Le sei baleniere guidate da Morgan, appena abbandonata la Folgore, si erano portate al largo, muovendo lentamente verso la nave spagnuola.
La profonda oscurità favoriva quell’audace manovra poichè i nemici non potevano nemmeno sospettare la presenza di quella minuscola flottiglia navigante su quei flutti neri come l’inchiostro.
Allo scopo di non correre il pericolo di farsi urtare dall’una o dall’altra nave, cosa non improbabile, non avendo quei due velieri una rotta ben prefissa e che poteva di momento in momento modificarsi secondo le vicende del combattimento, dopo aver percorso un miglio, Morgan aveva dato il segnale di arrestarsi. La nave spagnuola non era lontana più di sette od ottocento metri, spazio brevissimo che quelle rapide baleniere potevano attraversare in pochi minuti.
Essendo il mare tranquillissimo, Morgan poteva udire distintamente i comandi che si davano a bordo della nave nemica, perciò aveva raccomandato ai suoi uomini il silenzio più profondo onde non tradire la loro presenza a così breve distanza.
La fregata, dopo l’inutile tentativo per prendere il largo e fuggire verso le coste del Messico, come già narrammo, aveva impegnata risolutamente la lotta, contando sulla supremazia delle proprie artiglierie e anche sul numero dei proprii uomini. I filibustieri avevano così assistito a quel primo duello d’artiglieria, più rumoroso che dannoso, non potendo i due avversarii scorgersi perfettamente, ma con quanta ansietà per quegli uomini di sangue caldo cresciuti in mezzo alle stragi, agli abbordaggi ed al rimbombo delle artiglierie!
Ad ogni scarica della Folgore balzavano in piedi, cogli archibugi in pugno, frenando a gran pena gli hurrà che stavano per irrompere, tremendi, dalle loro labbra. Ad ogni bordata della fregata spagnuola digrignavano i denti come fiere in gabbia, imprecando e minacciando colle armi e coi pugni.
«Andiamo, signor Morgan!…» si chiedeva su tutte le baleniere. «Non possiamo più frenarci.»
«Non ancora,» rispondeva con voce tranquilla il futuro conquistatore di Panama.
La battaglia intanto continuava con crescente furore d’ambe le parti. Dai sabordi delle due navi uscivano vampate e nuvoloni di fumo i quali alzandosi lentamente celavano le alberature ed i ponti.
Quando Morgan vide che la fregata era completamente avvolta dal fumo, diede il segnale di avanzare colla massima velocità, raccomandando di non far fuoco senza suo ordine.
Era il momento opportuno per tentare l’abbordaggio. Se gli spagnuoli non s’accorgevano della presenza di quella flottiglia, potevano considerarsi perduti.
«Avanti!…» ripeteva Morgan, il quale dirigeva la prima baleniera. «Tenetevi sempre sotto-vento così il fumo impedirà agli spagnuoli di vederci.»
Arrancando con gran lena, in pochi momenti la squadriglia giunse a pochi metri dalla nave, tuffandosi fra i nuvoloni di fumo che la brezza notturna spingeva sul mare.
Gli spagnuoli, occupati a rispondere alle incessanti bordate della Folgore, non si erano avveduti del gravissimo pericolo che li minacciava, tanto più che volgevano le spalle alla flottiglia.
Morgan accortosi di essere giunto sotto la nave, si era alzato di scatto colla spada in pugno. Colla sinistra s’aggrappò allo sportello d’un sabordo, poi con una spinta raggiunse una bancazza tenendosi stretto ad un paterazzo. I quattordici uomini della sua baleniera lo avevano seguito inerpicandosi come scimmie.
Già stavano per balzare sopra la murata quando un gabbiere della fregata che scendeva lungo le griselle li vide:
«All’armi!…» gridò. «Ci abbordano!…»
«Su, filibustieri!…» tuonò Morgan. «Fuoco quelli delle scialuppe!…»
Una scarica terribile accoglie gli spagnuoli gettandone a terra più di mezzi. Gli altri, spaventati e sorpresi da quell’inaspettato attacco, si ripiegano confusamente disperdendosi per la tolda.
«I filibustieri!… I filibustieri!…» si urla dappertutto.
Il comandante della fregata ha veduto il pericolo. Senza perdersi d’animo fa girare sui loro perni i due cannoni da caccia del cassero che erano già caricati a mitraglia e che stavano per infilare il ponte della Folgore:
«Fuoco sul babordo!…»
Un uragano di ferro e di piombo spazza la murata recidendo contemporaneamente paterazzi, sartie e bracci di manovra e fracassando due imbarcazioni che stavano sospese alle grue. Alcuni filibustieri che erano già a cavalcioni del capo di banda cadono in mare fulminati o storpiati, ma gli altri, punto atterriti, scavalcano rapidamente le murate e si scagliano sul ponte urlando spaventosamente.
Morgan, sfuggito miracolosamente alla mitraglia, è alla loro testa. Nella destra stringe la spada e colla sinistra impugna una pistola.
«A me filibustieri!» urla.
Gli uomini delle scialuppe scalano a loro volta la nave. Si aggrappano agli sportelli delle batterie, alle bancazze, alle sartie, ai paterazzi, alle grue e saltano sulle murate. Quindici o venti, i migliori bersaglieri, sono rimasti nelle baleniere e fanno scariche tremende verso il cassero e sul castello di prora, cercando di abbattere gli artiglieri addetti al servizio dei pezzi da caccia.
Gli spagnuoli, alle grida dei loro ufficiali, si radunano presso il cassero e presso il castello di prora e fanno impeto contro i filibustieri, però la loro posizione si manifesta subito pericolosissima poichè anche la Folgore si avanza per abbordarli dal lato opposto.
«Avanti!» urla Morgan che è sempre in prima fila.
L’urto è sanguinosissimo. Molti uomini cadono da una parte e dall’altra morti o feriti, ma il grosso non retrocede, anzi torna alla carica con maggior impeto. Dai boccaporti del frapponte salgono nuovi uomini. Gli artiglieri hanno abbandonati i loro pezzi, diventati ormai quasi inutili ed accorrono per ricacciare in mare i filibustieri di Morgan e per respingere l’imminente abbordaggio della Folgore.
Le urla dei feriti, gli spari dei moschetti e delle pistole, gli hurrà dei filibustieri, le grida di Viva España degli spagnuoli ed il rimbombo dei cannoni formano un baccano assordante, orribile.
Tutti gli uomini delle scialuppe sono già sulla tolda della fregata. Mentre i più valorosi fanno argine all’irrompere degli spagnuoli, disputando ferocemente il terreno palmo a palmo, gli altri salgono sulle sartie e di là aprono un fuoco di moschetteria tremendo che fa dei grandi vuoti fra il nemico quattro volte più numeroso.
La nave filibustiera, abilmente guidata, va a spingere il suo albero di bompresso fra le sartie del trinchetto della spagnuola, poi, spinta dal vento che fa pressione sulle rande, s’appoggia al bordo della nave avversaria con un cupo rimbombo. Il Corsaro Nero, abbandonata la ribolla del timone, balza in coperta colla spada in pugno, gridando con voce tuonante:
«A me, uomini del mare!»
I suoi filibustieri lo seguono correndo, pronti a farsi uccidere per il loro valoroso capo. Non ostante le scariche degli spagnuoli balzano sopra le murate urlando a tutta voce per sparger maggior terrore e per far credere di essere tre volte più numerosi, poi si precipitano sul campo della pugna come una banda di lupi affamati.
La terribile spada del Corsaro Nero apre un solco sanguinoso fra la massa dei combattenti. Nessuno può parare i colpi fulminei di quel pugno di ferro: i nemici cadono a destra ed a manca, morti o moribondi.
«Coraggio, miei prodi!» urla. «A me, Morgan!»
Gli spagnuoli presi fra due fuochi e sconcertati dalla rapidità di quell’assalto, esitano, poi cominciano a retrocedere parte verso poppa e parte verso prora. Il terrore che incutevano in quell’epoca i corsari della Tortue, reputati figli dell’inferno e perciò uomini invincibili, era tale che sovente gli spagnuoli si lasciavano trucidar senza resistenza, credendo inutile ogni tentativo di lotta. Non era quindi da stupirsi se anche l’equipaggio della fregata, dopo d’aver accettata la lotta e cercata la vittoria, cominciasse a sbandarsi dinanzi all’impeto tremendo degli avversarii.
Gli uomini di Morgan e quelli del Corsaro, riunitisi in mezzo alla tolda, fra gli alberi di trinchetto, di maestra e di mezzana, dopo un breve respiro, si slanciano nuovamente alla conquista delle due estremità della nave, mentre alcuni di loro si spingono fino alle coffe ed alle crocette, per scagliare granate in mezzo agli spagnuoli.
Alle intimazioni di resa, gli spagnuoli rispondono con scariche d’archibugi; però tutti comprendono che l’ultima ora sta per suonare pel grande stendardo di Spagna, che sventola ancora gloriosamente sopra il coronamento di poppa.
Già gran parte degli ufficiali della fregata sono caduti sotto l’infallibile tiro dei bucanieri di Morgan ed anche il comandante, dopo una eroica resistenza, è stramazzato alla base dell’albero di mezzana, spento dalla spada terribile del fiero Corsaro.
«Uno sforzo ancora,» si grida da tutte le parti.
Il Corsaro Nero attacca a fondo gli spagnuoli del cassero, deciso ad ammainare lo stendardo di Spagna. Nessuno osa affrontarlo, tanto è il terrore che ispira la sua formidabile spada. La sua sola presenza vale venti uomini. Gli spagnuoli battono in ritirata, prima ancora che i suoi uomini siano giunti dinanzi alle scale del cassero e fuggono nel quadro, mentre i loro camerati che difendevano la prora si riparano nella camera dell’equipaggio invadendo le corsie del frapponte e delle batterie.
Il Corsaro con un colpo di spada taglia il gherlino e lo stendardo di Spagna, trasportato dal vento, cade in mare, scomparendo sotto le onde del Golfo del Messico. Un hurrà immenso, che si ripercuote anche nella profondità della stiva, saluta quella caduta che segnala un nuovo trionfo per la filibusteria.
«È finita,» disse Morgan accostandosi al Corsaro, il quale contempla, con uno sguardo ripieno di cupa tristezza, i cadaveri che coprivano la tolda della fregata.
«Sì, ma quanto sangue!» mormorò il Corsaro con un sospiro. «È terribile dover uccidere uomini che non si odiano.»
«Noi vendichiamo le stragi commesse da Cortez, da Pizzarro e dai primi conquistatori sui poveri indiani dell’America, signore» risponde Morgan.
Il Corsaro crollò silenziosamente il capo, poi dopo alcuni istanti di silenzio disse:
«Sono ancora numerosi e non hanno gettate le loro armi.
«Una quarantina dei nostri sono già morti e altri quindici sono stati portati nell’infermeria.»
«Fortunatamente ne troveremo facilmente altrettanti anche senza tornare alla Tortue. Voi già sapete che tutti i filibustieri sono desiderosi d’imbarcarsi sulla vostra Folgore e che aspirano a combattere sotto i vostri ordini. Che decidete, cavaliere?»
«Cerchiamo d’evitare un nuovo spargimento di sangue.»
«Le vostre condizioni, cavaliere?»
«Salva la vita a tutti e nessun riscatto.»
Mentre il Corsaro Nero ed il suo luogotenente s’accordavano sul da farsi onde evitare una nuova e forse più sanguinosa battaglia, i filibustieri avevano occupate tutte le uscite del quadro e della camera comune di prora, onde impedire agli spagnuoli d’irrompere sulla tolda.
Questi dal canto loro avevano prese delle precauzioni per evitare una sorpresa da parte dei vincitori.
Avevano puntati alcuni cannoni verso la estremità delle corsie, poi avevano inalzate rapidamente delle trincee formate con botti piene di zavorra, con barili contenenti palle, con lastroni di piombo, con materassi e con pennoni ed attrezzi di ricambio.
Erano ancora un’ottantina e anche durante la precipitosa ritirata non avevano abbandonate le armi. A quanto pareva non avevano pel momento alcuna intenzione di arrendersi, fidando certamente nel loro numero e nelle loro artiglierie. Disgraziatamente non avevano ancora pensato che sopra di loro s’apriva il boccaporto maestro, dal quale i filibustieri potevano irrompere o cominciare un fuoco infernale. E su quel boccaporto il Corsaro Nero e Morgan avevano molto contato.
Il luogotenente si guardò bene, pel momento, di parlamentare attraverso a quell’ampia apertura. Scese nel quadro e giunto all’estremità della corsia s’avanzò intrepidamente nel frapponte.
Subito quattro soldati spagnuoli che stavano a guardia della barricata lo presero di mira coi loro archibugi.
«Abbasso le armi!» gridò Morgan, incrociando le braccia sul petto. «Io non vengo come nemico, bensì come parlamentario.»
«Cosa volete?» chiese un soldato.
«Parlare coi vostri capi.»
Un tenente di vascello che si teneva nascosto dietro la barricata si era prontamente alzato.
«Chi vi manda?» chiese con voce irata.
«Il Corsaro Nero,» rispose Morgan.
«Voi siete il suo luogotenente, è vero?»
«Ho questo onore.»
«E desiderate?»
«Vengo a intimarvi la resa in nome del cavaliere di Ventimiglia.»
«Dite al Corsaro Nero che gli spagnuoli muoiono, ma che non si arrendono mai.»
«Voi avete già fieramente combattuto ed il vostro onore è salvo,» rispose Morgan.»
«Noi siamo pronti a riprendere la lotta, signore.»
«Siete già prigionieri.»
«Abbiamo ancora le nostre armi e siamo in molti.»
«Vi concediamo salva la vita senza alcun riscatto pecuniario.
«Grazie, ma noi combatteremo fino alla fine,» rispose fieramente lo spagnuolo.
«Allora vi uccideremo tutti,» disse Morgan con voce minacciosa.
«Basta, signore: ritiratevi o comando il fuoco.»
Morgan abbandonò la corsia e rientrò nel quadro. Il Corsaro Nero lo aspettava dinanzi al cassero.
«Rifiutano, è vero?» chiese questi, scorgendolo.
«Sì, cavaliere.»
«Li ammiro e se non fossi certo che mi tradirebbero li lascerei liberi.
«Andrebbero subito a dare l’allarme a Vera-Cruz, cavaliere.»
«Lo so, Morgan. Intanto fate portare sul ponte alcune casse di granate.»
Quindi alzando la voce gridò:
«Coraggio, miei prodi! Preparatevi al combattimento.»
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