All’indomani, due ore dopo il mezzodì, Ibrahim lasciava il gran battello di Daùd colla ferma idea di allontanare e ridurre a completa impotenza il greco Notis. Imbarcatosi sul suo canotto con pochi colpi di remo prese il largo e venti minuti dopo sbarcava su molo di Quetêna ingombro di Sennaresi e di Arabi che caricavano e scaricavano la lunga fila di barche ancorate sotto la sponda.
Girando lo sguardo all’intorno vide subito che uno dei suoi barcaiuoli lo aspettava seduto su di una balla di mercanzia. Gli si avvicinò sollecitamente:
— Che abbiamo di nuovo Saba? gli chiese, battendogli sulle spalle.
— Stavo a vedere quando tu ritornavi, rispose il battelliere. Questa mane venne a bordo un beduino chiedendo di te.
— Si trova ancora sulla dahabiad quest’uomo?
— No, ma mi disse che appena tu giungessi ti mandassi da lui.
— Non ho tempo per recarmi da quell’uomo, disse Ibrahim. Ascoltami ora, Saba.
— Sono tutt’orecchi.
— Farai armare tutti i battellieri di buoni moschetti e di jatagan e vi terrete pronti ad entrare in campagna al mio comando.
— Oh!… che c’è in aria?
— Dobbiamo assalire quella villa che tu vedi là, sulla riva sinistra, e salvare una donna che si trova rinchiusa. Hai capito, state pronti a tutto e basta. Recati a bordo ora, portami quella scatola d’oppio che trovasi nella mia cabina, e vieni a raggiungermi al caffè.
— Io corro.
— Va dunque e spicciati.
Il battelliere non se lo fece dire due volte e se ne andò di corsa. Ibrahim si stropicciò allegramente le mani ed entrò nel caffè che trovavasi pochi passi lontano. Non vi era che il wadgi (caffettiere) che faceva fuoco al fornello alzandosi e abbassandosi per soffiarvi sopra.
— Meglio così, borbottò il reis. Si addormenterà senza testimoni.
Chiamò il wadgi, si fece portare una tazza di moka fumante e due scibouk. Aveva appena cominciato a sorseggiare la deliziosa bevanda che entrava Saba.
— L’oppio? chiese brevemente Ibrahim.
— Eccolo, padrone, rispose il battelliere porgendogli una scatoletta.
Il reis l’aprì con precauzione; conteneva una dozzina di pallottoline d’oppio. Ne prese quattro e le mise in uno dei scibouk coprendolo con un fitto strato di tabacco.
— Le fumi? chiese Saba, sorpreso. Ti ubriacherai terribilmente,
— Zitto, giovanotto, disse Ibrahim con aria misteriosa. Ora ti recherai alla villa che poco fa ti additai, e chiederai del greco Notis, tieni bene in mente questo nome. Gli dirai che venga subito qui che devo parlargli su cose assai interessanti. Va!
Il battelliere uscì di corsa dirigendosi verso il molo, e Ibrahim, empito l’altro scibouk di tabacco l’accese mettendosi a fumare colla maggior calma del mondo. Mezz’ora dopo entrava in furia il greco Notis.
— Ah! Siete qui, padrone! esclamò Ibrahim con mal celata gioia. Abbiamo delle grandi novità.
— Narra, Ibrahim, disse Notis sedendosi di fronte a lui.
— Accendete il scibouk ed ascoltatemi, disse il reis spingendo verso di lui la pipa carica d’oppio.
Il greco prese il scibouk e vedendo che era di già carico l’accese avvolgendosi fra dense nubi di fumo.
— Ditemi, innanzi tutto, come sta quella donna che voi tenete prigioniera. Essa mi interessa qualche poco.
— Non mi curerò di lei per tre giorni, rispose Notis stizzito. Ma dopo, oh la vedremo chi di noi due la vincerà. Raccontami ora, queste novità.
Il reis vuotò il fingiam (vasetto) di caffè e rovesciandosi indolentemente sull’angareb, gli disse a bruciapelo:
— Padrone, lo schiavo di Abd-el-Kerim è arrivato a Quetêna.
Il greco fece un soprassalto sul sedile emettendo un gran oh! di sorpresa.
— Da quando? chiese con ansia. L’hai veduto tu?
— Sono due giorni che è giunto e sa già che Fathma trovasi nelle vostre mani.
— È solo?
— Solo e in miseria per soprappiù.
— Non è da temersi adunque! esclamò Notis che respirò.
— Non c’è da darsene pensiero. Il povero diavolo l’ho veduto ieri sera che rosicchiava una pannocchia di durah sotto una rekuba. Mi pareva assai malandato.
— Come facesti a sapere che era Omar?
— Perchè gli ho parlato assieme.
— Tu!… Scherzi forse?
— Niente affatto.
— E… ti ha conosciuto?
— Non sa nemmeno chi sia.
— Potevi dargli un colpo di coltello e freddarlo.
— Ma parve una fatica inutile. Che ne dite?
Il greco rispose con una risata da ebete. Appoggiò la testa sulle mani e continuò a fumare con maggior furia cogli occhi vitrei fissi dinanzi a sè. Egli provava allora una voglia irresistibile di fumare, un senso di benessere strano, nuovo, una calma inesprimibile, un alleviamento di testa unico e una leggerezza tale che credeva di galleggiare in mezzo all’aria.
Il reis lo guardò attentamente e sorrise. La faccia del fumatore era smorta smorta, attorno agli occhi cominciavano a disegnarsi due cerchi azzurrognoli e muoveva le mani convulsivamente.
— L’oppio opera, pensò il barcaiuolo. Fra poco cadrà nel mondo dei sogni.
— Dunque tu dicevi?… ripigliò Notis, dopo qualche minuto di silenzio.
— Che freddarlo con una coltellata mi pareva fatica inutile.
— Chi?…
— Lo schiavo di Abd-el-Kerim.
— Abd-el-Kerim, balbettò il greco come non avesse ben compreso. Dov’è quest’uomo?
— A Gez Hagiba.
— Non mi ricordo più nulla… ho come della nebbia dinanzi agli occhi… mi pare di galleggiare… di sognare….
Ibrahim non aprì bocca. Il greco continuava a fumare rabbiosamente e tuffavasi, per così dire, fra le ondate del fumo oleoso e pesante.
Passarono cinque minuti. Notis cambiò tre o quattro volte posizione e cercò di riappiccare il discorso, ma dalle labbra tremanti non gli uscivano che frasi interrotte e senza senso. Ad un tratto si rovesciò sull’angareb, chiuse a poco a poco gli occhi e lasciò sfuggire il scibouk che cadde a terra spezzandosi. Cercò ancora di rialzarsi, agitò le braccia quasicchè cercasse d’abbracciare qualche cosa che danzavagli dinanzi, poi restò immobile.
Il reis si alzò e mirò per qualche tempo l’addormentato, il quale era così pallidissimo da scambiarlo per un cadavere. Un sorriso di viva soddisfazione e anche di commiserazione apparve sulle labbra di Ibrahim.
— Ecco un uomo terribile ridotto inoffensivo quanto un fanciullo, mormorò egli. Quando si sveglierà io avrò pagato il sacro debito con Dàud ed egli si troverà senza amante. Povero Notis!
S’avvicinò al wadgi e gli mise in mano un tallero.
— Quell’uomo là dorme profondamente, gli disse. Dormirà tutto oggi e probabilmente tutto domani. Portalo in qualche stanza senza fargli male alcuno e se dei beduini vengono a cercarlo, rispondi a loro che tu non l’hai nemmeno visto. Se tutto va bene avrai cinque talleri in regalo.
— Non temere di nulla, vecchio Ibrahim, rispose il wadgi.
Il reis uscì dal caffè nel momento che il sole precipitava dietro i monti di Semin e di Lao Lao. Respirò una boccata d’aria, poi si diresse verso il molo sul quale passeggiavano impazientemente Dàud e Omar.
— Eccomi a voi, amici miei, disse avvicinandosi.
— Il greco? chiesero al un tempo il negro e il sennarese.
— Dorme come un serpente, nè si sveglierà prima di quarantott’ore. Gli ho fatto fumare una forte dose di oppio.
— Bravo Ibrahim, disse Dàud, stringendogli energicamente la mano. Andiamo ora alla villa a liberare quella cara amante di Abd-el-Kerim.
— E come si entrerà? interrogò Omar.
— Ci arrampicheremo su per una delle finestre, rispose Ibrahim. Le tenebre calano in furia; noi approderemo senza essere visti ed entreremo nella stanza della prigioniera. Ho qui una fune e con questa discenderemo. Avete le vostre pistole?
— Non manchiamo nemmeno degli jatagan. E i tuoi uomini sono avvisati? Potremmo aver bisogno di loro.
— Non aspettano che il comando di partire, Omar. E i tuoi Dàud?
— Sono sotto le armi.
— Quando è così andiamo e che Allàh ci aiuti.
Saltarono nel canotto, lo allontanarono e si misero a vogar verso la riva opposta dandosi l’aria di pescatori. Salirono per un buon tratto il fiume, poi, quando fu notte oscura, ridiscesero cautamente e approdarono dinanzi alla villa di Notis.
— Vedi nessuno Ibrahim? chiese Dàud.
— Assolutamente nessuno.
— Zitto, mormorò improvvisamente Omar. Abbassatevi tutti.
Alcuni uomini che furono riconosciuti per dei beduini, uscivano allora dalla porta che metteva sul Nilo. Essi presero posto in una barchetta che era lì ormeggiata.
— Cercatelo dappertutto, disse una voce che si capì essere quella dello sceicco Debbeud. Vi sono dei pericoli nell’aria e non è prudente rimaner fuori di notte.
— Sta bene, risposero i beduini.
La barca si allontanò scomparendo fra le tenebre e la porta della villa tornò a chiudersi.
— Hai compreso? domandò Omar a Daùd.
— Perfettamente; vanno a cercare il greco.
— Spicciamoci, amici cari. Ecco là quel tamarindo che mi aiutò ieri a salire fino alla finestra di Fathma. Io mi arrampico, entro nella stanza e getto la corda. Voi rimarrete qui a difendermi nel caso che venga scoperto.
— Siamo intesi, non ti perderemo di vista.
Il negro armò le pistole, onde essere pronto a servirsene qualora ve ne fosse stato bisogno e si avanzò fino ai piedi del tamarindo. Tese l’orecchio per udire se vi fosse qualcuno che girasse nei dintorni, lanciò uno sguardo a dritta e a manca, poi abbracciò il tronco e si mise a salire coll’agilità di una scimmia, fino ai rami. Sostò ancora un momento per ripigliare fiato, indi si mise a strisciare sul ramo, che protendevasi fino ad una delle finestre, con mille precauzioni onde il fogliame non susurrasse o il legno gemesse.
— Ci sei? chiese sottovoce Daùd, dopo qualche istante.
— Ci sono, rispose egli. Attenti.
Guadagnò il davanzale della finestra e guardò entro. Una lampada illuminava fiocamente la stanza e seduta su di un divano vide Fathma: respirò.
Allungò una mano e aprì le imposte. Al cigolìo che mandarono girando sui cardini, l’almea si levò in piedi non dissimulando un gesto di terrore. Omar si slanciò entro cadendo ai suoi piedi.
— Zitto, Fathma, mormorò egli, vedendo che apriva le labbra per mandare un grido. Zitto, che sono io, Omar, il fedele schiavo di Abd-el-Kerim.
L’almea fu ancora in tempo di arrestare il grido che stava per uscirle. Ella prese la testa del negro fra le mani e l’alzò guardandola con occhi umidi.
— Tu, Omar, tu, balbettò con un filo di voce che la gioia e l’emozione rendevano tremula. Gran Dio! Che vieni a far qui, in questa stanza, dove sono prigioniera?
— Vengo a salvarti, Fathma, vengo a strapparti dalle mani di Notis.
— Ma, disgraziato, non sai dunque che vi sono quindici beduini che vegliano e che potrebbero da un momento all’altro entrare ed ucciderti?
— Che importa a me? Del resto sono armato e ho abbasso degli amici che vegliano.
— Degli amici?
— Sì, Fathma, dei cuori generosi che s’interessarono della tua disgrazia. Non temere di nulla; io ti libererò per ridarti al prode Abd-el-Kerim.
L’almea emise un gemito e portò ambe le mani al cuore.
— Narrami, Omar, dove trovasi colui che tanto amo. Non so più nulla di lui e non lo rividi più da quel funesto dì in cui fummo separati. È vivo ancora?… Pensa egli alla sventurata Fathma? Parla!… Parla!…
— Sì, è vivo, e trovasi a Gez-Hagida ed è sempre innamorato di te. Fu lui che mi comandò di venire qui e che mi procacciò i mezzi necessari per disertare; mi capisci, fu lui. Ah! se tu sapessi quanto ti ama il mio povero padrone e quanto egli è infelice!
— E perchè non disertò?… Perchè, Omar.
— Ha una donna, una furia che veglia su di lui, che lo segue dì e notte in ogni suo passo e che gli impedisce di fuggire.
— Una donna! mormorò Fathma che si sentì mordere il cuore dalla gelosia. Chi è questa donna? Io voglio saperlo. Omar, lo voglio!
— È sempre Elenka.
— Ah! maledetta!
— Ma non aver paura che abbia a vincerlo. Abd-el-Kerim l’odia talmente che se potesse ucciderla la ucciderebbe.
— Ah! quanto bene mi fanno queste parole, Omar. Sono venti giorni che ho il cuore straziato dalla più terribile gelosia, venti giorni che soffro atrocemente!.. Povero Abd-el-Kerim, potessi farti felice.
— Ma che ti ha fatto quel miserabile Notis?… Ho udito parlare di pugnalate, di…
— Zitto disse Fathma. Quello che fu fu, eppoi sono ormai guarita. Dove sono questi tuoi amici?
Omar la prese per una mano e la condusse alla finestra.
— Guarda, le disse.
— Vedo due uomini.
— Sono i miei amici. Hai paura di discendere da questa finestra attaccata ad una corda?
— Discenderei appesa a un filo di seta.
— Quando è così non perdiamo un sol secondo.
Il negro svolse una lunga corda a nodi che teneva arrotolata attorno al corpo, fissò un capo a una sbarra di ferro della finestra e gettò l’altra nel vuoto. Tosto si videro Daùd e Ibrahim accorrere a prenderlo.
— Andiamo, Fathma, coraggio. Fra cinque minuti saremo lontani da qui,
L’almea salì arditamente sul davanzale e si appese alla corda: Omar vi si mise allato sostenendola con una mano e la pericolosa discesa cominciò nel più profondo silenzio.
Erano giunti già a mezza fune, quando si udì Daùd intimare:
— Ferma!…
Omar e Fathma si arrestarono tendendo l’orecchio. Non si udiva rumore alcuno, eccettuato il gorgoglìo del Nilo che rompevasi sulle sabbie degli isolotti e il lieve susurrìo delle frondi agitate dal venticello notturno.
— Possiamo discendere? chiese Omar che sentiva Fathma tremare.
Risposero un colpo di carabina e un grido straziante. Ibrahim che si teneva ritto sulla riva barcollò e precipitò nel fiume. I coccodrilli che dormivano lì presso furono pronti a saltargli addosso e a farlo a pezzi.
— All’erta! — gridò una vociaccia.
— Sali, sali, Omar! urlo Daùd. I beduini!
Sei o sette beduini si slanciarono fuori della villa. Daùd scaricò le sue pistole poi saltò nel canotto e s’allontanò arrancando disperatamente.
— Sali, sali, gridò egli un’ultima volta.
Omar e Fathma, quantunque si trovassero in una posizione terribile non si perdettero d’animo. Aiutandosi vicendevolmente, adoperando le mani, ed i piedi e persino i denti, in meno che lo si dica raggiunsero il davanzale e si slanciarono nella stanza ritirando in furia la corda.
Erano appena entrati che si udì picchiare furiosamente alla porta.
— Aprite! comandò una voce imperiosa. Aprite per tutti i fulmini del cielo!
Omar si scagliò contro di essa colle pistole in pugno, ma non ebbe il tempo necessario per giungervi, poichè violentemente s’aprì e due beduini irruppero nella stanza colle scimitarre alzate.
Fathma gettò un grido.
— Non aver paura Fathma, gridò Omar. Uno, due…
S’udirono due detonazioni. I due beduini colpiti dalle palle delle sue pistole caddero l’un sull’altro colle cervella bruciate.
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