Le due fregate, vedendo avanzarsi quella nave a vele spiegate e tutta illuminata, avevano creduto che corresse addosso a loro per dare l’abbordaggio all’una o all’altra, e perciò si erano prontamente accostate finchè lo permettevano le catene delle àncore, per soccorrersi a vicenda.
Ad un comando dei capitani, i cannoni da caccia della coperta erano stati puntati sul brulotto ed una prima scarica aveva destato gli abitanti di Puerto Limon e fatta accorrere sulla spiaggia l’intera guarnigione del fortino.
Quelle palle non erano andate perdute, avendo colpito in pieno il brulotto. Una parte dell’alto castello di prora era subito diroccato sotto lo scoppio d’una granata, e due pennoni, spaccati da un proiettile, erano precipitati in coperta a soli pochi passi dalla barricata di poppa.
«Lasciamoli sfogarsi a loro capriccio,» aveva detto Carmaux. «Già questa povera caravella è destinata a saltare in aria.»
Si volse verso l’isolotto e vide la Folgore avanzarsi a meno di duecento metri, cercando di girare l’estrema punta del promontorio.
«Ohe!… Badate!… Si farà fuoco di bordata!» aggiunse poi.
Non aveva ancora finite quelle parole che le due fregate avvamparono simultaneamente, con un rimbombo spaventevole. Dalle batterie sfuggivano lingue di fuoco e sopra i ponti turbinavano nubi di fumo densissimo, attraversate da lampi.
Artiglieri e fucilieri avevano aperto un fuoco infernale contro la povera caravella, colla speranza di mandarla sott’acqua rotta e fracassata prima che potesse giungere all’abbordaggio. L’effetto di quella scarica fu tremendo. Le murate ed il castello di prora del brulotto volarono in frantumi e l’albero proviero, spaccato alla base, rovinò in coperta con uno scroscio orrendo sfondando, col proprio peso, parte della tolda.
«Mille pesci cani! – urlò Carmaux, che si era prontamente abbassato dietro la barricata. – Un’altra scarica come questa e noi andremo a picco!
S’alzò e guardò al disopra della barricata, malgrado i nembi di mitraglia che spazzavano la coperta con mille sibili.
La prima fregata non era che a quindici metri ed il brulotto, che aveva ancora il suo albero maestro in piedi ed i fiocchi del bompresso ancora spiegati, le correva addosso spinto dal vento che soffiava da terra.
Carmaux strappò a Wan Stiller la miccia che teneva in mano ancora accesa e curvandosi verso il cannone che stava puntato sul cassero, vi diede fuoco, poi gridò con voce tuonante:
«Un uomo sul ponte!… Accendete!
Un filibustiero balzò sopra la barricata, tenendo in mano una torcia accesa, e non ostante le incessanti scariche delle due fregate si slanciò verso l’ammasso di pece e di zolfo che si trovava alla base dell’albero maestro.
Una palla di cannone lo prende in mezzo al petto e lo spezza in due come se fosse stato troncato da una immane scimitarra.
«Fulmini!» tuonò il filibustiere. «Un altro uomo sul ponte!»
Un secondo marinaio, per nulla atterrito dalla orrenda fine del suo camerata, salta via la barricata e si scaglia innanzi urlando: «Viva la filibust…»
Non potè terminare la frase. Una seconda palla di cannone lo uccide. In quel momento un urto tremendo avviene a prora. La caravella aveva investito la fregata cacciando il suo bompresso fra le sartie ed i paterazzi dell’albero maestro.
Carmaux e Wan Stiller afferrano i ganci d’abbordaggio e li scagliano fino ai pennoni ed ai bracci di manovra della nave, poi staccano le torce ed i fanali del quadro e li gettano in mezzo alla tolda.
La resina che scorre ancora pel tavolato prende fuoco in un istante e si comunica allo zolfo ed alla pece radunata sul ponte.
Dieci, quindici lingue di fuoco serpeggiano per la tolda, investono le murate, bruciano le tavole e s’alzano verso le vele. Un chiarore improvviso si diffonde fra le tenebre.
I marinai della fregata, credendo che la caravella l’avesse abbordata sul serio, si precipitano verso le murate scaricando i loro archibugi, mentre i cannoni da caccia lanciano una bordata di mitraglia sul castello di prora ed in mezzo ai rottami dell’albero di trinchetto già caduto.
Un grido rimbomba a poppa della caravella:
«Camerati! In ritirata!»
Carmaux abbandona il timone, sorpassa con un solo slancio il coronamento e si lascia scivolare lungo la gomena. Sotto sta la scialuppa.
«Moko! Wan Stiller! Presto!» gridò. «La Folgore sta per passare.»
L’amburghese, il negro e gli altri due filibustieri lo seguono, mentre la caravella avvampa come un vulcano. Lo zolfo ed il bitume ardono con rapidità incredibile, lanciando sulla fregata nembi di scintille e nubi di fumo puzzolente. I barili di polvere stanno forse per iscoppiare e mandare all’aria il brulotto.
«Ci siete tutti?» gridò Carmaux.
«Tutti,» risponde l’amburghese, dopo d’aver lanciato all’ingiro un rapido sguardo.
«Al largo!»
Tenendosi riparati dietro la caravella, filano al largo, manovrando i remi con sovrumana energia.
Intanto il fuoco si dilata con rapidità fulminea. Le murate, i cordami, le vele, l’albero maestro stesso della caravella bruciano spandendo all’intorno una luce sinistra.
Gli spagnuoli, atterriti, cercano di tagliare i grappini d’abbordaggio per allontanare il brulotto, ma oramai è troppo tardi.
L’incendio si propaga a bordo della fregata con rapidità incredibile. Le pompe nulla possono contro le fiamme, che guadagnano le vele e l’alberatura.
Carmaux ed i suoi compagni, con pochi colpi di remo attraversano la baia e giungono sotto il bordo della Folgore, la quale si era già messa in panna, per aspettarli.
«Presto!» tuona Morgan.
I cinque marinai s’aggrappano alle bancazze, si slanciano sui paterazzi e le sartie e saltano a bordo della loro nave.
«Eccoci, signore!» dice Carmaux, correndo sotto il ponte di comando dove si trovano il Corsaro Nero e Morgan.
«Manca nessuno?» grida il luogotenente.
«Ci siamo tutti, meno due che sono morti a bordo della caravella,» risponde Carmaux.
«Ognuno a posto di combattimento!» comanda il Corsaro. «Pronti pel fuoco di bordata!»
La Folgore si slancia innanzi, filando a duecento passi dalla fregata incendiata.
S’avanza rapidamente, in silenzio, tutta nera, senza alcun lume a bordo. I suoi uomini però sono tutti ai loro posti.
La seconda fregata, accortasi finalmente dell’ardita manovra del filibustiere, scarica con orrendo rimbombo le sue artiglierie, sperando di arrestare al volo la Folgore , ma tale scarica va a colpire le rocce che formano il prolungamento della penisola.
La seconda fregata non può rispondere in modo alcuno. Ormai le fiamme la investono e avvampa come un vulcano.
Una luce intensa si spande per la baia, tingendo le acque di color rosso e riflettendosi perfino sulle vele della nave filibustiera. I suoi tre alberi fiammeggiano, mentre il brulotto, ancora appiccicato ai suoi fianchi, crepita e sibila lanciando in aria continui nembi di scintille.
D’improvviso una fiamma immensa squarcia la caravella. Il ponte, il quadro, il castello di prora, l’albero maestro saltano sotto lo scoppio dei barili di polvere, lanciando a destra ed a manca un nuvolo di rottami ardenti. La fregata, che è sempre legata al brulotto, si piega su di un fianco. L’esplosione l’ha squarciata sul tribordo e l’acqua si precipita, con sordi muggiti, attraverso l’immane apertura.
Fra le urla del suo equipaggio ed i gemiti dei feriti e dei moribondi, si alza una voce tuonante.
«Fuoco di bordata!» grida il Corsaro Nero.
I sei cannoni di tribordo ed i due pezzi da caccia del cassero tuonano con un accordo ammirabile, formando una detonazione sola. Le palle e la mitraglia spazzano i ponti delle due fregate accrescendo l’orrore e la confusione. Un albero tentenna e poi cade in coperta assieme con le vele e con le manovre fisse e correnti.
La Folgore si avanza sempre, mentre le scialuppe della seconda fregata accorrono in aiuto di quella che arde e che sta per affondare.
Il fuoco degli spagnuoli è sospeso, ma non quello della nave filibustiera. Le artiglierie tuonano senza posa, tempestando le manovre dei due legni e lanciando sui ponti bordate di mitraglia, le quali fanno strage fra gli equipaggi.
«Fuoco! fuoco!» tuona sempre il Corsaro Nero. «Spezzate le loro alberature, rasate i ponti, demolite, distruggete!»
Con un’ultima bordata, la Folgore giunse alla bocca del porto. Passando quasi accanto alle due fregate, scarica, d’un solo colpo, tutte le sue artiglierie, poi fila dinanzi alla diga ed esce trionfante in mare. Un’ultima bordata della fregata rimasta incolume, la raggiunge ancora spezzandole l’antenna di gabbia, forandole parecchie vele e uccidendole quattro uomini, ma ormai la Folgore poteva considerarsi salva.
Il Corsaro Nero, aiutato da Yara e da Morgan, s’era alzato.
Laggiù, in direzione della baia, la fregata, quasi sommersa, bruciava ancora. Immense lingue di fuoco s’alzavano verso il cielo, mentre dei nembi di scintille, trasportate dal vento, correvano fra le tenebre come miriadi di stelle.
Qualche colpo di cannone rombava ancora, confondendo la detonazione al fragore dei flutti.
«Ebbene, cosa ne dite di tutto ciò?» chiese egli, con voce tranquilla, a Morgan.
«Io dico, cavaliere, che mai fortuna maggiore ha sorriso ai filibustieri della Tortue,» rispose il luogotenente.
«Infatti, amico Morgan, non avrei mai sperato tanto.»
«Un giorno avrò anch’io una nave, signor cavaliere, e allora mi ricorderò delle audacie incredibili del mio capitano, dei suoi valorosi e pur disgraziati fratelli e dell’Olonese.»
«Voi avete la stoffa d’un grande condottiero, signor Morgan, e ve lo dice il Corsaro Nero. Voi farete grandi cose, lo vedrete.»
«E perchè no insieme?» chiese il luogotenente.
«Chissà se allora il Corsaro Nero sarà vivo,» disse il signor di Ventimiglia, mentre un pallido sorriso gli sfiorava le labbra.»
«Voi siete giovane, signore, ed invincibile.»
«Anche i miei fratelli, il Corsaro Rosso ed il Verde, erano giovani e arditi, eppure, voi lo sapete, dormono il sonno eterno nei baratri umidi del mare dei Caraibi.»
Stette un momento silenzioso, guardando il mare che scintillava dietro la poppa della nave come se vi fosse un principio di fosforescenza, poi riprese con voce malinconica:
«Chissà quale destino mi serberà l’avvenire. Potessi almeno, prima di morire, vendicarmi del mio mortale nemico e sapere ove è andata a finire la fanciulla che ho tanto amato!…»
«Honorata?» chiese Morgan.
«Sono passati quattro anni,» continuò il Corsaro, senza far attenzione alla domanda del luogotenente, «eppure la vedo sempre vagare sul mar tempestoso dei Caraibi, alla luce dei lampi, fra i muggiti delle onde incalzanti. Notte fatale!… Non la dimenticherò mai, mai!… Il giuramento che ho pronunziato la sera in cui il cadavere del Corsaro Rosso scendeva in fondo alle acque, mi ha spezzata l’esistenza. Orsù, dimentichiamo!»
Si era alzato a sedere e i suoi sguardi tetri scrutavano attentamente il mare, il quale, a poco a poco, cominciava a diventare luminoso.
Delle pagliuzze d’oro scorrevano a miriadi sotto le onde, salendo dagli abissi immensi del grande golfo. Si diffondevano lentamente, tutto invadendo, poi si disperdevano per tornare a radunarsi.
Talvolta pareva che delle vere fiammate o dei getti di zolfo liquefatto o di bronzo fuso si amalgamassero alle onde, facendo scintillare la spuma. Delle meduse rotolavano fra i cavalloni, splendide come globi di luce elettrica.
Il Corsaro Nero guardava sempre. Il suo viso, diventato pallidissimo, esprimeva in quel momento un’angoscia profonda e ne’ suoi sguardi si leggeva un terrore ignoto.
Morgan e Yara, ritti dietro a lui, non parlavano. I marinai, dispersi per la tolda, parevano pure invasi da un superstizioso terrore e guardavano, anch’essi muti, le onde che diventavano sempre più luminose.
Carmaux s’era avvicinato lentamente a Wan Stiller, urtandolo col gomito.
«Tutte le notti che vi sono dei morti a bordo, la fosforescenza compare. Lo hai notato camerata?»
«Sì,» rispose l’amburghese con un tremito nella voce. «Queste notti mi ricordano sempre il Corsaro Rosso ed il Verde.»
«O quella in cui il capitano abbandonò sul mare, in pieno uragano, Honorata di Wan Guld.»
«Sì, Carmaux.»
«Guarda il Corsaro!… Lo vedi come osserva il mare?»
«Lo vedo.»
«Si direbbe che aspetta la comparsa dei suoi fratelli. Tu sai che quando il mare scintilla così, lasciano le profondità del golfo per risalire a galla.»
«Taci, Carmaux!… Tu mi fai paura!…»
«Hai udito?…»
«Che cosa, Carmaux?»
«Si direbbe che fra l’alberatura della Folgore folleggiano le anime dei due corsari. Odi?… Pare che lassù qualcuno si lamenti.»
«È il vento che scherza fra i cordami della Folgore.»
«E questi sospiri?…»
«È l’onda che si rompe sui fianchi della nave.»
«Tu lo credi, amburghese?»
«Sì.»
«Ed io niente affatto. Vedrai, presto noi vedremo emergere dai flutti i due cadaveri del Corsaro Rosso e del Verde.»
Il signor di Ventimiglia intanto continuava a scrutare il mare con ansietà crescente. Di tratto in tratto un profondo sospiro si sprigionava dal suo petto. Pareva che i suoi occhi cercassero discernere qualche cosa che si celava dietro la fosca linea dell’orizzonte.
«Cavaliere,» disse Morgan. «Cosa cercate?»
«Io non lo so,» rispose il Corsaro con voce cupa. «Qualche cosa però sta per apparire.»
«I vostri fratelli?»
Invece di rispondere il Corsaro chiese:
«Sono rinchiusi nelle loro amache gli uomini uccisi dalla bordata della fregata?»
«Sì, cavaliere. I nostri marinai non attendono che il vostro comando per gettarli in mare.»
«Aspettate ancora.»
Si spinse innanzi aggrappandosi alla balaustrata del ponte di comando e parve che ascoltasse con profondo raccoglimento.
Sulla nave regnava allora un silenzio assoluto, rotto solamente dai gorgoglii dell’acqua e dai gemiti del vento soffiante fra i mille cordami dell’attrezzatura.
I marinai, vinti da un superstizioso terrore, parevano pietrificati. Più nessuno aveva osato parlare dopo Carmaux e Wan Stiller.
D’improvviso un grido attraversò lo spazio. Pareva che venisse dalle profondità del mare.
Era stato mandato da qualche cetaceo nuotante a fior d’acqua o da qualche essere misterioso? Nessuno avrebbe saputo dirlo.
«Avete udito?…» chiese il Corsaro, volgendosi verso Morgan.
Il luogotenente non aveva risposto, però si era slanciato innanzi come se avesse cercato di distinguere, fra quelle onde luminose, l’essere che aveva mandato quel grido.
«È il Corsaro Rosso che rimonta a galla,» riprese il cavaliere. «Sì, egli aspetta ancora la vendetta!»
Ad un tratto, lontano lontano, presso l’oscura linea dell’orizzonte, si vide apparire come una massa nera la quale solcava rapidamente i flutti. Cos’era? Poteva essere una barca come poteva pure essere qualche focena, qualche grosso lamantino o qualche balenottera. Comunque fosse il Corsaro Nero, malgrado le sue ferite, era balzato in piedi senza l’aiuto di nessuno, aggrappandosi fortemente alla balaustrata del ponte di comando.
«Ella passa laggiù!…» aveva gridato. «È la sua anima che erra ancora sul mare od è ancora viva?… Honorata!… Perdono!…»
«Cavaliere!» aveva esclamato Morgan. «Siete in preda ad una allucinazione!…
«No, io la vedo!…» gridò il Corsaro Nero in esaltazione. «Guardatela tutti, uomini di mare!… Ella ci guarda e ci tende le braccia!… Là, là!… Il vento solleva i suoi capelli!… Le onde montano attorno alla sua scialuppa!… Ella mi chiama!… Non udite la sua voce?… Presto una lancia in mare prima che ella scompaia ancora!…»
Poi esausto di forze si lasciò cadere fra le braccia di Morgan, mentre i marinai mormoravano, con voce tremante:
«La visione!…»
«Mio signore!» aveva gridato Yara, curvandosi verso il cavaliere che non dava quasi più segno di vita.»
«È svenuto,» disse Morgan. «Ha voluto abusare troppo delle sue forze. Non sarà nulla.»
«Ma quell’apparizione?» chiese Yara.
«Follie,» disse Morgan a voce bassa. «Portiamolo nella cabina.»
Ad un suo cenno Carmaux e Moko salirono sul ponte di comando, presero delicatamente il Corsaro, sempre svenuto, e lo trasportarono nel quadro. Yara ed il medico di bordo li avevano seguiti.
«In acqua i cadaveri!» gridò poi Morgan.
Le salme dei quattro marinai uccisi dalla bordata furono issati sulla murata di babordo, poi lasciati cadere negli abissi del grande golfo. Morgan si era curvato sul ponte di comando. Vide le quattro amache piombare in acqua sollevando un gran sprazzo scintillante, poi scomparire, con delle leggere ondulazioni sotto le onde luminose.
«Dormite in pace, nel gran cimitero umido, a fianco del Corsaro Rosso e del Verde, e dite loro che noi presto li vendicheremo entrambi,» disse. «Ed ora, andiamo a Vera-Cruz e che Dio ci guidi!…
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