Capitolo VIII – La zattera

La situazione era disperata, spaventevole: s’avvicinava una tremenda catastrofe. La darnas, colla prua sfondata, il timone schiantato, senz’alberi, senza vele, andava disordinatamente alla deriva virando da babordo a tribordo sotto il fuoco infernale degli insorti, che vista la preda sfuggire, urlavano furiosamente. L’acqua entrava a gran flotti dalla falla, fischiando fortemente e invadeva a poco a poco il ponte sul quale cercavano di issarsi a colpi di coda mostruosi coccodrilli colle mascelle spalancate.

Per alcuni momenti a bordo della darnas regnò una confusione indescrivibile. I barcaiuoli, ridotti a soli sette, più o meno feriti, pazzi dal terrore, si erano rifugiati a poppa invocando disperatamente Allàh e Mohamed, aggrappandosi ai rottami delle antenne e degli alberi, sordi alle minacce e alle preghiere di Fathma, di Omar e di Daùd che avevano conservato il loro sangue freddo anche in terribile frangente. La paura però di cadere nelle mani degli insorti che seguivano la darnas saltando d’isolotto in isolotto; la paura di trovarsi nell’acqua fra la banda dei coccodrilli che non avrebbe mancato di gettarsi su di loro e le percosse e le minaccie dei loro capi, li decisero di ritornare a prua per cercare di arrestar l’acqua che non ristavasi dall’entrare.

Ognuno si munì del primo mastello che trovò sotto mano e si mise a vuotare il liquido elemento che erasi alzato di già d’un mezzo piede. Daùd, a rischio di ricevere una dozzina di palle, salì sul tetto della rekuba che formava il cassero della darnas vi prese un barile e lo incastrò fortemente nella spaccatura della prua. L’affondamento si arrestò.

— Bene! esclamò il bravo reis. Ai remi, Omar ai remi colla tua padrona! Bisogna guadagnare a qualsiasi costo la riva opposta. Su, voi altri, vuotate per la barba di mio padre! Vuotate tutti, vuotate!

Omar e Fathma si slanciarono ai remi, l’uno a babordo e l’altra a tribordo e si misero ad arrancare con tutte le loro forze allontanandosi lentamente dalle isole e isolette sulle quali vociferavano e sparavano gl’insorti, ingrossati di numero.

Mezzo fiume era stato di già attraversato quando avvenne un urto. La poppa si drizzò su di un banco subaqueo incagliandosi profondamente nelle sabbie o nel fango, e la prua, abbassatasi per l’inclinazione affondò. S’udì un urlo terribile emesso da sei o sette voci. I barcaiuoli, perduto l’equilibrio, capitombolavano con Daùd nella corrente, andando a ridosso della banda dei coccodrilli.

Fathma e Omar, abbandonati i remi, si slanciarono verso prua in soccorso dei loro disgraziati compagni, ma era troppo tardi. I coccodrilli, spalancate le enormi mascelle, si erano di già gettati sulla preda insperata e cominciavano il banchetto. Per tre o quattro minuti si videro i sennaresi lottare disperatamente gettando urla strazianti, poi scomparvero fra le onde insanguinate. Alla superficie dell’acqua non risalirono che pochi brandelli di carne ancora palpitante, qualche membro smozzato e qualche testa frantumata che la corrente portava attraverso le scogliere e le galleggianti foglie del loto sacro.

Fathma e Omar, inorriditi dallo spaventevole dramma svoltosi lì per lì sotto i loro occhi, si erano arrestati a mezzo ponte, tenendosi fortemente per la mano, girando gli sguardi smarriti sul fiume rosso di sangue in mezzo al quale nuotavano ancora i coccodrilli disputandosi furiosamente gli ultimi avanzi degli sventurati.

Un rauco singhiozzo lacerò la gola del povero negro.

— Daùd!… Daùd!… esclamò egli con voce rotta.

Vi risposero le urla dei ribelli e le detonazioni delle loro armi da fuoco. Alcune palle fischiarono ai suoi orecchi conficcandosi profondamente sul ponte inclinato della darnas che continuava affondare.

— Daùd!… Daùd!.. ripetè il negro.

Egli cercò di liberarsi dalla mano di Fathma per spingersi sulla prua.

L’almea invece lo trasse violentemente a sè.

— A poppa! a poppa! gridò ella. Affondiamo!

Infatti la prua si tuffava. La darnas s’inclinò con uno scricchiolìo sinistro, fremette, ondeggiò, poi spezzossi a metà con gran fracasso. La poppa si rialzò piegandosi su di un fianco e disarticolando la rekuba il cui tetto in gran parte si sfondò.

I due superstiti non pensarono più che alla propria salvezza, Aggrappandosi ai tronchi delle antenne e alle gomene che ancora pendevano dalle murate, aiutandosi l’un l’altro, sotto il fuoco dei ribelli che non cessava un sol minuto, guadagnarono il rottame fortemente incagliato, cacciandosi lentamente sotto la rekuba semi-sventrata.

I ribelli, che non lasciavano le isole, salutarono la loro scomparsa con una grandinata di lance affatto innocua.

— Coraggio Omar, disse Fathma che tremava malgrado il suo straordinario sangue freddo. Abbiamo assoluto bisogno di essere forti per lottare contro l’avversità che ci perseguita. Si direbbe che il Profeta congiura contro di noi e che protegge la rivale. Dimmi, che faremo ora, che non abbiamo più i mezzi per tirare innanzi e che i ribelli ci assediano?

— L’ignoro, padrona, balbettò il negro. Temo che per noi la sia finita.

— No, finita! esclamò Fathma con veemenza. Sono ancora troppo forte per arrendermi.

— Ma che volete fare? Non sappiamo più su di chi contare ora che tutti sono stati divorati. Ho dei terribili presentimenti che mi fanno perdere quel po’ di coraggio che ancora mi resta.

— Se tu hai dei presentimenti devi scacciarli, Omar. Qui abbiamo bisogno di risolutezza, forza e coraggio per uscire da questa pericolosa situazione. Orsù, fatti animo, tutto ancora non è perduto.

— Che si deve fare? Se colla mia vita potessi salvarvi, potessi conservarvi viva al mio padrone, sarei pronto a perderla, ma pur troppo non gioverà a nulla. Maledetto Mahdi!

— Taci, non imprecare contro quell’uomo, disse Fathma, con voce alterata.

— Perdono, padrona, non mi ricordava più che…

— Basta così, parliamo invece di qualche cosa di meglio. Credi tu che tutti i Sennaresi siano stati divorati?

— Non ho veduto alcuno ritornare a galla, nè ho udito alcun grido d’aiuto dopo il primo assalto dei coccodrilli. Non bisogna contare più su di loro.

— Sta bene, disse freddamente l’almea. Non conteremo che sulle nostre forze. Dimmi, ora, credi che gl’insorti tenteranno di abbordare il rottame?

— Non lo credo. Il fiume è ingombro di coccodrilli e mi pare che anche gl’insorti abbiano paura. Potrebbe darsi però che costruissero delle zattere o che facessero venire dei canotti.

L’almea provò un brivido e impallidì leggermente.

— Che non si possa lasciare questa carcassa? si chiese ella con rabbia.

— In qual modo? Siamo proprio in mezzo al fiume. Il primo che ardisce tuffarsi cadrà inevitabilmente sotto le palle del nemico o sotto i denti degli anfibi.

— E se si costruisse una zattera?… E perchè no?

— Una zattera!.. ah! la bella idea! esclamò Omar, picchiandosi fortemente la fronte. Abbiamo tanto legname quanto ci abbisogna e di più armi da tagliarlo e corde a nostro piacimento. Per Allàh! Se si potesse farla bella a quei cani d’insorti!

— Credi tu che affidandoci alla corrente verremo scoperti?

— Questo lo sapremo dopo. Il fatto è che bisogna allontanarsi prima che spunti l’alba e senza destare l’attenzione dei ribelli. Se ci vedono faranno cadere su di noi una tale pioggia di palle da fare dei nostri corpi un crivello.

— E i coccodrilli ci attaccheranno?

— Forse, ma ci difenderemo senza far troppo rumore. Dispenseremo colpi di scimitarra sui loro occhi o nelle loro gole. Andiamo a vedere come stanno le cose al di fuori, Fathma, e se l’oscurità è tanto fitta da impedire che quelli della riva ci scorgano.

Presi i fucili, Fathma e Omar tenendosi per mano guadagnarono la parete sfondata che guardava verso la riva sinistra, nascondendosi dietro un mucchio di rottami. Le zacchie ardevano ancora spandendo all’intorno una luce rossastra che illuminava sempre però più debolmente la corrente e i campi di durah. Dense nubi di fumo, miste a scintille, s’alzavano vorticosamente al di sopra dei crepitanti legni, ondeggiando capricciosamente qua e là a seconda che il vento soffiava.

Sulle isolette del fiume vociferavano più di due centinaia di ribelli cogli occhi fissi sul rottame. Alcuni erano immersi nell’acqua fino alle gambe e scagliavano di quando in quando qualche lancia che si fissava fortemente sul ponte inclinato del legno, altri invece si studiavano di guadagnare degli isolotti per avvicinarsi vieppiù, ed altri ancora si affaccendavano a costruire dei piccoli tugul di rami e foglie.

— Mi pare che quei birbanti abbiano intenzione di fissare la loro dimora su questi isolotti, bisbigliò Omar all’orecchio della compagna.

— Lo credi?

— Non vedi che stanno costruendo persino dei tugul. Essi calcolano di pigliarci colla fame, ne sono sicuro.

— E allora?

— Allora bisogna abbandonare il rottame più presto che sia possibile. La luna sta per nascondersi dietro a quella fascia di nubi, l’incendio sta per scemare e le stelle sono offuscate dalla nebbia della notte. Fra una mezz’ora vi sarà oscurità perfetta e potremo prendere il largo senza essere scorti.

— Quando è così fabbrichiamo la zattera. Allàh e il Profeta ci aiuteranno.

Essi ritornarono a poppa. Omar, salito sul capo di banda si lasciò discendere adagio adagio nel fiume tenendosi aggrappato ad una fune. Ben presto si trovò sul banco subacqueo coll’acqua fino alle ginocchia.

— Ci sei? chiese Fathma con un filo di voce.

— Sì, rispose il negro che tastava coi piedi la sabbia. Non vi è che mezzo metro d’acqua e il terreno mi pare sodo. Calami abbasso quanto legname puoi e quante fune trovi. Non fare rumore, sopratutto e non perdere di vista i ribelli.

— E i coccodrilli?

— Non ne vedo attorno al banco, eppoi ho la scimitarra. Il primo che vedo uscire dall’acqua e avvicinarsi a me gli rompo la testa. Orsù, affrettiamoci prima che l’oscurità sia perfetta.

I rottami non mancavano. Il tetto della rekùba costruito in legno, come già dicemmo, al momento dell’urto era in gran parte caduto e questo era sufficiente per costruire una zattera capace di sostenere due persone. Di più il ponte era ingombro di pezzi d’albero e di antenne fornite ancora di numerose corde.

Fathma data un’occhiata ai ribelli che bivaccavano parte sulla riva e parte sulle isole senza più darsi pensiero della darnas, si mise alacremente all’opera. Afferrò un pezzo di tetto e radunando tutte le sue forze lo trascinò a poppa e lo gettò sul basso fondo. Omar fu lesto ad afferrarlo e a montarvi sopra.

— Là, così va bene, mormorò il negro stropicciandosi allegramente le mani. Animo, Fathma, getta giù dei pezzi d’albero o d’antenna che formi lo scheletro della nostra imbarcazione. Giù, giù!

La speranza di scampare all’immenso pericolo che la minacciava, triplicava le forze dell’almea. Ella gettò a Omar sei o sette tronconi d’albero, tavoli, pezzi di murata, pezzi di rekùba e cordami in grande quantità. Il negro valendosi delle zacchie che ancora ardevano, tenendosi sempre riparato dietro poppa della darnas per non essere scoperto dai ribelli, in capo a mezz’ora costruì la zattera, lunga quattro o cinque metri e larga appena due, ma solidissima. Egli vi imbarcò due remi, due fucili, munizioni, due scimitarre, alcuni vasi di merissak del kèsra, (sorta di pane di durah cotto su di una lastra di pietra) e parecchie libbre di carne fritta nel burro che si conserva lungamente.

Aveva appena terminato che sulla riva opposta, si udirono degli schianti seguiti da fischi sonori. L’oscurità diventò profonda.

— Bene, mormorò il negro. Le zacchie hanno finito di ardere e i rottami sono capitombolati nel fiume. Presto, padrona, discendi.

Fathma non se lo fece dire due volte. Salì sul bordo, si aggrappò ad una fune e si calò lentamente sulla zattera che minacciava di rompere l’ormeggio sotto la spinta della corrente. I due fuggiaschi si sdraiarono sul ponte colla scimitarra dinanzi e i remi in mano.

— Coraggio, Fathma, disse Omar. Giuochiamo la nostra vita.

— Passeremo inosservati?

— Lo spero.

— Quale via terremo?

— Scenderemo il fiume fino a domani mattina. Sta attenta a respingere i coccodrilli che non mancheranno di assalirci.

— E perchè non approdiamo all’isola di Turà-el-Chadra? Siamo lontani appena duecento metri e si potrebbe, in dieci o dodici ore, giungere a Duên.

— Temo che i ribelli siano accampati nelle foreste e forse il borgo di Duên è caduto in loro mani. Lascia fare a me e vedrai che noi giungeremo più presto che lo credi nelle vicinanze di El-Obeid. Hicks e Dhafar devono accampare a poche miglia dalla capitale del Mahdi. Attenzione, padrona.

Il negro tagliò d’un colpo solo l’ormeggio. La zattera girò per alcuni istanti su se stessa, poi discese silenziosamente la corrente sfiorando a tribordo una larga zona di piante di loto.

L’oscurità era diventata allora profonda. Appena appena si scorgevano le due rive coperte di tenebrosi boschi ai cui piedi urlavano e ridevano atrocemente sciacalli e iene occupate a dissetarsi. I ribelli si distinguevano assai vagamente sdraiati sulle isole, quantunque qua e là ardessero dei fuochi a gran pena tenuti accesi sulle umide sabbie.

I due naviganti si misero a remigare nel più profondo silenzio guardandosi attentamente attorno; i loro cuori battevano di speranza e di timore, e non ardivano quasi quasi di respirare per paura di attirare l’attenzione dei loro nemici.

Avevano di già percorso quasi duecento passi quando la zattera urtò contro qualche cosa arrestandosi bruscamente. Nè l’uno nè l’altra ardirono muoversi.

— Che c’è, chiese sottovoce Fathma dopo qualche minuto d’angosciosa aspettativa. Ci siamo arenati?

— Zitto, disse Omar. Ora andrò a vedere. Tu non muoverti qualunque cosa accada.

Egli strisciò silenziosamente a prua e immerse un braccio nell’acqua. Egli sentì sotto mano un agglomeramento fitto fitto di piante acquatiche che impediva il passaggio.

— Bene, siamo dinanzi ad una barra, mormorò il negro.

Queste barre altro non sono che vaste distese di piante palustri che si formano sui fiumi africani e segnatamente sul Nilo cagionando lo stagnamento delle acque e quindi miasmi mortali. Non di rado queste barre si estendono per tre quattro e anche cinque chilometri, impedendo il transito persino ai battelli a vapore che solcano il Bahr-el-Abiad e il fiume delle Gazzelle.

Omar, appena si fu assicurato che non vi era mezzo di passare sopra quella barra, ritornò presso Fathma che non si era mossa.

— Padrona, diss’egli, bisogna deviare verso la riva sinistra. Abbiamo una barra che fiancheggia la riva destra.

— Deviare sulla riva sinistra! esclamò Fathma, Ma allora ci avviciniamo agli insorti e verremo scoperti.

— Potrebbe darsi, ma non vi è altra via da prendere. Chissà forse passeremo ancora inosservati; la notte è sempre oscura.

— Tutto congiura contro di noi; maledetta sorte!

— Allàh così vuole. Orsù, deviamo e cerchiamo di non far rumore. È carico il tuo fucile?

— Sì.

— Quando è così, andiamo avanti e che il Profeta ci protegga.

La zattera sotto la spinta dei due remi comincia a deviare lentamente radendo la barra, sulla quale alzavasi una nebbiolina carica di esalazioni pestifere. I due naviganti, curvi, taciti, in dieci minuti raggiunsero l’estremità di quel colossale agglomeramento di piante. Già stavano per virare di bordo ed entrare nella libera corrente quando sei o sette coccodrilli uscirono dalle piante avvicinandosi alla zattera. Il più ardito allungò le mascelle spalancate verso di loro cercando, con un formidabile colpo di coda, di issarsi sul ponte.

— Omar! mormorò Fathma che sentiva la zattera inclinarsi spaventosamente a tribordo.

— Sta zitta. Ci sono.

Il negro aveva afferrata la scimitarra. Egli scagliò una tremenda botta fra i due occhi del mostro che si inabissò rumorosamente sollevando una nube di spuma. Quasi subito una voce partì dall’isolotto più vicino, sul quale bivaccavano alcuni insorti.

— Ehi! gridò un arabo. Guarda laggiù in mezzo alla corrente!

— Che vedi? chiese un’altra voce,

— Che Allàh e il Mahdi mi puniscano se quella là non è una zattera.

— Ne sei sicuro? mi pare un rottame,

— Ho veduto qualcuno alzarsi, anzi mi parve di aver visto una scimitarra in aria. Non hai udito una botta e un tonfo?

— Infatti ho udito. Che siano gli uomini della darnas?

— È quello che noi vedremo; prendi il moschetto.

Fathma e Omar avevano distintamente udita la conversazione dei due ribelli. Spaventati avevano abbandonati i remi e si erano sdraiati sul ponte colle mani convulsivamente strette attorno ai fucili.

— Non muoverti, padrona, bisbigliò con voce tremante Omar.

— Non mi muoverò nemmeno se vengo ferita, rispose Fathma con voce ferma. Attento alle palle.

Non avevano ancora terminato che due detonazioni echeggiarono sull’isolotto. I due naviganti udirono le palle penetrare nel legname a pochi pollici dalle loro teste. Rimasero immobili, irrigiditi.

— Ah! esclamò uno dei tiratori. Sono due cadaveri gettati sopra di un rottame.

— Che stupidi a sprecare polvere e palle, rispose l’altro. Buon viaggio razza di cani! Che il diavolo vostro patrono vi conduca a salvamento.

I due ribelli ruppero in uno scroscio di risa e tornarono a sdraiarsi sulle sabbie. La zattera, mercè la corrente che era alquanto forte, in dieci minuti soli oltrepassò tutte le isole occupate dai nemici. I due naviganti, persuasi ormai di non correre più pericolo alcuno, afferrarono i remi e si misero ad arrancare disperatamente, percuotendo a destra e a sinistra, senza riserbo, i coccodrilli che li minacciavano.

Alle tre di notte giungevano sani e salvi alla foce di un largo corso d’acqua, affluente di sinistra del Bahr-el-Abiad, e che ha le sue sorgenti nelle vicinanze di Sciula. Essi vi entrarono salendolo per cinque o seicento metri.

— Alt! comandò Omar. Qui non corriamo più il pericolo di venire raggiunti. Abbiamo percorso più di quindici miglia e questa distanza mi pare sufficiente per essere sicuri di passare tranquilli il resto della notte.

— Che facciamo adunque? chiese Fathma. Approdiamo?

— Mai più. Abbiamo dei leoni e delle jene sulle rive. Questa notte ci ancoreremo qui e domani vedremo cosa potremo fare. Sdraiati, padrona, e cerca di dormire.

Egli impiantò profondamente il remo su di un bassofondo, vi legò saldamente la zattera, accese il scibouk e si sedette a prua col fucile sulle ginocchia. Fathma, affranta, si sdraiò sul ponte e non tardò ad addormentarsi, malgrado i ruggiti e gli scrosci di risa dei leoni e delle jene che vagolavano sulle boscose rive del fiume.

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