fregata?» chiese subito il giovane gabbiere.
«Io non l’ho veduta ritornare, » rispose il mastro.
«Sfido io! dormivi come una tartaruga marina.»
«E tu che cosa facevi intanto? La guardia?»
«Io preparavo il mio piano di battaglia.»
«Dev’essere magnifico!»
«Lo giudicherai più tardi. Mi pare che sia giunta l’ora di andare in cerca della fregata e di guadagnare la costa. Prendete le armi, il prosciutto d’orso, la cassetta dei biscotti e sgombriamo. Ne ho abbastanza di questa prigionia.»
«Allora, via!» rispose il Tedesco. «Noi andare a cercare una pottiglia di pirra.»
«Che io sappia, gl’Indiani della Florida non sono mai stati birrai,» disse Testa di Pietra. «Ma io non dispero di poterne scovare qualche bottiglia a bordo della fregata.»
«Fregata!» sospirò il buon Assiano, «hum!»
Piccolo Flocco intanto era sceso nella scialuppa, portandosi un mastello, e si era messo a vuotare rapidamente l’acqua.
Dopo un quarto d’ora scendevano Testa di Pietra colle provviste e la scure e l’Assiano colle carabine.
«Vi è un albero ed una vela che ho scoperta, insieme con molte corde, sotto la prora,» disse il giovane gabbiere.
«Ma se lo sapevo io che siamo nati sotto buona stella!» esclamò il mastro. «Orsù, montiamo la barca e mettiamoci in viaggio. In qualche luogo scoveremo la fregata.»
Stavano spiegando la vela ed issare l’albero, quando udirono, in lontananza, parecchie cannonate.
I tre naufraghi si guardarono l’un l’altro.
«Eh? Che cosa dite ora?» chiese il mastro. «Abbiamo o non abbiamo fortuna?»
«Credi sia la fregata che spara?» domandò Piccolo Flocco.
«Conosco i suoi pezzi. Il Marchese deve trovarsi in pericolo e domanda soccorso. »
«E noi glielo porteremo, non è vero?»
«Adagio, amico. Per ora lasciamoli sparare.»
Si sedette alla barra del timone, e la scialuppa, spinta da un buon vento del nord, lasciò la scogliera, dirigendosi verso la costa.
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