Frescava sempre al largo, mitigando la brezza il gran calore equatoriale che si riversava sullo yacht come una pioggia di fuoco.
Sotto la tenda tesa sopra il cassero, il Sultano, il suo seguito, la bella olandese e Yanez si erano seduti intorno ad una tavola per dare fondo alle ultime bottiglie di champagne e fare strage di sigarette e di noci di betel.
Il Sultano, messo in buon umore da quel vino gorgogliante, che non aveva mai bevuto, scherzava.
Pareva un buon ragazzo, portato via da un collegio e mandato a divertirsi sulla spiaggia o a bordo di qualche barca peschereccia.
– Milord, – diceva, fumando una sigaretta del portoghese – come piacerebbe anche a me di possedere una nave a vapore!
– Ve ne sono sempre in vendita, Altezza, nei porti indiani e anche cinesi. Non vi mancheranno i fondi, suppongo.
– È che non ho mai trovato un galantuomo, milord, – rispose il Sultano. – Io avevo un nipote a cui ero molto affezionato e che avrebbe potuto un giorno succedermi, perché non ho figli maschi. Incaricai lui di comperarmi una piccola nave a vapore. Partì infatti, per Hong-Kong dove i fondi che dovevano servire per l’acquisto si squagliarono sui battelli fioriti, com’ebbe l’audacia di narrarmi.
– Era d’appetito vostro nipote, Altezza, – rispose Yanez. – E poi sapeva bene di avere nelle sue vene sangue di Sultano fuso con pietre preziose.
– E non tornò più? – chiese la bella olandese.
– Dopo due mesi me lo vidi comparire dinanzi, tutto piangente, con una corda al collo perché lo strozzassi.
– E gli perdonaste? – disse Yanez.
– Precisamente così, milord: io volevo assolutamente possedere un battello a vapore e lo rimandai in Cina, accompagnato da un ministro.
– Ed anche quella nave naufragò fra i battelli di fiori delle belle cinesi? – disse Yanez.
– Avete indovinato, milord: dopo un mese mio nipote tornava ancora dinanzi a me, tutto compunto, implorando il mio perdono e dicendomi, a sua discolpa, che era stato truffato dai cinesi. Rinunziai alla nave a vapore; ma la testa di mio nipote si trova in fondo alla baia, insieme con quella del ministro che l’accompagnava.
– Forse non aveva pratica negli acquisti – disse Yanez.
– Se era l’uomo più scaltro che vi fosse alla mia corte! –
Il Sultano prese un bicchiere colmo di champagne e lo vuotò d’un fiato, dicendo poi:
– Anneghiamo quella brutta avventura. –
Si erano alzati e diretti verso il castello di prora, su cui era pure stata tesa la tela.
Il mare, percosso di traverso dai raggi del sole, pareva che fiammeggiasse tutto.
In mezzo a quell’orgia di luce i soliti uccelli marini volteggiavano.
Ad oriente le coste del Borneo si profilavano abbastanza distinte e verso il settentrione una specie di forma nebbiosa indicava l’isola del rajah delle isole.
– Volete proprio spingervi lassù, milord? – chiese il Sultano. – Giungeremo troppo tardi.
– Voglio mostrare a quei pirati i colori della vostra bandiera che ho già fatta innalzare sulla maestra – rispose Yanez.
– Preferirei rimettere questa dimostrazione navale ad un altro giorno.
– Ora che Balaba è in vista?
– Temo che v’immischiate in qualche brutta avventura, milord, quantunque io abbia sempre la massima fiducia nelle vostre qualità guerresche e marinaresche.
– Prima di mezzanotte noi saremo a Varauni dinanzi al vostro palazzo. –
Lo yacht affrettava, anzi precipitava la corsa, balzando sulle acque come un balenottero.
L’elica e gli stantuffi funzionavano rabbiosamente, facendo gemere i madieri ed i corbetti sotto i loro colpi affrettati.
Yanez aveva preso un canocchiale e guardava attentamente verso l’isola di triste fama, la quale pareva ormai che corresse incontro alla rapida nave, mostrando le sue baie profonde e le sue imponenti scogliere.
Su quelle acque tranquille si vedevano numerosi prahos e giongs, colle vele semi-spiegate per essere più pronti a mettersi in corsa.
– Tutti gli uomini al posto di combattimento! – gridò Yanez. – E tu, Mati, spara una cannonata. Sono curioso di sapere che cosa accadrà.
Mostriamo a quella canaglia che la pazienza del Sultano del Borneo è esaurita e che è giunta l’ora delle punizioni. –
Poi, volgendosi verso la bella olandese, le disse:
– Ritiratevi, signora: fra poco qui passerà la morte. –
Il prode Sultano, udendo quelle parole, fece una brutta smorfia e guardò con inquietudine i suoi due ministri ed il segretario, senza trovare in loro alcun incoraggiamento, poiché restavano lì impalati, come se si fossero tramutati in bronzo. Mati era balzato sul castello di prora e si era messo dietro al pezzo.
Una detonazione fragorosa si ripercosse entro le profonde baie di Balaba, con sinistro fragore.
– Le vedete, Altezza, se si svegliano quelle canaglie? – disse Yanez al Sultano, il quale pareva più morto che vivo.
– Ritorniamo indietro, milord.
– Aspettate che guardino bene che è la vostra bandiera che sventola su questa nave. Il sole è ancora alto: potranno vedere la mezzaluna d’argento sul fondo verde.
– Basterà così, milord.
– Oh, aspettate! Non fate vedere che il Sultano, dopo essersi spinto fino qui a sfidarli, batte in ritirata dinanzi a loro.
– E se vengono all’abbordaggio?
– Per Giove! Ci difenderemo, Altezza. –
Dodici o quindici prahos, insieme a qualche giong, si erano radunati presso l’uscita d’una baia, mettendosi subito alla vela. Schieratisi su due linee, mossero arditamente verso lo yacht, salutandolo a colpi di spingarda e di mirim. Due colpi di cannone, sparati da Mati e da Yanez, resero quei terribili combattenti più prudenti. Invece di spingersi subito all’attacco, con stupore del Sultano, ammainarono in segno di saluto le loro rosse bandiere e si rifugiarono novamente dentro la baia.
– Come? – esclamò il Sultano. – Hanno dunque paura della mia bandiera?
– Ve lo avevo detto, Altezza, che sarebbe bastato farla sventolare dinanzi ai loro occhi.
– Voi siete un uomo assolutamente straordinario. A voi dovrò la salvezza e la tranquillità del mio Stato. Che cosa potrò fare per voi?
– Nient’altro che essere riconoscente all’Inghilterra – rispose il portoghese. – Io sono stato mandato qui per sbarazzarvi di tanti nemici che insidiano il vostro trono. Volete che torniamo indietro?
– Sì, sì! – esclamò il Sultano, ancora spaventato dal rombo delle spingarde e dei grossi pezzi dello yacht.
Mentre la flottiglia piratesca si ritirava precipitosamente dentro la baia, sparando ancora qualche colpo, lo yacht virò di bordo e tornò velocemente verso il sud, radendo quasi le coste del Borneo.
Mati si era avvicinato a Yanez.
– Anche gli altri? – chiese.
– Certo: voglio che il Sultano si senta ben sicuro con me fino al giorno in cui lo perderò.
– Non ha nemmeno sospettato lontanamente che quei prahos erano nostri.
– Quel merlo non è davvero uno stregone e poi i suoi ministri lo hanno ormai incretinito. Abbiamo l’altra mezza flottiglia nella baia di Gaya?
– Si, signor Yanez.
– Andremo a ripetere questa innocua farsa, che non è costata a nessuno nemmeno una goccia di sangue. –
Mati scosse la testa.
– Perdonate, signor Yanez, ma io non riesco a capire lo scopo di questa fulminea crociera.
– Lo comprenderai meglio un altro giorno, ossia quando il Sultano, ritenendosi ormai perfettamente sicuro nelle sue acque, verrà portato via sotto i nostri occhi.
– Osereste tanto?
– La Tigre della Malesia avrebbe già osato molto di più. A me ora conviene agire con estrema prudenza dopo l’affondamento della cannoniera e del piroscafo.
Un giorno o l’altro qualche ufficiale di S. M. Britannica od Olandese verranno a reclamare la mia testa.
Ma spero di essere allora io il padrone di Varauni. Mi basta aver sotto mano i cinesi. Noi ora dovremo lavorare tra loro.
– Bisognerebbe avere delle conoscenze.
– Ho pensato a tutto: questa sera andremo a trovare un vecchio taverniere cinese, che un tempo ha fatto molto per Mompracem, tenendoci informati, a rischio di essere appiccato, delle mosse delle navi inglesi.
Silenzio: il Sultano! –
A Sua Altezza, sospettosa come tutti i piccoli tirannelli delle isole della Sonda, non era sfuggito quel colloquio, quantunque non avesse potuto comprendere nemmeno una parola di quanto era stato detto.
– Si direbbe che qui si congiura – disse, salendo sul castello ed abbordando Yanez e Mati. – Volete tentare qualche altra dimostrazione navale?
– Certo, Altezza! – rispose Yanez.
La baia di Gaya è un vero nido di pirati e anche là io debbo fare sventolare i colori della vostra bandiera, se vorrete essere più tardi temuto e rispettato. Se lasciate che tutte quelle canaglie si rafforzino, un brutto giorno voi vedrete entrare i loro prahos nella baia e non sarà il vostro palazzo, né la vecchia batteria che li ricaccerà al largo.
– E i miei rajaputi?
– Sì, dei bellissimi uomini assai costosi, ma che appunto perché sono pagati troppo bene non avranno il coraggio di guardare in viso la morte.
Mati! Un altro colpo di cannone! –
Lo yacht in quel momento passava dinanzi ad un’alta costa che pareva fosse stata squarciata dalla rabbia dei marosi.
In una tranquilla baia, protetta da un gran numero di scogliere, stavano all’ancora una quindicina di grossi prahos.
Anche questa volta i pirati, credendo d’aver da fare con qualche meschina giunca proveniente dai porti della Cina, furono solleciti a spiegare le vele e spingersi frettolosamente al largo, mandando urla ferocissime.
– Mati, calma il loro ardore – disse Yanez.
I due pezzi da caccia tonarono, formando quasi una sola detonazione; ma, cosa strana, quegli abilissimi artiglieri che non avevano avuto paura di attaccarsi anche alla cannoniera, con quei colpi non spezzarono né un pennone, né un albero.
Si sarebbe detto che i pezzi erano stati caricati solamente a polvere.
Anche le spingarde dei pirati, quantunque sparate furiosamente e a non grande distanza, non avevano prodotto alcun guasto allo yacht.
– Vedete, Altezza, – disse Yanez al Sultano – basta mostrare a quelle canaglie la nostra gloriosa bandiera per far tremare le mani agli artiglieri ed ai fucilieri.
Come vedete, vi si teme ancora. –
La flottiglia, dopo aver fatto grande spreco di polvere, poiché nessun proiettile era giunto sullo yacht, riordinò le sue file e si ritrasse lentamente dentro quella larga apertura che penetrava in una vasta baia.
Il sole in quel momento stava per tuffarsi in mare.
A ponente tutta la distesa d’acqua scintillava come bronzo fuso.
Gli uccelli marini, vedendo avanzarsi la notte, lanciavano un ultimo saluto prima di raggiungere i loro nidi inaccessibili.
La flottiglia, obbedendo certamente a qualche ordine misterioso, era appena scomparsa, quando due vele rossastre e ben gonfie di vento che spingevano innanzi un agilissimo praho, tagliarono il disco solare oscurandone per un momento la luce.
– Padar! – mormorò Yanez. – Io credo che in tutta la Sonda non si possa trovare un marinaio più valente di lui.
Il suo praho vola come gli uccelli marini.
– Milord, – disse il Sultano, indicando al portoghese le due vele. – Fate affondare quel legno.
– Perché, Altezza?
– Per impedirgli di attaccarci quando le tenebre saranno scese.
– Io non posso affondare quel veliero, che è montato forse da onesti trafficanti.
Attirerei l’odio contro la vostra bandiera, invece di renderla amata. Lasciatelo quindi andare.
– Vorrei vedere come sparerebbero i vostri uomini in caso di pericolo – disse il Sultano.
– Le occasioni non mancheranno, Altezza. Vedete quell’albero che si erge su quella roccia che protegge la baia di Gaya? Ora vi mostrerò come i miei uomini sanno servirsi dei loro pezzi.
Mati, spezzami con una palla di cannone quell’albero. –
Il mastro cannoniere, che comprendeva a volo i pensieri del suo padrone, montò sul cassero, mentre lo yacht volava col vento in poppa.
Il colpo si fece molto aspettare, ma strappò un grido di ammirazione dalle labbra del Sultano, dei ministri e dei marinai.
L’albero era stato spaccato a metà altezza con un tiro veramente prodigioso.
– Ecco come sparano i miei uomini, Altezza! – disse Yanez al Sultano. – Con così abili artiglieri non dovete aver paura quando vi trovate a bordo del mio yacht.
Lasciate che il rajah delle isole esca dal suo covo e vedrete come i miei uomini ridurranno i suoi velieri.
– Ah, questi uomini bianchi! – esclamò il Sultano. – Come sono meravigliosi! –
Poi si sedette su una sedia e vuotò l’ultima bottiglia di champagne che era rimasta, brindando abbastanza galantemente agli occhi azzurri e profondi della bella olandese.
Le ombre della sera calavano sul mare come una volata di corvi.
Le ultime luci erano scomparse, ma altre, e non meno belle, si scorgevano di già ballonzolare fra le onde.
Nottiluche, meduse larghe come ombrelli, pelargonie che s’aprivano come altrettanti fiori, montavano a galla in quantità enorme, facendosi stracciare dall’acuto sperone dello yacht.
Di quando in quando un avido pesce-cane veniva a gettare lo sgomento fra tutti quei molluschi.
Le luci allora si spegnevano subito: meduse e pelargonie si lasciavano affondare rapidamente, per poi risalire qualche minuto dopo a mostrare i loro smaglianti colori.
Lo yacht s’avanzava sempre rapidissimo, quasi a tiraggio forzato, seguendo le sinuosità della costa, sgombre, per un vero caso, di quelle migliaia di scoglietti che rendono difficilissimi gli approdi alla grande isola del Borneo, anche a mare tranquillo.
Alle dieci di sera i gitanti, pienamente soddisfatti della loro corsa, entravano senz’altro nella baia di Varauni, segnalata da due piccoli fanali a olio, collocati su modeste torricelle.
Lo yacht aveva appena sparato un colpo, quando la solita barca rossa coi bordi dorati mosse velocemente incontro al Sultano ed al suo seguito.
– Milord, – disse il regnante, mentre alcuni marinai calavano nella scialuppa il pesce-cane – ricordatevi che il mio palazzo è aperto per voi a tutte le ore.
– Ci rivedremo ben presto, Altezza. Sono un appassionato cacciatore e vorrei fare una corsa fino ai monti Cristalli, che sono così ricchi di belve, a quanto si dice.
– E vorreste condurre anche me?
– Se è possibile.
– Vedremo – rispose il Sultano evasivamente.
Tese la destra all’ambasciatore e scese nella sua barca, seguito dai due ministri e dal segretario.
La bella olandese era rimasta a bordo.
Yanez seguì cogli sguardi la scialuppa che si allontanava, poi tornò verso Lucy Wan Harter, la quale pareva che lo aspettasse.
– Signora, – le disse – la mia nave è a vostra disposizione.
– Volete che mi fermi qui?
– Non vi provate a scendere a terra dopo le minacce del capitano del piroscafo.
– E voi?
– Io ho da sbrigare qualche faccenda a Varauni – rispose Yanez.
– Siete un uomo misterioso!
– Perché, signora?
– Non siete ambasciatore ed ho udito il vostro chitmudgar chiamarvi Altezza. Ditemi una buona volta chi siete!
– Io non posso tradire, signora, i segreti della Tigre della Malesia.
– Della Tigre della Malesia, avete detto? – esclamò la bella olandese con una certa commozione.
– Avreste conosciuto quel terribile uomo? –
Lucy Wan Harter stette un momento silenziosa, poi disse:
– Sì, io ho conosciuto l’eroe della Malesia.
– Quando? – chiese Yanez.
– Due anni or sono, sulle coste della baia di Poitou.
– Due anni or sono io ero nell’India – disse il portoghese.
Vorreste narrarmi in quale circostanza, signora, avete conosciuto quel formidabile uomo?
– Tornavo da Hong-Kong, dove avevo sepolto mio marito, minato da un male che non perdona.
– Ah! Siete vedova?
– Si, signore…
– Chiamatemi semplicemente milord, o, se vi piace meglio, Altezza, avendo io sposata una principessa indiana.
– Allora vi chiamerò milord, per non destare dei sospetti nel Sultano. Una notte un terribile uragano coglie la nostra nave che era a vela, non avendo trovato vapori in partenza per il Borneo.
La bufera era così violenta che la nave, presa da un vero ciclone, fu subito gettata fuori dalla sua rotta e scaraventata in mezzo a vere montagne d’acqua.
Tutta la notte il disgraziato veliero errò, sbattuto fra le tenebre, senza alcun possibile governo.
Ad un tratto uno schianto spaventevole coprì il fragore delle onde sempre incalzanti; la nave aveva urtato contro uno scoglio e la sua prora si era sfasciata.
– Dove vi aveva cacciato l’uragano?
– Nella baia di Poitou.
– Continuate, signora, – disse Yanez.
– La notte fu spaventevole. Tutti temevamo che da un momento all’altro la nave, la quale sospinta sempre dalle onde continuava a cozzare contro lo scoglio, si sfasciasse completamente. Fortunatamente quel veliero era, come dicono gli americani, a prova di scoglio e resistette tenacemente, quantunque la stiva fosse stata in gran parte inondata.
Cominciavamo a consolarci dello scampato pericolo, quando verso l’alba udimmo i marinai urlare:
I pirati! i pirati! Difendetevi!
Una flottiglia di dieci grossi prahos s’avanzava dal fondo della baia, la quale flottiglia era montata da un gran numero d’uomini color olivastro o bronzastro.
– Malesi e dayachi – disse Yanez con un sorriso. – Conosco quella gente. E poi?
– Ci credevamo ormai irremissibilmente perduti, quando uno di quei prahos ci abbordò ed un uomo salì lestamente la scala, seguito da una numerosa scorta.
– Alto di statura, occhi ancora pieni di fuoco, con una barba brizzolata leggermente ed i capelli neri, è vero, signora? – disse Yanez.
La bella olandese non aveva potuto trattenere un gesto di stupore.
– Indossava una casacca di velluto verde, stretta da una fascia azzurra, calzoni d’egual colore ed alti stivali di pelle gialla colla punta un po’ rialzata.
Al fianco portava una scimitarra colla guaina d’oro, sulla cui impugnatura brillava un grosso diamante.
Mi sono ingannato, signora Lucy?
– Me lo avete descritto così fedelmente che mi pare di vedermelo ancora dinanzi.
Quali rapporti avete voi con quel terribile uomo?
– Permettetemi di non rispondere a questa domanda.
– Un segreto di Stato?
– Forse! Continuate, signora.
– Ci credevamo tutti morti, invece nulla successe. Il terribile uomo ci rassicurò subito di non aver la più lontana idea di saccheggiarci e ci offrì i suoi servigi ed i suoi prahos.
– E vi portò alla costa.
– Sì, milord, – rispose la bella olandese. – E devo anche aggiungere che fu gentilissimo con tutti.
– Sandokan non è più l’uomo d’una volta – disse Yanez. – Le sue furie di sangue ormai si sono calmate e non lotta che contro coloro che l’assalgono.
Signora, io vi lascio perché ho a terra un appuntamento di premura. Ricordatevi che in mia assenza siete la padrona assoluta del mio yacht.
– Grazie milord: quando ci rivedremo?
– Domani, signora. –
Yanez strinse la bella mano che la dama olandese gli porgeva, salì la scala del cassero ed accese una sigaretta, chiamando:
– Mati! –
Il mastro dello yacht, udendo la voce del comandante, fu pronto ad accorrere.
– Metti una scialuppa in acqua – disse Yanez.
– Andiamo a terra?
– Devo rivedere quel vecchio cinese.
In quel momento fra la luce proiettata dai due fanali sospesi alle griselle di babordo e di tribordo, comparve un’ombra, la quale si avvicinò rapidamente al portoghese.
– Kammamuri! – esclamò Yanez.
– Vi ho raggiunto col praho di Padar. Che cosa volevate che io facessi nella baia di Gaya? Lontano da voi o da Tremal-Naik io sono un uomo morto.
– Hai fatto benissimo, perché tu mi sarai necessario.
– C’è da lavorare?
– E molto.
– Non domando altro.
– Va’ a prenderti una carabina e seguimi con due malesi di Padar.
Mati! In acqua la scialuppa! –
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