Capitolo III – Il reis Ibrahim

Il vecchio reis Ibrahim, lasciato che fu da Notis, non aveva perduto il tempo. Sedutosi per terra, s’era fatto portare due grandi vasi di merissak e si era messo a bere sbocconcellando un enorme pezzo di ebrèk, sorta di pane fatto con maiz agro, e che mangiasi usualmente bagnato con brodo o con latte zuccherato. Lo sceicco Fit Debbeud, entrando allora allora, si era bravamente seduto di fronte a lui e lo aiutava efficacemente a vuotare i vasi di birra, intavolando una viva conversazione.

— Dunque, tu narravi al padrone, diceva lo sceicco, che hai veduta Elenka a Gez Hagida.

— Sicuro, rispondeva il reis, vuotando l’una dietro l’altra parecchie tazze. L’ho veduta e le ho parlato più di una volta.

— E ti raccontò tutta la faccenda?

— Già, mi narrò gli amori di Abd-el-Kerim con un’almea, che, se non erro, chiamasi Fathma e tutto quello che ne seguì.

— E ti avvisò che lo schiavo dell’arabo aveva disertato?

Il reis fece col capo un cenno affermativo, tracannando la dodicesima tazza di birra.

— L’hai incontrato tu, questo schiavo?

— No, rispose Ibrahim. Eppure domandai di lui in tutti i villaggi che toccai.

— Lo conosci forse?

— Niente affatto. Quando conobbi l’arabo Abd-el-Kerim, questo schiavo non era con lui.

— Credi tu che noi dobbiam preoccuparci di questo negro?

— Se è solo non è da temerlo molto. Eppoi si fa presto a spedirlo nell’altro mondo. Una pistolettata o quattro dita di jatagan e tutto è finito.

— Parli bene come l’Alcorano, disse lo sceicco, sorridendo. D’altronde staremo in guardia e se dormiremo procureremo di chiudere un solo occhio.

La conversazione fu tagliata dalla comparsa di Notis, che scendeva dalla stanza di Fathma. Era cupo e si vedeva nei suoi occhi la tremenda ira che ardevagli in petto.

— Abbiamo perduto? chiese Debbeud, alzandosi.

— Sì, rispose il greco. Quella donna è una fortezza inespugnabile.

— Per mille saette! esclamò il beduino. Non siete stato capace di piegare quella femminuccia! Ma come è possibile?

— È una leonessa, non una femminuccia. Ella mi derise e rispose alle mie proteste d’amore coi più sanguinosi disprezzi.

— Quando una donna è così irremovibile la si tortura colla fame e col bastone.

— No, disse Notis con stizza. Quell’almea io l’amo e non mi sento l’animo di farla soffrire.

— E allora?

— Aspetterò ancora tre giorni

— E dopo?

— La farò cedere colla forza.

— Questo chiamasi un bel parlare. Comincieremo col farle assaggiare un po’ di ferro rovente o le straccieremo le carni a colpi di frusta.

Il greco alzò le spalle e volgendosi al vecchio Ibrahim.

— Dove hai la tua barca? gli chiese.

— A Quetêna, proprio all’estremità settentrionale del porto.

— Consegnerai i tuoi uomini a bordo e ti terrai pronto a prendere il largo. In questo frattempo ti informerai se è giunto lo schiavo di Abd-el-Kerim a verrai a riferirmi ogni cosa. Puoi andartene ora.

Gli gettò alcune piastre e risalì la scala colle mani sui calci delle pistole.

Ibrahim vuotò l’ultima tazza di merissak, empì di tabacco il suo scibouk, l’accese e salutato lo sceicco uscì, facendo saltare le piastre nel cavo della mano.

Arenato fra i canneti aveva il suo canotto. Vi entrò, prese i remi e s’allargò, mettendo la prua a Quetêna che era lontana appena quattrocento passi. Si trovava già in mezzo al fiume quando udì chiamare,

— Olà, barcaiuolo, vieni ad approdare che ho bisogno di te.

Si volse e sulla riva destra vide un negro con un taub gettato su di un braccio. Si diresse subitamente a quella volta.

— Vuoi condurmi un miglio più in sù, nella piccola rada? chiese il negro. Ti darò cinque talleri.

— Sei pieno di danaro che paghi come un pascià? chiese Ibrahim ridendo.

— Può darsi: approda.

Il negro saltò nel canotto e si sedette a prua; il barcaiuolo si sedette nel mezzo, volgendogli le spalle e arrangando con gran vigorìa.

— Hai qualcuno che ti aspetta alla piccola rada? chiese il reis.

— Ho una carovana di cammelli carichi d’avorio, rispose il negro Omar.

— Sei del paese?

— No, sono Nubiano.

— Giunto da poco?

— Ciò non ti riguarda. Allunga la battuta che ho molta fretta.

Il canotto raddoppiò la velocità, salendo la corrente. Quindici minuti dopo giungevano in vista della darnas di Daùd.

— Sai a chi appartiene quel bel legno? chiese il reis.

Omar non rispose. Egli si era levato in piedi e gli si era avvicinato.

— Il reis stava per ripetere la domanda quando si sentì prendere per le spalle e rovesciare violentemente nel fondo del canotto. Contemporaneamente vide sopra di sè Omar che gli puntava una pistola sulla fronte.

— Se tu ti muovi, gli disse il negro, ti faccio saltare le cervella e poi divorare dai coccodrilli.

Il barcaiuolo ebbe paura di quella minaccia e non ardì fare il menomo tentativo per rialzarsi o per reagire.

— Lasciami la vita, balbettò egli. Ti dò tutto quello che possiedo.

— Non credere che sia un Abù Ròf, disse Omar. Non voglio prenderti nulla.

— E allora che esigi da me?

— Ora lo saprai; lasciati legare.

Ricollocò la pistola nella cintura, estrasse una corda e legò i polsi e le gambe al reis, poi si sedette a prua, prese i remi e spinse il canotto al largo; rimontando come prima la corrente.

— Parliamo, ora, diss’egli. Cosa sei andato a fare in quella casa?

— A trovare un mio amico.

— Il greco Notis, non è vero?

— Come sai questo? esclamò il reis. Saresti tu lo schiavo di?… possibile!

— Sì, io sono lo schiavo di Abd-el-Kerim. Come facesti a indovinarlo?

— Mi narrarono che tu navigavi verso questo villaggio.

— Eh!… fe’ Omar sorpreso. E chi te lo narrò?

— Elenka, quando io approdai a Gez Hagiba.

— E il greco sa nulla?

Il reis non rispose e si mise a guardare altrove con aria imbarazzata.

— Parla, gli disse Omar, con tono minaccioso. Il silenzio potrebbe esserti funesto.

— Ebbene, sì, Notis lo sa.

— M’ha veduto forse?

— No, ma ti cerca.

— Basta così. Ora so cosa devo fare.

Egli drizzò la prua alla piccola baia in mezzo alla quale galleggiava il suo legno. Arenò il canotto fra le erbe della riva e chiamò Daùd, il quale fu pronto ad attraversare il ponte e a raggiungerlo.

— Dove hai preso quel canotto? chiese il sennarese.

— A quest’uomo che vedi legato, rispose Omar, afferrando Ibrahim e gettandolo fra le erbe nè più nè meno come fosse una balla di mercanzia.

— Un uomo! esclamò Daùd, Oh! ma quello li è il mio amico Ibrahim!

Il vecchio barcaiuolo alzò a quella voce la testa e si guardò intorno.

— Daùd! gridò egli, cercando di alzarsi. Giusto Allàh, il mio Daùd!…

— Che diavolo succede, disse Omar, Vi conoscete!

— Ma sicuro, Omar, rispose vivamente Daùd, Quest’uomo è il mio miglior amico che abbia sul Bahr-el-Abiad. Come tu me lo conduci così legato. Che può mai aver fatto a te, questo povero Ibrahim. Lascia che io lo liberi.

Così dicendo aveva estratto un coltello e s’era messo a tagliare le corde del vecchio che potè rimettersi nella sua posizione verticale. I due barcaiuoli si strinsero vicendevolmente fra le braccia.

— Spero che tu non ci sfuggirai per tornartene da quel birbante di Notis, disse Omar. Cosa eri andato a fare da lui?

— Tu eri andato da Notis? chiese Daùd sorpreso. Che affari avevi con lui?

Il barcaiuolo li mise subito al corrente delle cose narrando a loro come avesse veduto e parlato con Elenka a Gez-Hagiba e come si fosse messo agli ordini di Notis. Narrò inoltre come il greco avesse intenzione di abbandonare Quetêna fra due o tre giorni in compagnia di Fathma.

— Ah! la è così, disse Omar, grattandosi l’orecchio. Se il maledetto sospetta la mia presenza starà in guardia e sarà difficile liberare la povera almea.

— Cercheremo di eludere la sua sorveglianza, rispose Daùd.

— Ma in qual modo?

— Ibrahim ci aiuterà.

— Io! esclamò il vecchio con sorpresa.

— Ibrahim, disse gravemente Daùd, Narrami che cosa successe l’anno scorso quando c’incontrammo a Machadat-Abu-Zat.

— Io era caduto in acqua, me lo ricordo bene, e aveva un coccodrillo dinanzi che cercava di afferrarmi a mezzo corpo per tagliarmi in due. Ero perduto se tu non venivi in mio aiuto uccidendo con un colpo di scure il mostro.

— Si vede che hai buona memoria. Quando ti trasportai a riva, ti ricordi cosa mi dicesti?

— Sì, ti dissi che se un giorno tu avessi bisogno di un uomo pronto a dare tutto il suo sangue, pensassi a me.

— Questo giorno è venuto, Ibrahim. Io ho bisogno di un uomo per salvare una donna, e io ricorro a te. Mi aiuterai a liberare Fathma?

— Ma è cosa difficilissima, impossibile anzi.

— Se vi saranno degli ostacoli noi li spezzeremo. Dimmi ora, hai libero accesso nella casa dove trovasi Fathma?

— Sì, posso entrare ed uscire a mio piacimento,

— Quanti uomini ha il greco?

— Una quindicina di beduini comandati dallo sceicco Fit Debbeud.

Daùd e Omar fecero una smorfia.

— Troppa gente, disse Daùd con dispetto. Quanti barcaiuoli hai tu?

— Una mezza dozzina, ma sono ragazzi di ferro che non hanno paura nemmeno della collera del Profeta.

— Tu sei e io quindici e tre che siamo noi formiamo una forza di ventiquattro uomini. Si può ancora tentare la sorte.

— Che intendi dire? chiese Omar.

— Che possiamo assalire l’abitazione ed espugnarla

— È impossibile!

— Perchè?

— Notis al primo allarme si barricherà in casa e per espugnarla perderemo tre quarti della nostra gente. Eppoi, gli abitanti di Quetêna potrebbero venire in massa sul luogo del combattimento e mandare a male ogni cosa.

— E allora, cosa si farà? Pensa che abbiamo tre giorni soli dinanzi.

— Prima di tutto bisogna allontanare Notis e ridurlo all’impotenza.

— Ma in qual modo? il greco non si allontanerà tanto facilmente.

— A questo penso io, disse Ibrahim. Prima di domani sera Notis sarà ridotto in uno stato tale da non poter fare un solo passo per quarant’otto ore.

— Vuoi pugnalarlo forse?

— Niente affatto. Pugnalarlo sarebbe pericoloso; potrebbero sorprendermi e pigliarmi. Lasciate pensare a me e vedrete che tutto andrà bene.

— E liberatici del greco che faremo?

— Coll’aiuto d’Ibrahim entreremo tutti e due nella villa, saliremo da Fathma e ci barricheremo nella sua stanza, disse Omar. Aspetteremo la sera, poi ci caleremo, da una delle finestre, sulla riva del fiume e prenderemo la fuga.

— Bel piano! esclama Daùd. Ma potrebbe darsi che venissimo scoperti, però.

— Ci difenderemo fino all’ultimo respiro. I due equipaggi ci presteranno man forte.

— Siamo intesi. Tu Ibrahim ti rechi a Quetêna a giuocare un brutto tiro al greco. Alla sera noi assaliremo l’abitazione e libereremo Fathma. Orsù, a bordo, che ho una fame da lupo.

— Andiamo Daùd, disse allegramente Omar. Se riusciamo dò duecento talleri a ciascuno di voi. Ah! mio caro Notis, non sai ancora quanto possono fare Abd-el-Kerim ed il suo schiavo.

I due reis ed il negro, alcuni minuti dopo mettevano piede sul ponte del gran battello.

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