Capitolo XIV – La caccia all’Almea

L’esercito egiziano era ormai scomparso dietro le colline quando il greco lasciò il campo.

Egli raggiunse il villaggio d’Hossanieh, ben avvolto nel taub, attraversò rapidamente quel laberinto di viuzze ingombre di cammelli carichi per lo più di gomma o di durah e guadagnò un’altura sulla quale il dongolese che aveva accusata l’almea, canterellava dei versetti dell’Alcorano.

— Ah! sei qui, disse il greco. Ti ringrazio innanzi a tutto del servigio che hai reso alla favorita del Mahdi.

— Ringraziate vostra sorella che mi diede l’imbeccata, rispose il dongolese. Bisogna proprio dire che è una gran furba.

— È greca e ciò basta. Hai veduto alcuno?

— Fit Debbeud e i suoi sono nascosti a cinquecento passi da qui e non attendono che il segnale per venire.

— Non perdiamo tempo allora.

Trasse una pistola e la sparò in aria; una detonazione analoga facevasi udire pochi secondi dopo.

Quasi subito una banda di mahari uscì da un macchione di palme deleb e si diresse a tutta corsa verso l’altura. In testa cavalcava Fit Debbeud, riconoscibile pel suo fez rosso e le bardature lucenti del suo cammello, e al suo fianco cavalcava, Elenka colla carabina in mano e la lunga capigliatura, cosparsa di monete d’oro, sciolta al vento.

Giunti ai piedi del colle lo sceicco e la greca discesero di sella e raggiunsero Notis che aveva acceso pacificamente il suo scibouk.

— Ebbene, fratello, chiese Elenka con voce un po’ alterata e pigliandogli una mano.

— Tutto è andato bene, rispose Notis.

— Ah!.. esclamò la greca con gioia feroce. I Greci hanno battuto gli Arabi.

— Si, sorella, i Greci hanno vinto gli Arabi.

— Fathma adunque?…

— È condotta prigioniera a Chartum.

— E lui?…

— E lui segue l’esercito.

— L’ha abbandonata forse?…

— Oibò! Abd-el-Kerim è più innamorato di prima.

Sulla nivea fronte della greca si disegnò una profonda ruga.

— Ancora, diss’ella con dispetto. Come è avvenuta la separazione?

— Furono separati colla forza e poco mancò che Dhafar pascià non uccidesse l’arabo con un colpo di revolver. Il maledetto aveva tratta la scimitarra per accorrere in aiuto di Fathma.

— E che facciamo ora?

— Io vado dietro l’almea e tu ad Abd-el-Kerim; questo è quello che ci rimane a fare.

— Ma se Abd-el-Kerim è così fortemente innamorato di Fathma, alla prima occasione diserterà per raggiungerla.

— Ecco quello che tu dovrai impedire. Dhafar pascià ti darà man forte per trattenerlo al campo.

— Ho paura di non riuscire nel mio intento, Notis. Se ama tanto l’almea giammai acconsentirà a diventare mio fidanzato dopo quel che feci.

— Bah? fe’ il greco, alzando le spalle. Il tempo cicatrizza le ferite e cicatrizzerà anche quella di Abd-el-Kerim. Seguilo, mostrati premurosa e sottomessa a lui, salvalo quando puoi salvarlo e affascinalo appena che lo potrai fare senza pericolo. Hai il tuo mahari, armi e argento, unisco a tutto ciò il mio schiavo Takir onde ti protegga: va con Dio!

— E tu!

— Io vado dietro a Fathma, la raggiungo, sbaraglio la sua scorta e me la porto a Quetêna oppure in qualche altra città, forse a Chartum.

— Sicchè forse non ci rivedremo più.

— Chi sa? Se Dio lo vuole! Del resto non c’è altra scappatoia: o andare o restare, che equivale a vincere o perdere. Scegli!

— Parto pel sud.

— Ed io parto pel nord.

Il greco prese Elenka per mano e scesero la collina seguiti dallo sceicco che non apriva bocca.

— Va, sorella, che il tempo stringe e sii forte e prudente, disse Notis, quando giunsero al piano.

— È per me doloroso separarci per sempre, fratello.

— Dio lo vuole.

Elenka salì sul suo mahari, dopo aver abbracciato il fratello; gli strinse un’ultima volta la mano e partì rapidamente accompagnata dal nubiano. Tre volte volse la testa indietro salutando col fazzoletto…. poi sparve in mezzo ai campi di durah e alle foreste di tamarindi.

— Povera sorella, mormorò Notis sospirando. Ho il presentimento di non rivederla più mai!

Egli rimase lì colle braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso verso il luogo ove era scomparsa Elenka. Lo sceicco lo trasse da quei tetri pensieri battendogli sulle spalle.

— Non bisogna stare qui troppo, gli disse.

— Hai ragione, Fit Debbeud, rispose il greco.

— Che via prendiamo?

— Quella di Chartum. Prima che il sole tramonti bisogna che Fathma sia in mia mano.

— E colla scorta, come si farà?

— Adopereremo le nostre armi e li uccideremo dal primo all’ultimo.

— Quando è così, siamo tutti pronti. In sella compagni!

Il drappello si mise in marcia senza troppo affrettarsi, volendo raggiungere la scorta in sulla sera, nel momento che accampava, onde impedirle che potesse salvarsi colla fuga. Notis aveva sommo interesse che nessuno sopravvivesse, onde evitare che si recassero a Chartum a denunciarlo e quindi a perderlo.

Passato Hossanieh essi s’inoltrarono nelle vaste pianure del nord adorne di cespugli, di gruppi di palme e di grandi zone di papaveri alti più di un metro e carichi di capsule grosse come uova di gallina nel cui interno, non di rado, contengono più di trentaduemila semi, e abbelliti da grandi fiori bianchi, rossi, rosei, violetti e più spesso screziati.

Notis e lo sceicco si misero alla testa, ritti in sulla gobba degli animali onde abbracciare maggior orizzonte e gli altri si misero a loro dietro in lunga fila, colle lancie gettate a bandoliera e i moschettoni e gli jatagan in mano.

— Credi che abbiamo fatto molta strada? chiese Notis dopo qualche tempo.

— Dalle traccie lasciate sul suolo arguisco che i loro mahari andavano di corsa, rispose Fit Debbeud. Credo non ingannarmi se dico che siamo lontani da loro un cinque o sei miglia.

— Dove ti sembra che si dirigano queste traccie?

— Per ora si mantengono diritte ai monti Arab Mussa, ma sono sicuro che non tarderanno a piegare verso il Bahr-el-Abiad.

— Credi tu che si rechino a Chartum pel fiume?

— Sì, vi andranno pel fiume. Tu sai che vi sono delle bande d’insorti disperse per le Gemaije che vivono di saccheggio e che trafficano in carne umana. Gli Egiziani s’imbarcheranno, se non a Mahawir, almeno a Quetêna.

— Non bisogna lasciare loro il tempo di giungere al fiume, disse Notis.

— Non avere paura, padrone; questa notte accamperemo nella pianura.

— Bisogna che noi li circondiamo per bene se vogliamo ammazzarli tutti quanti. Fathma cadrà in mia mano e allora sfido Allàh a portarmela via.

Non bestemmiare, disse lo sceicco sorridendo. E quando l’avrai, ritornerai tu a Chartum? Non mi pare che sia cosa prudente.

— A Chartum vi andrò quando Fathma avrà dimenticato Abd-el-Kerim e che mi amerà. Se ve la conducessi prima sarebbe capace di tradirmi.

— Uhm! sarà difficile estirpare dal suo cuore l’amore che aveva pel tuo rivale. Questo arabe, quando amano, rimangono fedeli fino all’ultimo respiro.

— Ti ricordi quello che ho detto poco fa a mia sorella?

— A proposito di che?

— Le dissi che il tempo cicatrizza le ferite e che cicatrizzerà anche quella di Abd-el-Kerim. Così il tempo guarirà quella di Fathma. Non ho fretta, sono paziente e aspetterò che nel cuore di quell’almea si apra un’altra breccia.

— E se non s’aprisse?

— L’aprirò colla forza rispose Notis risolutamente. Ogni resistenza sarà vana dinanzi al mio amore che ormai è diventato gigantesco, impossibile a domarsi e più impossibile ad estinguersi.

— Sta bene; e tua sorella Elenka riescirà ad affascinare quell’arabo dell’inferno?

Il greco sospirò più volte, crollando il capo, e sul suo volto passò un’ombra malinconica.

— Ho paura che mia sorella non ritorni mai più dal Sudan, mormorò egli. Ho un brutto presentimento radicato fortemente nel cuore. Povera Elenka! Povera mia sorella!

— Nessuno può vedere tua sorella senza fremere, senza sentirsi toccare il cuore, disse lo sceicco. Se Abd-al-Kerim non l’ha dimenticata del tutto, ho la certezza che tornerà ad amarla.

— E credi tu che per questo sia salva? Il Sudan è tutto insorto e non dò un tallero di tutti gli Egiziani che hanno i pascià Hicks e Aladin. Il Mahdi è troppo possente per venire schiacciato.

— Tua sorella è forte, Notis, più forte di una delle nostre donne, anzi più forte di un beduino. Eppoi, non si uccide una donna bella come lo è lei. Sono sicuro che se i ribelli vincono gli Egiziani, la risparmieranno, forse per darla al Mahdi.

— Allora sarà perduta.

— Chi sa, potrebbe diventare una favorita e tu sai quanto sono possenti le favorite.

Notis curvò il capo sul petto e si immerse in dolorose meditazioni, dimenticando persino l’almea. Lo sceicco si spinse innanzi collo sguardo fisso ora all’orizzonte e ora a terra dove vedevansi le traccie fresche della scorta, mettendosi a recitare i versetti del Corano.

Tutto il giorno la piccola carovana camminò ora al passo e ora al trotto, sempre dietro alle traccie che mantenevano una linea rigorosamente dritta in direzione di Quetêna, villaggio situato sulla riva destra del Bahr-el-Abiad.

Era quasi sera, quando lo sceicco che si alzava di frequente sulla gobba del mahari, scorse in distanza un gruppo di cammelli montati da uomini armati. Riconobbe subito la scorta che conduceva Fathma.

— Alto là! diss’egli, alzando una mano verso i suoi uomini. Gli abbiamo raggiunti, Notis.

Il greco trasalì e si alzò in piedi sul collo del mahari. Egli potè distinguere i dieci egiziani e il loro caporale, che facevano corona a due cammelli portanti una specie di angareb sul quale scorgevasi qualche cosa di bianco che il venticello della sera alzava e abbassava a capriccio.

— La vedi l’almea? gli chiese lo sceicco.

— Sì, rispose Notis che tremava per l’emozione. Essa è stesa su quell’angareb, forse malata.

— Probabilmente prostrata di forze, disse Fit Debbeud. Tanto meglio per noi; la faremo prigioniera senza che opponga resistenza.

— Dobbiamo seguirli o arrestarci qui?

— Se li seguiamo così possono scoprirci e allarmarsi: ci conviene lasciare qui i mahari e seguirli a piedi. Non faremo tanta strada, lo vedrai, poichè le tenebre stanno per calare e tu sai che di notte, ora che il Sudan è sollevato a rivolta, nessuno si arrischia a viaggiare. Guarda che essi si dirigono verso quelle colline, probabilmente per accampare là presso.

Ad un suo comando i beduini smontarono e i cammelli vennero radunati in cerchio e legati gli uni cogli altri. Un uomo fu lasciato a guardia di loro e gli altri si misero in cammino rassentando i gruppi di bauinie, ora raddoppiando il passo e ora rallentandolo e nascondendosi quando qualcuno della scorta volgeva il capo indietro.

Dopo un’ora gli egiziani fecero alto su di una piccola elevazione del terreno, nelle vicinanze di un fiumicello che scaricasi nel Bahr-el-Abiad poche miglia sotto Quetêna.

Alzarono le tende, accesero i fuochi della notte per allontanare le zanzare e le bestie feroci, condussero i cammelli a dissetarsi, poi si sedettero all’aperto aspettando il pasto. I beduini si arrestarono sdraiandosi fra le erbe.

— Che nessuno si muova finchè non lo comando, disse Notis.

Egli, in compagnia dello sceicco, strisciò fino ad una collina isolata e guardò attentamente all’ingiro.

Il paese era deserto e il luogo era propizio per tentare l’assalto dell’accampamento egiziano. Non si vedevano che gruppi di alberi e cespugli folti; non un tugul che indicasse la presenza di qualche baggàra1 o di qualche maazi2; nemmeno un zeribak nel cui interno potesse celarsi qualche essere umano. Erano proprio soli, senza testimoni di sorta.

— Possiamo marciare innanzi, disse Notis. Il primo colpo di fucile è destinato a quella sentinella che veglia ai piedi del rialzo e il secondo al caporale. Ucciso il comandante, gli egiziani si lascieranno scannare come montoni.

— Lascia fare a me, disse lo sceicco. Abbiamo dei mahari e delle armi da guadagnare. Spicciamoci, padrone.

Scesero di corsa il pendìo, fecero levare i beduini e diedero il segnale di avanzare colla massima prudenza. Il loro progetto era di irrompere improvvisamente sull’accampamento, di circondare gli egiziani e di sgozzarli prima che potessero riaversi dalla sorpresa e dallo spavento.

I cinquecento passi che li separavano dall’accampamento li percorsero senza venire scoperti. Essi sostarono dietro ad una macchia colle armi in mano e gli occhi sanguinosamente fissi sui fuochi del campo.

— Dov’è Fathma? chiese lo sceicco con un filo di voce.

— Sotto quella tenda là, rispose Notis. Attenzione!

Alzò il remington e mirò la sentinella che fumava col scibouh appoggiata al tronco di un ambag. Una fragorosa detonazione ruppe il silenzio della notte accompagnata da un grido disperato.

— Allàh-el-gader! (Dio possente!) esclamò la sentinella e cadde a terra con una palla in fronte.

— Avanti! tuonò lo sceicco coll’jatagan in mano.

I beduini si slanciarono innanzi come una banda di lupi affamati gettando urla selvagge e irruppero nell’accampamento colle lancie in resta.

Gli egiziani sorpresi dalla rapidità dell’assalto, non avevano avuto nemmeno il tempo di accorrere ai fucili legati in fascio. Sguainarono le daghe e cercarono di tener testa, ma sin dal primo urto quattro di essi caddero a terra passati da parte a parte.

Beduini ed egiziani si mescolarono azzuffandosi ferocemente, urlando ed urtandosi, menando disperatamente le mani, afferrandosi ed atterrandosi. Notis, incontratosi col caporale gli fece saltare le cervella, poi si gettò addosso alla tenda dove sapeva trovarsi Fathma. Proprio nell’istesso istante che vi giungeva vide dalla parte opposta uscire una bianca figura e fuggire a rompicollo giù per l’erta. La riconobbe subito.

— Aiuto! esclamò egli. Fathtma mi fugge!

Lo sceicco e sei o sette beduini accorsero a lui, mentre gli altri finivano a colpi di jatagan gli egiziani.

— Fermati, Fathma, intimò il greco rabbiosamente.

L’almea non volse nemmeno il capo indietro e raddoppiò la corsa andando or qua e or là come fosse smarrita o cieca. Il greco in pochi salti le fu vicino.

— Ira di Dio, fermati Fathma! rantolò egli.

L’almea si volse, fece un rapido movimento con una mano, traballò come percossa da una folgore, gettò uno straziante singulto e cadde di peso fra le erbe.

Il greco le si precipitò sopra, ma indietreggiò vivamente cogli occhi fuor dall’orbite, la faccia sconvolta, le mani nei capelli.

— Dio!… Dio!… urlò egli. È morta!…

L’almea s’era trafitta il cuore con un colpo di pugnale!

Fine della parte prima

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