Nel momento che lo schiavo di Abd-el-Kerim affrontava arditamente la corrente senza darsi pensiero alcuno dei coccodrilli, che forse erano lì vicini, Notis entrava nell’abitazione. Egli si arrestò alla vista di un vecchio reis che imbacuccato in una stracciata farda stava appoggiato al muro fumando in un orribile scibouk annerito.
— Allàh sia benedetto! esclamò il capo battelliere, movendogli incontro. Cominciava a perdere la pazienza.
— Sei tu, mio vecchio Ibrahim, disse Notis non dissimulando la sua sorpresa, Qual vento ti ha portato qui?
— Mi credevate ancora alle bocche del Bahr-el-Abiad? Gli affari sono scarsi colla insurrezione e bisogna navigare dappertutto. Dove mai siete stato che son quasi due mesi, vale a dire dal giorno che vi trasportai da Chartum a Machmudiech, che non vi ho più visto?
— In questi tempi non è facile incontrarsi. Che nuove mi porti adunque e come mai ti trovi qui?
— Sono due giorni che vi cerco in Quetêna e più di quindici che domando di voi in tutti i villaggi che tocco.
— Quindici giorni che mi cerchi! esclamò Notis. Perchè?
— Vi reco notizie di vostra sorella Elenka.
— Di Elenka! Parla, narra, di’ su qualche cosa che io abbrucio dall’impazienza. Dove trovasi ella? Come l’hai trovata? Come sta?
— Sedici giorni or sono, sul far della sera, approdai al villaggio di Gez-Hagiba. Saputo che sulla riva opposta, al di là dell’isola, si trovasse accampato Dhafar pascià, mi si recai sperando di trovar voi e vostro cognato Abd el-Kerim. Seppi che si trovano al campo vostra sorella ed il suo fidanzato.
— Ah! fe’ Notis ironicamente.
— Mi recai alla tenda di Elenka e la trovai. Ella mi raccontò come fra lei ed Abd-el-Kerim tutto fosse stato spezzato.
— Lascia questo e dimmi a quale punto si trovava coll’arabo.
— Mi disse che fra loro ferveva una tremenda guerra e che disperava ormai di farsi riamare.
— Ira di Dio! Tira innanzi, Ibrahim.
— Parecchie volte Abd-el-Kerim tentò di fuggire dal campo ma ella lo fece riprendere e Dhafar pascià lo fece legare, minacciandolo di farlo passare per le armi se avesse ritentata la fuga.
— Ed Abd-el-Kerim lo sa che fu mia sorella a impedirgli di fuggire.
— Sì, ed è appunto per questo che l’arabo la esecra.
— Ogni speranza adunque è perduta?
— Perduta, ella mi disse.
— E che fa ora?
— Continua a seguirlo e a sorvegliarlo. Andasse anche il capo al mondo, Elenka mi ha giurato che lo accompagnerà.
— L’ama sempre la disgraziata?
— Forse l’odia e arde dal desiderio di vendicarsi del traditore.
Il greco si prese la testa fra le mani e sospirò.
— Povera Elenka, mormorò a più riprese. Ah! Fathma! Fathma! sei stata la causa di tanti mali.
Se non ti amassi sempre alla follìa, vorrei farti soffrire indicibili torture. Dimmi Ibrahim, gli egiziani ebbero scontri con le orde dal Mahdi?
— Perdettero un terzo dei loro compagni in tre o quattro combattimenti.
— E sanno almeno dove trovasi l’armata di Hicks pascià?
— L’ignoro.
— Tutto cammina di male in peggio, adunque? Orsù, che ti disse ancora?
— Mi disse di avvisarvi che lo schiavo di Abd-el-Kerim era fuggito dal campo, forse diretto per Chartum.
— Chi!… Il negro Omar?
— Sì, Omar fuggì durante una notte oscura, nè più ricomparve al campo.
Notis rabbrividì, ma poi si mise a sorridere.
— Quel negro mi fa paura, disse. Ad ogni modo terrò gli occhi aperti onde non possa farmi qualche brutto giuoco. Olà, date da bere un vaso di birra a questo uomo, aggiunse di poi, alzando la voce.
— Un beduino armato sino ai denti e che vegliava appiè della scala accorse.
— Rimani qui, Ibrahim, e mi aspetterai disse Notis. È probabile che abbia bisogno della tua barca per trasportarmi a Chartum. Accomodati laggiù in quella stanza e bevi quanto merissak può contenere il tuo stomaco.
Fe’ un legger saluto accompagnato da una strizzatina di occhi come per raccomandargli silenzio e salì a quattro a quattro i gradini d’una tortuosa scala. Sostò dinanzi a una porta coperta da un fitto tappeto e tese l’orecchio.
— Non si ode nulla, disse con voce visibilmente alterata. Forse dormirà.
Aprì pian piano la porta ed entrò in una vasta stanza, coperta da morbidi tappeti tinti a smaglianti colori, e arredata con divani alla turca e con grandi vasi di fiori ingiorò che spandevano all’intorno un olezzo delicato che aveva del gelsomino e della rosa. Là, proprio in mezzo se ne stava l’almea Fathma, avvolta in un grande feredgè di seta bianca, la faccia cupa, e i lunghi capelli, neri come l’ebano, sciolti in pittoresco disordine sulle semi-nude spalle. Aveva le braccia incrociate sul seno che sollevavasi sotto i frequenti sospiri e teneva lo sguardo malinconicamente fisso sulle ridenti sponde del Bahr-el-Abiad che disegnavansi dinanzi alle persiane delle finestre.
Il greco s’arrestò sul limitare della porta come trasognato, come rapito in estasi, cogli occhi fissi fissi su quella seducente donna che egli amava alla follia. Il suo volto era alterato, irrigato da goccioloni di sudore, e sentiva il cuore saltellare nel petto e il sangue accendersi d’ardenti brame.
La contemplò così per un minuto, due, tre, rattenendo persino il respiro, poi fece silenziosamente alcuni passi innanzi colle braccia tese e le mani aperte come volesse afferrarla, e le labbra sporgenti come cercasse un bacio su quelle palpitanti carni.
— Fathma, mormorò con un fil di voce e con un tono commosso, supplichevole.
L’almea a quella voce trasalì. Si volse lentamente verso di lui, lo mirò con sorpresa, poi con ispavento e indietreggiò vivamente con un gesto di orrore, come avesse visto una schifosa bestia.
— Oh! Fathma! esclamò lo sciagurato con una voce rotta. Non trattarmi così!
L’almea per tutta risposta girò su sé stessa e gli volse le spalle. Il greco traballò come avesse ricevuto una palla nel cuore e la vista gli si intorbidì. Qualche cosa rumoreggiò nel fondo del suo petto, come un ruggito strozzato, furioso, e le sue mani si strinsero così fortemente che le unghie gli penetrarono nelle carni.
— Non disprezzarmi!… non deridermi Fathma… non respingermi! urlò.
Si precipitò innanzi e le si gettò alle ginocchia afferrandola per le mani. L’almea con una brusca mossa si liberò da quella stretta.
— Vattene! — diss’ella con veemenza, tornando a indietreggiare. Vattene mostro, che tu mi fai paura, che mi fai ribrezzo!
Il greco la guardò con occhio truce; nondimeno qualche cosa di umido gli brillò sotto le ciglia e la sua faccia si coprì di un pallore cadaverico per l’ira. Si raddrizzò con violenza, colle braccia alzate, le mani aperte e le si avvicinò vacillando, cogli occhi stravolti, iniettati di sangue.
— Ma io ti amo, Fathma! esclamò quasi delirante, io ti amo, ti adoro e tanto che per te mi ucciderei.
— Ucciditi allora, disse l’almea con fredda ironia.
— Che mi uccida!…
S’arrestò guardandosi attorno con smarrimento.
— Ah! mormorò egli coi denti convulsivamente stretti.
Parve ancora esitare, poi si scagliò come un forsennato sull’almea afferrandola così strettamente per le braccia da strapparle un grido di dolore. Egli la scosse con furore.
— Odimi. Fathma, disse con voce rauca. Che ti feci io? Quali azioni ti usai? Perchè tu provi per me una ripugnanza così insuperabile? Perchè mi disprezzi, mi deridi, mi respingi?… Dimmelo, Fathma, perchè?… perchè?…
L’almea non rispose; ella cercò di sciogliersi da quella stretta, ma senza riuscirvi. Impallidì orribilmente.
— Tu non sai adunque fino a qual punto io ti ami? ripigliò il greco con passione furiosa. Tu non sai adunque quanto io soffersi per te, da quel giorno che tu mi apparisti a Machmudiech? Quel giorno tu mi affascinasti, quel giorno tu avvelenasti il mio sangue, mi straziasti il cuore. Ho provato torture indicibili, gelosie tremende, a segno che io mi domando come possa ancora amarti invece di esecrarti. Mi sembra di essere pazzo, ma un pazzo furioso che vive solamente per te!… Mi hai udito, o Fathma?
— Ti ho udito, rispose l’almea cupamente.
— E dunque?…
— Ti disprezzo, e più oggi che quindici giorni fa!
Il greco emise un urlo di furore e la scagliò addosso a un divano.
— Sciagurata, tu mi schianti il cuore! esclamò con straziante accento.
Si mise a girare per la stanza col volto nascosto fra le mani e i capelli irti, poi ritornò verso Fathma che si era raccolta su sè stessa come una tigre, risoluta a difendersi contro gli attacchi di quel miserabile.
— È tutto finito adunque fra noi? le chiese con voce cavernosa.
— Lasciami sola, che la tua presenza mi fa male, disse Fathma. È impossibile che io ti ami, perchè sento per te un odio così profondo che non si estinguerà che colla mia morte. Comprendi, Notis?
— Ma dimmi che ti feci io, terribile donna, dimmelo?…
— Chi fu a infrangere la mia felicità? Chi fu a condurmi qui a morire lentamente, fra mille angoscie? Chi mi spinse a pugnalarmi? Chi fu quel vigliacco che mi denunciò a Dhafar pascià per una spia del Mahdi? Come posso io dimenticare tante cose!
— Si, fui io, ma ti amava e fu solo l’amore che fece di me una spia.
— Hai scavato un abisso, questo abisso è insuperabile. Vattene adunque e ridonami la libertà, lascia che io ritorni nel Sudan. Solo a questo patto potrei dimenticare quelle azioni codarde che mi usasti e forse col tempo a provare per te, se non dell’amore, almeno della compassione.
— Ridonarti la libertà?… Lasciarti ritornare nel Sudan?… E perchè?
— Per raggiungere colui che io amo sopra tutti, disse l’almea con slancio appassionato.
— Ira di Dio! esclamò il greco. Tu pensi ancora a quell’arabo adunque? Il tuo cuore batte ancora per Abd-el-Kerim? Ma io non lo permetterò mai, capisci Fathma, mai, mai, mai!…
— Sarai tu che impedirai al mio cuore di palpitare per Abd-el-Kerim?
— Si, io, perchè te lo schianterò di nuovo quel cuore. Voglio strapparti quella passione che ti uccide e insediarvi la mia!… Sei in mia mano, Fathma, proseguì Notis con accento pieno di fiele e di minaccia.
L’almea fe’ un gesto come avesse intenzione di gettarsi fuori dalla stanza, ma s’avvide che la porta era chiusa e s’arrestò fremendo.
— Non sperare nella fuga, disse Notis che s’era accorto della mossa. Quand’anche tu riuscissi a oltrepassare quella soglia, ti troveresti di fronte ai beduini dello sceicco Debbeud.
— Vuoi adunque ridurmi una seconda volta alla disperata risoluzione di uccidermi? Sta in guardia, vigliacco, perchè sarei capace di ritentare la prova.
Ma oggi i pugnali sono spuntati.
— Vi sono delle pareti per spezzarsi la testa.
— Fathma! esclamò Notis. Se tu ti uccidi, uccidi nel medesimo tempo…
— Chi?… chi?…
— L’arabo Abd-el-Kerim.
— Abd-el-Kerim! esclamò l’almea portandosi le mani al seno che tumultuava angosciosamente. Allàh!… Allàh!…
Girò su sè stessa chiudendo gli occhi e piombò sul divano; due lagrime le irrigavano le abbronzate guancie.
Il greco spaventato accorse a lei, ma non giunse nemmeno a toccarla.
— Indietro! gridò ella risollevandosi. Non toccarmi.
— Fathma, disse Notis furente, non disprezzarmi oltre, o che io…
S’era gettato innanzi per afferrarla, ma si era subito arrestato, sorpreso e quasi spaventato. Il ramo gigantesco che ombreggiava le finestre aveva mandato un legger crepitìo e s’era udita una sorda bestemmia.
— Chi è là? chiese egli sguainando la scimitarra.
Nessuno rispose. S’avvicinò ad una delle finestre, ma non vide o almeno credette di non vedere alcuno.
— Chi può essere stato? si chiese egli.
Guardò Fathma che si teneva ancora ritta presso il divano in atteggiamento fiero e sprezzante.
— Fathma, disse, fa quello che tu vuoi, ma fra tre giorni tornerò a vederti. Se non avrai cangiato parere, se ricuserai di diventare mia, guai a te. Ti farò versare fiumi di lagrime e ti strazierò il cuore come giammai un carnefice fu capace di straziarlo!
L’almea non rispose. Notis la guardò trucemente, poi le volse le spalle sbarrando dietro di sè la porta.
La sventurata Fathma, rimase ritta per qualche istante poi ripiombò sul divano piegandosi su sè stessa.
— Dio!…. Dio!…. ripetè ella. Tutto è perduto, tutto è finito! Potessi almeno veder un’ultima volta colui che tanto amo, e poi morire.
Ella si nascose la faccia fra le mani e il suo volto si inondò di lagrime. Il fragore di un vaso di fiori che si infrangeva la fece saltar in piedi.
Si guardò attorno e scorse a terra un grosso ciottolo appeso al quale eravi qualche cosa di bianco. Lo prese, continuando a guardarsi attorno per la tema di venire scoperta, e s’accorse che quel bianco era un pezzetto di carta scritta. Lo spiegò e lesse in arabo:
«Ho visto e udito tutto. Ho disertato per ordine di Abd-el-Kerim e non ho altra missione che quella di salvarti. Non temere nulla: prima dei tre giorni sarai libera.
«Omar».
L’almea rattenne a malapena un grido di gioia che stava per sfuggirle e corse alla finestra. Ella vi giunse nel momento che un negro semi-nudo, uscito dalle acque del Nilo, saliva la sponda opposta,
— È lui! Omar: esclamò con voce tremante. Allàh, fa che egli mi salvi!
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