Pochi minuti dopo, due colonne, formate ognuna di venti uomini scelti fra i migliori bersaglieri dell’equipaggio, scendevano tacitamente nel quadro e nella camera comune, trincerandosi dietro i mobili e le casse che erano state ammucchiate all’estremità delle corsie.
Come si può facilmente comprendere, il Corsaro Nero non aveva alcuna intenzione di sacrificarli in un nuovo attacco, specialmente contro forze più che doppie; dovevano fare una semplice dimostrazione per richiamare dalla loro parte l’attenzione degli spagnuoli. Il colpo decisivo doveva venire dato dalla parte del boccaporto maestro, attorno a cui si erano già radunati tutti gli altri filibustieri.
«Fate molto baccano sopratutto, – aveva detto il Corsaro.
Ed il baccano era cominciato subito con un crescendo formidabile, assordante. I due drappelli, appena appostatisi, avevano subito aperto il fuoco contro le barricate spagnuole, fra urla tremende, per far credere che si incoraggiavano per un assalto generale.
Gli spagnuoli avevano subito risposto vivamente, facendo tuonare i pezzi che avevano collocati in mezzo al frapponte. L’effetto di quelle scariche a così breve distanza era stato disastroso per la nave.
Le palle e la mitraglia fracassarono in pochi momenti le tramezze, massacrando i mobili del quadro e della camera comune. Cadevano specchi, cristalli e porcellane con un rovinio assordante e precipitavano quadri e lampadari. I filibustieri, coricati al suolo, quantunque si sentissero piovere addosso tutti quei rottami, non si muovevano ed alle cannonate rispondevano colle archibugiate sparate però a casaccio, essendo ormai le corsie invase da un fumo denso, soffocante.
Ad un tratto il Corsaro Nero quando già il fumo cominciava ad irrompere attraverso le fessure del ponte, si volse verso i suoi uomini che rodevano il freno, impazienti di prender parte anche essi alla battaglia che si combatteva sotto i loro piedi, dicendo:
«Preparate le granate.»
«Sono pronte, signore,» rispose un quartier-mastro.
«Alzate il boccaporto e non fate risparmio di proiettili.»
Quattro marinai levarono le due sbarre di ferro ed il boccaporto fu aperto. Subito una fitta nube di fumo bianco sfuggì, alzandosi verso i pennoni dell’albero maestro. Al di sotto di quella nuvolaglia si vedevano guizzare lampi e si udivano assordanti detonazioni. Erano i pezzi delle batterie che tuonavano demolendo e fracassando le due estremità della nave.
Senza attendere che il fumo si dissipasse, i marinai si diedero a lanciare granate nel frapponte, e specialmente là dove vedevano fiammeggiare i pezzi d’artiglieria.
Gli spagnuoli dapprima non si erano accorti dell’apertura del boccaporto in causa del densissimo fumo che circolava nel frapponte, ma quando udirono lo scoppio delle granate e videro cadere al suolo, fulminati dalle schegge di quei proiettili mortali, parecchi camerati, abbandonarono precipitosamente le artiglierie, correndo all’impazzata attraverso la batteria.
Quell’inaspettato attacco aveva ormai provocato un panico gravissimo fra le loro file. Anche i più animosi avevano abbandonati i loro posti malgrado le grida dei pochi ufficiali sfuggiti alla strage ed i sagrati dei mastri e dei sott’ufficiali. I filibustieri intanto non si erano arrestati. Mentre i due drappelli del quadro e della camera comune continuavano le loro scariche spargendo maggior terrore e confusione, quelli della coperta scagliavano granate in tutte le direzioni, col pericolo di provocare un disastroso incendio.
In mezzo alle urla dei combattenti, alle grida dei feriti, agli scoppi delle granate ed al rombo delle scariche, si levò poderosa la voce del Corsaro Nero.
«Arrendetevi o vi stermineremo tutti!…»
«Basta!… Basta!…» urlarono cinquanta voci.
La pioggia di bombe cessò, come pure cessarono le scariche dei due drappelli nascosti nel cassero e nella camera comune.
Il Corsaro Nero si curvò sul boccaporto, ripetendo:
«Arrendetevi o vi stermineremo tutti!»
Una voce s’alzò in mezzo al fumo che ondeggiava nel frapponte:
«Deponiamo le armi.»
«Mi si mandi un parlamentario.»
Pochi istanti dopo un uomo saliva sul ponte. Era un ufficiale, l’unico superstite di tutto lo stato maggiore della grande nave. Quel disgraziato era pallido, commosso ed aveva le vesti a brani ed un braccio spezzato da una scheggia di granata.
Egli consegnò la sua spada al Corsaro Nero, dicendogli con voce semi-spenta: «Siamo stati vinti.»
Il signor di Ventimiglia respinse l’arma che gli veniva offerta, dicendo con nobiltà:
«Conservate la vostra spada per una migliore occasione, signor tenente. Voi siete un valoroso!»
«Grazie, cavaliere,» rispose lo spagnuolo. «Dal Corsaro Nero m’aspettavo una simile cortesia.»
«Sono un gentiluomo, signore.»
«Lo so, cavaliere. Ed ora cosa farete di noi?»
«Rimarrete prigionieri sulla mia nave fino al termine della nostra spedizione, poi vi sbarcheremo su qualche punto della costa messicana senza chiedere alcun riscatto.
«Voi dunque state per intraprendere una spedizione contro le nostre città del Messico?» chiese l’ufficiale, con doloroso stupore.
«A questa domanda non vi posso rispondere,» rispose il Corsaro. «È un segreto che non appartiene a me solo.»
Poi prendendolo per un braccio e conducendolo verso poppa, gli chiese con accento cupo:
«Voi conoscete il duca Wan Guld, è vero?»
«Sì, cavaliere.»
«Egli si trova a Vera-Cruz?»
Lo spagnuolo lo guardò in volto senza rispondere.
«Io vi ho donata la vita, mentre per diritto di guerra avrei potuto cacciarvi in mare assieme a tutti i vostri uomini ed alla vostra nave, potete quindi rendere ad un gentiluomo un così lieve favore.»
«Ebbene, sì, il duca si trova a Vera-Cruz,» rispose lo spagnuolo, dopo una breve esitazione.
«Grazie, signore,» rispose il Corsaro. «Sono lieto di essermi mostrato generoso verso di voi.»
L’ufficiale tornò verso il boccaporto e gridò:
«Deponete le armi: il cavaliere di Ventimiglia concede la vita a tutti!»
I due drappelli di filibustieri guidati da Morgan erano subito entrati nel frapponte per ricevere le armi.
Quale orribile spettacolo offriva l’interno della fregata! Dappertutto rottami fumanti, tavoloni sfondati, puntelli infranti, cannoni rovesciati, poi uomini orrendamente scarnati dalle schegge delle granate, o privi delle membra o della testa e dovunque sangue e frammenti di proiettili. Alcuni feriti si trascinavano per le corsie agitando le braccia orrendamente mutilate e sanguinanti e mandando lugubri gemiti.
In mezzo a quel caos, cinquanta spagnuoli, muti, pallidi, colle vesti a brani, attendevano i filibustieri. Tutti gli altri erano caduti sotto quella tremenda pioggia di granate.
Morgan ricevette le loro armi, comandò ad alcuni dei suoi d’incaricarsi dei feriti e condusse gli altri a bordo della Folgore facendoli rinchiudere nella stiva e mettendo alcune sentinelle alle porte.
Visitata la nave, s’avvide subito che non vi era più nulla da sperare da essa. Le scasse degli alberi erano state distrutte, i tronchi erano ormai carbonizzati, il quadro e la camera comune erano stati ridotti ad un ammasso di rottami e nella stiva si era sviluppato il fuoco il quale già prendeva proporzioni gravissime.
«Signore,» disse presentandosi al Corsaro Nero. «La fregata è perduta.»
Al primo colpo di vento l’alberatura rovinerà in coperta e per di più l’incendio guadagna rapidamente.
«Fate portare a bordo della nostra nave quanto può esserci utile, poi abbandoniamola al suo destino, – rispose il Corsaro. – Già per noi ci sarebbe stata più d’impiccio che d’utilità.
Il saccheggio della nave non diede grandi frutti, essendo le artiglierie rovinate. Armi e munizioni furono però imbarcate in gran numero a bordo della Folgore assieme alla cassa del capitano contenente ventimila piastre che furono divise fra l’equipaggio della filibustiera.
A mezzodì la Folgore si rimetteva alla vela, frettolosa di raggiungere le coste del Golfo del Messico. La fregata ormai ardeva con rapidità incredibile. Lingue di fuoco e densi nuvoloni di fumo sfuggivano attraverso gli sportelli delle batterie ed ai boccaporti minacciando l’alberatura.
Il catrame, liquefatto dal calore che si sprigionava sotto il ponte, scorreva per la tolda, colando in mare attraverso gli ombrinali.
«Peccato che una così bella nave se ne vada,» disse il Corsaro che guardava la fregata dall’alto del cassero della Folgore. « Avrebbe potuto rendere preziosi servigi alla filibusteria.»
«Andrà a picco?» chiese una voce dietro di lui e che aveva un accento terribile.
Il Corsaro si volse e vide la giovane indiana.
«Tu, Yara?» le disse.
«Sì, mio signore. Sono salita per assistere all’agonia di quella nave, che poco prima apparteneva agli uccisori di mio padre.»
«Quant’odio implacabile vedo scintillare nei tuoi occhi!» disse il Corsaro con un sorriso. «Il tuo odio è pari al mio.»
«Ma tu non odii questi spagnuoli, mio signore.»
«È vero, Yara.»
«Se li avessi vinti, io li avrei uccisi tutti,» disse la fanciulla con accento terribile.
«Hanno già perfino troppi nemici, Yara,» rispose il Corsaro. «Le atrocità che hanno commesso i primi conquistatori americani sono state in gran parte vendicate.»
«Sì, ma l’uomo che ha distrutto la mia tribù vive ancora.»
«Quell’uomo è già un moribondo,» disse il Corsaro con voce cupa. «Il destino lo ha già condannato.»
Si era poi appoggiato alla murata e guardava la fregata la quale ormai bruciava come un fastello di legna ben secca. Le fiamme, diventate giganti, s’alzavano fino ai contropappafichi, come una cortina immensa. Tutto ormai avevano avvolto: da prora a poppa era un mare di fuoco che si agitava burrascosamente.
Una nuvola immensa, nerissima, ondeggiava sopra la povera nave, come un enorme ombrello e dai suoi margini cadevano miriadi di scintille che il vento faceva volteggiare disordinatamente.
Ad un tratto una sorda detonazione rimbombò al largo. Un turbine di scintille, di legni ardenti, di rottami s’alzò sulla nave sibilando in aria, ricadendo in mare a grande distanza.
Qualche deposito di granate, sfuggito alle ricerche dei filibustieri, doveva essere scoppiato in fondo alla stiva.
L’esplosione, violentissima senza dubbio, aveva sfondati i fianchi della nave, già ormai carbonizzata e l’acqua si era precipitata attraverso quegli squarci.
«È finita,» disse il Corsaro, volgendosi verso Yara.
La fregata affondava a vista d’occhio, con un largo dondolìo. L’acqua ed il fuoco combattevano attorno al legno, facendo ribollire il mare. Nubi di vapore s’alzavano fischiando. Il vascello intanto continuava a sommergersi, inclinandosi sempre più a prora, mentre l’alta poppa s’innalzava. La campana del cassero, sotto le crescenti ondulazioni della nave, suonava cupamente come se annunciasse la prossima fine del grandioso galleggiante.
«Si direbbe che suona la rovina della marina spagnuola,» mormorò il Corsaro.
D’improvviso la prora del vascello, già piena d’acqua, s’immerse. La poppa mostrava già la chiglia. L’enorme massa, ritta quasi verticalmente, affondava rapida. Sparvero le grue di cappone, poi il troncone fiammeggiante ancora dell’albero maestro, quindi l’intera massa scomparve mandando in aria un’ultima nuvola di vapore ed un ultimo getto di scintille. Una muraglia liquida circolare, simile ad un gorgo immenso, si distese sul mare, perdendosi in lontananza.
Tutto era finito. Il poderoso vascello da guerra, mutilato prima dalle palle, semi-divorato poi dal fuoco e finalmente sventrato dall’esplosione, scendeva attraverso le limpide acque del Golfo, in fondo ai baratri paurosi.
Il Corsaro Nero s’era voltato verso Yara, la quale pareva che cercasse ancora, nel gorgo, di scoprire la nave affondante.
«Non è terribile tutto ciò?» le chiese.
«Sì, mio signore,» rispose la giovanetta, «ma io non sono ancora vendicata.»
«Lo sarai presto,» rispose il Corsaro, dirigendosi verso la scaletta che metteva sul ponte di comando, ove si trovava già Morgan.
Il luogotenente, che stava seduto su di una comoda sedia, scorgendo il Corsaro si era alzato, mostrandogli una carta del golfo.
«Dove dovrò sbarcarvi, cavaliere?» chiese. «Questa sera noi avvisteremo le coste del Messico.»
«Voi conoscete Vera-Cruz?»
«Sì, cavaliere.»
«Vi sono crociere?»
«Mi hanno detto che tutta la costa, fino a Tuxpam, è guardata onde coprire Jalapa da una possibile sorpresa.»
«Allora uno sbarco potrebbe riuscire difficile.»
«Dite impossibile, cavaliere. Appena sbarcato vi prenderebbero.»
«Cosa mi consigliereste di fare?»
«Scegliere un luogo deserto, sia pure lontano da Vera-Cruz e avanzarsi poi a piccole tappe vestiti da mulattieri o da cacciatori.»
«Conoscete un luogo ove lo sbarco possa effettuarsi senza pericolo di farci scoprire?»
«Vi consiglierei di sbarcare al sud di Tampico, nella vasta laguna di Tamiahua. Colà non vi sarà alcun posto di guardia, regnando la febbre gialla in quest’epoca.»
«La laguna è lontana da Vera-Cruz?»
«In quattro o cinque giorni di marcia, vi potreste arrivare e senza molta fretta.»
«Questo è vero, tanto più che la squadra non giungerà a Vera-Cruz prima di una diecina di giorni.»
«Sicchè?»
«Noi andremo alla laguna,» rispose il Corsaro, dopo qualche istante. «Non troverò grandi difficoltà a entrare in Vera-Cruz.»
Quattro ore dopo quel colloquio la Folgore, che aveva mantenuta la rotta verso il nord, onde passare molto al largo da Vera-Cruz, piegava ad occidente per accostarsi alle spiagge messicane.
Il Corsaro non abbandonò un solo momento il ponte di comando, volendo accertarsi coi propri occhi che nessun pericolo minacciava la sua nave. Fortunatamente durante quella corsa verso occidente, nessun punto luminoso, annunciante la vicinanza di qualche nave nemica, fu scorto sul fosco orizzonte. All’indomani la Folgore avvistava la lunghissima penisola che serve di barriera alla grande laguna di Tamiahua, la quale si prolunga fino a poche miglia da Tuxpam. Non essendo prudente accostarsi in pieno giorno, la Folgore riprese sollecitamente il largo, rimontando la penisola in direzione di Tampico. Per meglio ingannare le navi spagnuole che potevansi incontrare, il Corsaro aveva fatto ritirare parte dei cannoni, celare una buona metà dell’equipaggio e spiegare sulla poppa lo stendardo di Castiglia.
La spiaggia appariva deserta, però non del tutto arida. Di quando in quando dei folti boschi si vedevano delinearsi lungo la costa, formati per lo più da palme di splendido aspetto, e molte piante si vedevano pure in acqua, colle foglie però gialle e pendenti.
«Si direbbe che quella costa abbia subìto qualche improvvisa sommersione,» disse Morgan, che la esaminava con un cannocchiale. «Non ho mai veduto delle palme sorgere dal mare al pari delle alghe.»
«Queste spiagge vanno soggette a delle brusche modificazioni,» disse il Corsaro. «I terremoti abbassano sovente dei tratti considerevoli di coste, facendole sommergere.»
«Volete dire che fanno loro subire degli abbassamenti.»
«E talvolta anche degli innalzamenti, signor Morgan.»
«La cosa mi sembra molto strana.»
«Eppure, signor Morgan, non è solamente qui che simili cose avvengono. Anche moltissime coste dell’Europa, senza essere percosse dai terremoti ed anche lontane dai vulcani, subiscono degli alteramenti considerevoli di livello.
Non dico che quei sollevamenti od abbassamenti avvengano da un momento all’altro; anzi sono così lenti che occorrono dei secoli prima di accorgersene. Nella mia Italia, per esempio, in poche decine d’anni si sono potuti verificare dei dislivelli notevolissimi: specialmente in Sicilia ed in Calabria le coste tendono ad alzarsi, mentre invece nel Veneto si abbassano sempre.
«Devono però essere lentissimi questi dislivelli.»
«Sono così lievi da non doversi spaventare, signor Morgan. Le nostre terre del Veneto, per esempio, si abbassano in ragione di tre o quattro centimetri ogni anno, mentre le coste della Sicilia, hanno impiegato la bagatella di milleduecento anni per un sollevamento che va dai quattro ai sei metri.»
«Allora non vi è pericolo che certe regioni finiscano col sommergersi.»
«Immediato no, signor Morgan, però se l’abbassamento di certe terre dovesse continuare, è certo che fra molti secoli dovrebbero trovarsi sott’acqua.»
«E da che cosa derivano questi abbassamenti e questi sollevamenti?» chiese il luogotenente.
«I sollevamenti sono prodotti dai terremoti regionali, gli abbassamenti invece pare che si debbano attribuire a mutamenti chimici o molecolari delle masse rocciose, all’imbibizione o al prosciugamento di tali masse, o al scivolamento lento della parte superficiale, ed anche alla formazione di vuoti sotterranei dovuti alla eliminazione di materie solubili. Comunque sia però, noi non vedremo quelle coste a sommergersi, nè le altre a diventate tanto alte da sfidare le montagne. Signor Morgan, date ordine di portarci maggiormente al largo e di preparare la mia baleniera.»
«Chi verrà con noi, signore?»
«Carmaux, Wan Stiller, Moko e la giovane indiana.»
«Anche Yara!» esclamò Morgan, con stupore.
«Mi sarà più preziosa degli altri,» rispose il Corsaro, con un sorriso. «Conosce molte cose che i miei uomini ignorano.»
«Il posto dove si nasconde il vostro mortale nemico?»
«Sì, signor Morgan, il posto ove lo ucciderò,» rispose il Corsaro con voce cupa.
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