Capitolo XIII – Il Delatore

All’indomani il campo egiziano era tutto in confusione. Fanti, artiglieri e cavalieri andavano e venivano frettolosamente e lavoravano con febbrile alacrità; gli uni piegavano le tende e le arrotolavano accuratamente, altri scioglievano fasci di fucili e li consegnavano ai rispettivi proprietari, altri ancora si aiutavano reciprocamente a mettersi in ispalla gli zaini, a incinghiare le gamelle e le giberne. Si tiravano i cannoni e se li aggiogavano ai muli o agli asini, si insellavano i cavalli, si caricavano i cammelli e si conducevano in furia ai pozzi a rinnovare le provviste d’acqua e ad una estremità dell’accampamento si formavano le compagnie che tosto si muovevano quale avanguardia.

Si capiva subito che gli Egiziani levavano il campo. Alla notte erano giunti i rinforzi da Chartum, consistenti per lo più in artiglieri, e Dhafar pascià aveva dato il comando di prepararsi per mettersi in viaggio onde raggiungere l’esercito comandato dai pascià Hicks e Aladin.

Nel momento che maggiore era l’animazione, un uomo avvolto accuratamente in un gran taub alla beduina che gli lasciava scoperti solamente gli occhi, entrava nel campo, senza essere quasi visto.

Lo sconosciuto si fermò un momento dietro ad un gruppo di cammelli inginocchiati che aspettavano il carico, guardò con grande attenzione qua e là come cercasse qualche volto di sua conoscenza, poi tirò innanzi con passo quasi furtivo, oltrepassò in furia le tende degli ufficiali e dello stato maggiore coprendosi col taub persino il capo e s’arrestò dinanzi alla tenda di Dhafar pascià sulla cui cima ondeggiava la bandiera egiziana.

— Alto là! gli intimò la sentinella che vegliava dinanzi l’entrata.

Lo sconosciuto mostrò il suo volto e fece volare in aria un tallero. La sentinella si tirò prestamente da un lato presentandogli l’arma non senza un gesto di sorpresa e di terrore.

— Non aver paura che non sono uno spettro, disse lo sconosciuto, sorridendo. Quando parte il grosso della truppa?

— Fra due ore, rispose la sentinella.

— Con chi è Dhafar pascià?

— Coi suoi aiutanti di campo.

— Va a dirgli ch’io debbo parlargli immediatamente ma che desidero sia solo.

La sentinella chiamò un compagno, gli consegnò il fucile ed entrò precipitosamente nella tenda. Poco dopo uscì seguito da tre aiutanti di campo.

— Vi aspetta, diss’egli.

Lo sconosciuto entrò e trovò Dhafar pascià in piedi dinanzi ad un tavolino ingombro di carte geografiche.

Il pascià retrocesse vivamente, quando lo sconosciuto lasciò cadere a terra il taub.

— Notis! esclamò egli con terrore. Non è possibile!

— Sì, sono Notis, Dhafar pascià, rispose il greco. Quel Notis che tutti credevano morto nelle foreste del Bahr-el-Abiad

— Ma come mai siete vivo?… M’avevano narrato che Abd-el-Kerim vi aveva cacciato la scimitarra attraverso il corpo e che eravate caduto in uno stagno profondissimo.

— È vero, disse Notis, ma i greci hanno l’anima incavigliata.

— Non capisco come siate risorto.

— È facilissimo, pascià! Quando Abd-el-Kerim mi lasciò nello stagno, non ero ancora spirato. Un beduino, passando poco dopo per la foresta, udì i miei gemiti e mi raccolse. Languii più giorni nella sua tenda ma finalmente guarii ed ora ritorno al campo.

— Per riprendere il comando della vostra compagnia?

— Niente affatto, Ecco qui una lettera firmata dal mudir di Chartum il quale mi concede il congedo di due anni; mia sorella me la recò tre giorni or sono.

— Ah! fe’ Dhafar sorpreso. È qui vostra sorella Elenka?

— No, è accampata alle ruine di El-Garch.

— E allora che volete da me? chiese il pascià dopo di aver letta la lettera che Notis gli porgeva.

— Siamo perfettamente soli?

— Assolutamente soli.

— Dhafar pascià, disse Notis gravemente, nelle vostre file avete una spia di quel cane di Mahdi.

— Nelle mie file, esclamò il pascià. Chi può essere mai?

— Una donna che fu la favorita del Mahdi e che ora divenne l’amante di Abd-el-Kerim.

— Fathma!

— Sì, proprio l’almea Fathma, mandata qui dal suo signore per tradirvi tutti quanti e farvi uccidere prima che abbiate a raggiungere l’armata d’Hicks pascià.

— È forse una rivincita che tentate contro Abd-el-Kerim?

— Non mi curo più di quell’arabo. Lo disprezzo e ciò per me basta.

— Ma sapete che se è vero quello che asserite Fathma è perduta?

— Che farete di quella donna? chiese Notis la cui voce tremavagli leggermente.

— La faccio fucilare subito.

Il greco impallidì ma non fece nessun motto che tradisse la violenta emozione che agitavalo. Comprese subito che era andato troppo innanzi e che correva rischio di perdere per sempre Fathma, ma non si scoraggiò.

— Se la fate fucilare, è una grande disgrazia, disse.

— Perchè mai? I ribelli non meritano compassione, anzi nemmeno quartiere.

— Io, se fossi in voi, la manderei a Chartum e ve la terrei come ostaggio. Il Mahdi l’ama, e potrebbe servirsi per scambiarla contro qualche personaggio importante che avesse la sfortuna di cadere nelle mani dei ribelli.

— Confesso che voi ne sapete più di me, ma chi mi assicura che essa fu la favorita del Mahdi? L’accusa è gravissima.

— Lo assicurerà un dongolese che la vide più volte a El-Obeid.

— Dove si trova quest’uomo?

Il greco uscì dalla tenda e mandò un fischio stridulo, poi sparò in aria un colpo di pistola. Tosto si vide accorrere verso il campo un selvaggio seminudo, armato di una lunga lancia; in poco tempo giunse alla tenda e fu condotto alla presenza del pascià.

— Tu sei dongolese, non è vero? chiese Dhafar, guardandolo con curiosità.

— Si, padrone, rispose il negro,

— Da dove vieni?

— Da El-Obeid dove accampava il ribelle Mohamed Ahmed.

— Conosci tu Fathma?

— Sì, era la favorita del Mahdi, La vidi più volte a El-Obeid.

— Basta, così, puoi andartene

Il negro se ne andò dopo d’aver scambiato un rapido sguardo col greco.

— Che fate ora? chiese Notis dopo qualche istante di silenzio.

— Faccio arrestare Fathma e condurre sotto buona scorta a Chartum.

— Ma Abd-el-Kerim la seguirà, innamorato come è, e potrebbe corrompere la scorta e liberare la prigioniera.

— Lo so, ma Abd-el-Kerim lo terrò al campo.

— Ho anzi qui una lettera del governatore di Chartum, il quale vi impone di condurre con voi Abd-el-Kerim ricorrendo, qualora vi fosse bisogno, alla forza.

— Come mai al governatore saltò in capo di obbligarmi a fare questo? chiese Dhafar, leggendo la seconda lettera che il greco aveva levata dalla saccoccia.

— L’ignoro, ma probabilmente deve esserci il suo perchè.

Dhafar guardò fissamente Notis e scosse il capo.

— A chi affiderete il comando della scorta? incalzò il tenente.

— Ad uno dei miei aiutanti di campo.

— E perchè no a me?

Un risolino malizioso apparve sulle labbra del pascià.

— Perchè potreste fare quello che farebbe Abd-el-Kerim. Mi dissero che la causa del duello fu una donna e questa donna è precisamente la stessa che voi accusate. Basta così, ubbidisco e voi ubbidite.

Il greco a mala pena frenò un motto di dispetto Dhafar pascià battè tre volte le mani nel momento istesso che al di fuori echeggiavano le trombe e rullavano i tamburi.

Un aiutante di campo accorse.

— Prendete con voi dieci uomini, gli disse il pascià, e andate ad arrestare Fathma. Viva o morta la condurrete qui.

L’aiutante di campo s’inchinò, uscì e chiamò dieci soldati, ai quali fece caricare le armi e inastare le daghe. Stava per dare il comando di marciare quando fu raggiunto dal greco Notis.

— Kebir, diss’egli, facendogli scivolare in una saccoccia una borsa ricolma di talleri. Guai a te se torci un capello all’almea.

— Non temere di nulla, Notis, rispose l’aiutante. Ti comprendo di volo.

— Va ora, e sta attento ad Abd-el-Kerim.

L’aiutante si pose in cammino seguito dai dieci soldati e ad una certa distanza dal greco che s’era tutto coperto col taub. Attraversarono il campo nel quale si ordinavano le compagnie e giunsero alla casupola di Fathma nel momento che l’almea appariva alla porta accompagnata da Abd-el-Kerim e dal capitano Hassarn.

— Alto là! intimò Kebir, sguainando la scimitarra.

Alla vista dell’aiutante di campo di Dhafar pascià colla scimitarra in mano e dei dieci soldati colle baionette in canna, un brivido di terrore era passato per le ossa di Fathma e di Abd-el-Kerim. Essi s’arrestarono, guardandosi in viso con ansietà e con meraviglia, non sapendo spiegare il perchè di quella presenza di soldati armati.

— Che significa ciò? chiese l’arabo con stupore.

— Ho l’ordine d’arrestare uno di voi, rispose Kebir.

— Uno di noi? esclamarono tutti e tre ad un tempo.

— Fathma, disse l’aiutante ponendole una mano sulla spalla, in nome di Dhafar pascià io ti arresto!…

Un grido d’orrore e d’angoscia sfuggì dalle labbra dell’almea.

— Io arrestata! balbettò la poveretta… Io… io!…

— È impossibile! gridò Abd-el-Kerim, dando indietro.

— Qui c’è uno sbaglio, disse Hassarn. Tu vuoi scherzare, Kebir.

— Ti dico io, Hassarn, che ebbi l’ordine d’arrestare l’almea Fathma, replicò l’aiutante di campo.

— Ma di che sono accusata?… Non ho fatto male a nessuno, io.

— Ignoro perfettamente il motivo.

— Kebir, disse Abd-el-Kerim con voce rauca. Non ischerzare, o per Allàh io ti spacco il cranio.

— Io obbedisco e nulla di più. Dhafar pascià ti dirà il perchè fece arrestare la tua amante. Orsù, spicciamoci che si sta per partire.

— Ma io non sono colpevole! esclamò Fathma che tremava come fosse assalita da violentissima febbre. Abd-el-Kerim, oh! io ho paura, non voglio venire, non ho fatto nulla per venire arrestata, salvami.

— Coraggio, Fathma, disse l’arabo, cingendola con ambe le braccia. Non temere di nulla che siamo qui noi a difenderti, Dhafar pascià non può essersi che ingannato, vieni con noi senza tremare. Io e Hassarn siamo abbastanza potenti per disperdere un’accusa, se questa vi sarà.

I soldati li avevano circondati tutti e tre. Abd-el-Kerim passò il suo braccio sotto quello di Fathma e il drappello si mosse verso il campo.

— Fathma, disse l’arabo. Fatti coraggio.

L’almea era pallidissima e camminava a gran pena appoggiandosi o meglio abbandonandosi al braccio del fidanzato.

— Ho paura, mio povero Abd-el-Kerim, diss’ella con voce fioca.

«Ho dei sinistri presentimenti che invano cerco di scacciare, dei presentimenti che mi straziano il cuore e che me lo fanno sanguinare. Se io venissi realmente arrestata? O Dio, qual terribile pensiero!»

— Ci siamo noi e non ti abbandoneremo mai, disse Hassarn.

— Non so, continuò l’almea, ma ho paura che qualcuno ci attraversi ancora la via, che qualcuno cerchi ancora di separarci.

— Ma chi mai? chiese Abd-el-Kerim che nondimeno sentivasi agitato da vaghi timori. Nè Notis, nè Elenka ardivano mostrarsi al campo, e poi, per che fare? Di che accusarti?

— Che ne so io? Sono sì mostruosi quel fratello e quella sorella!

— Guai a loro se avessero ad accusarti dinanzi a Dhafar pascià.

Quando giunsero al campo il piccolo esercito ne usciva, fra uno squillar acuto di trombe, un rullare fragoroso di tamburi e gli evviva della popolazione d’Hossanieh, accorsa in massa a vederlo partire. I fanti marciavano in testa coi fucili in ispalla e le bandiere spiegate, i basci-bozuk caracollavano superbamente ai fianchi, colle scimitarre in pugno, che brillavano ai raggi del sole equatoriale e l’artiglieria veniva dietro spalleggiata da una moltitudine di mahari, di cammelli, d’asini e di cavalli carichi di viveri, di munizioni e persino d’armi.

Dhafar pascià appoggiato alla sua scimitarra, con una sigaretta fra le labbra, circondato dal suo stato maggiore che teneva un piede nelle staffe degli ardenti corsieri, assisteva impassibile allo sfilamento.

Abd-el-Kerim fu il primo a presentarsi dinanzi a lui.

— Dhafar pascià, gli disse, piantandoglisi dinanzi con aria tutt’altro che rispettosa. Che scherzo avete voluto farmi?

Il pascià a quella domanda direttagli bruscamente e con tono quasi di minaccia, si volse colla fronte alquanto aggrottata.

— Ah! sei tu, Abd-el-Kerim! esclamò. Credeva che tu arrivassi tardi.

— No, arrivo in tempo, ma per chiedervi che scherzo m’avete fatto. Chi vi suggerì l’idea di far arrestare Fathma? Di che la si accusa?

— Sei innamorato di quella donna!

— Tutti lo sanno.

— Credi a me, dimenticala. Essa è una spia.

— Spia! spia! esclamò Fathma, facendosi innanzi coll’ira negli occhi. Mi accusi di essere una spia!

— Voi siete stato ingannato, Dhafar pascià, disse Abd-el-Kerim con violenza. Come accusare questa donna di essere una spia?

— Chi ve lo disse? chiese Hassarn. Io rispondo di Fathma come di me stesso, Dhafar.

— Calma, calma amici, disse il pascià. Rispondi, Fathma. Non fosti tu a El Obeid la favorita del ribelle Mohamed Ahmed?

L’almea presa alla sprovveduta tremò tutta. Comprese subito l’abisso in cui stava per cadere e fece appello a tutto il suo coraggio per non perdersi.

— No, diss’ella risolutamente. Non conobbi mai il falso profeta.

— Oh! esclamò il pascià. Tu menti, te l’assicuro, tu menti!

— No, te lo ripeto pascià, non conobbi mai il Mahdi.

— Giuralo.

L’almea impallidì e si tacque, ma vide gli sguardi penetranti di Abd-el-Kerim fissi nei suoi come per incoraggiarla e non esitò più.

— Lo giuro sul Corano, diss’ella, alzando la destra.

Abd-el-Kerim e Hassarn respirarono. Credettero che fosse salva, ma questa speranza durò un lampo. S’udì il lamentevole urlo dello sciacallo e subito dopo un selvaggio fendè il cerchio formato dallo stato maggiore. Era il dongolese che Notis aveva presentato a Dhafar pascià. Egli camminò dritto verso l’almea e toccandole con un dito il seno le gridò:

— Spergiura!

S’udì un mormorio di sorpresa. Gli ufficiali si strinsero vieppiù attorno a quel gruppo ansiosi di vedere come la sarebbe finita.

— Spergiura! ripetè il dongolese.

Abd-el-Kerim fece un salto innanzi colla faccia alterata e le mani sulla guardia della scimitarra.

— Chi sei? gli chiese con voce arrangolata.

— Un dongolese che militò sotto le bandiere del Mahdi e che poi disertò per passare sotto quelle di Yossif pascià. Sono un superstite della strage di Kadir.

— E tu dici?…

— Che quella donna mente.

— Io! esclamò la povera almea, che perdeva il suo sangue freddo.

— Sì! tu menti, ripetè il dongolese con maggior forza. Io ti vidi a El-Obeid quando tu eri la favorita del Mahdi!

Fathma mandò un grido terribile e tentò gettarsi sul dongolese, ma i soldati l’afferrarono pei polsi. Abd-el-Kerim mise mano alla scimitarra.

— Miserabile! urlò egli.

Gli ufficiali però lo disarmarono, trascinandolo via come pure disarmarono il capitano Hassarn che aveva puntata una pistola sul delatore.

— Arrestate quella donna, disse Dhafar pascià, e conducetela a Chartum.

— Non fatelo! Non fatelo!… urlò Abd-el-Kerim che fuori di sè dibattevasi disperatamente fra gli ufficiali.

— Arrestate quella donna, e trascinatela via, replicò Dhafar imperiosamente.

I soldati afferrarono l’almea e la portarono via malgrado le strazianti sue grida e i suoi sforzi sovrumani.

— Aiuto, Abd-el-Kerim, aiuto, Hassarn, ripeteva la poveretta.

L’arabo cercò di correre in suo aiuto seco trascinando gli ufficiali ma si fermò dinanzi al pascià che, tratto dalla cintura un revolver, lo toglieva di mira.

— Se tu la segui io ti ammazzo, gli disse Dhafar.

— Lasciami andare che io diserto la mia bandiera, lascia che io segua colei che amo più della mia vita, urlò Abd-el-Kerim, che pareva un pazzo. Degradami se vuoi ma lascia che io vada con lei a Chartum, che io la protegga, che io la discolpi.

— Abd-el-Kerim, ho ordini formali del governatore di Chartum di condurti meco e io ti condurrò al sud.

Ad un suo cenno dodici o quindici neri s’impadronirono dello sventurato arabo, lo rovesciarono, lo legarono saldamente e lo trascinarono a viva forza. Hassarn che aveva sguainata la scimitarra, circondato da ogni lato, fu costretto ad abbandonare ogni difesa e a lasciarsi arrestare.

— A cavallo, comandò il pascià.

Lo stato maggiore salì in sella e si affrettò a raggiungere il piccolo esercito che si dirigeva verso i monti Kaid. Nel medesimo istante echeggiò un gran scroscio di risa beffarde e il greco Notis apparve.

Egli tese le mani l’una verso il sud dove veniva trascinato Abd-el-Kerim e l’altra verso il nord dove veniva trascinata Fathma.

— Io al nord ed Elenka al sud, diss’egli. I greci hanno vinto gli arabi.

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