Se fosse stato in altri tempi, a quei tempi dove libero d’ogni legame si chiamava la Tigre della Malesia, il pirata, quantunque male armato e di fronte ad un nemico cento volte più numeroso, non avrebbe esitato un sol istante a gettarsi sulle punte delle baionette e aprirsi una strada in mezzo alle palle.
Ma ora aveva una giovanetta che lo aspettava ansante, ma ora la sua vita era impegnata, ora amava, ora non era più libero e non si poteva sforzare il passo irto di pericoli colla sicurezza di uscirne vittorioso. Vinto e prigioniero sarebbe stato per lui la morte ignominiosa sulla forca degli assassini e forse la morte di lei.
Ma non si smarrì. Per quanto i pericoli fossero giganteschi egli era l’uomo che non aveva paura. Tradito slealmente dal lord, che dopo averlo cacciato dalla sua casa lo gettava fra le braccia dei sanguinari Britanni che anelavano di vedere il suo sangue, non gli restava che di battere in ritirata e giuocare d’astuzia. La giovanetta lo avrebbe aiutato.
Non poteva ancora essere stato scorto dai soldati appostati lungo le palizzate del parco dietro gli alberi e i cespugli. Egli risalì le scale col kriss in mano ed entrò nel salotto dove il lord, poco prima, gli aveva additato la porta.
L’Inglese era ancora là dove l’aveva lasciato, colle braccia incrociate, e un sorriso freddo, sdegnoso sulle labbra. Solo la giovanetta era scomparsa.
— Milord! — disse Sandokan con voce rauca. — Se io vi avessi ospitato, se vi avessi onorato della mia amicizia, e poi conosciuto per un figlio delle giacche rosse, vi avrei additato la porta, ma non tradito. Laggiù, imboscati sulla medesima via dove io passerò, vi sono degli uomini. Non attendono che un segnale per gettarsi sulla Tigre disarmata.
«Vergogna; cento codardi guidati da un uomo sleale contro un solo pirata!
— Signore! — esclamò il lord rialzando fieramente il capo. — Non disonorate più oltre la mia casa colla vostra presenza. Voi che mi chiamate sleale, voi, che chiamate codardi degli uomini che hanno sfidato il fuoco in venti battaglie, siete un miserabile! Siete un assassino, perché assassinate vigliaccamente la gente inoffensiva, siete un ladro perché derubate onesti trafficanti, siete un codardo perché indietreggiate dinanzi a una baionetta.
La Tigre della Malesia a quei sanguinari insulti si scagliò sul lord, fremente d’ira, cogli occhi iniettati di sangue, col kriss alzato. Egli si mise a sogghignare atrocemente.
— Voi avete mentito! — gli urlò agli orecchi. — La Tigre mai saccheggiò pel solo capriccio di saccheggiare, mai assassinò gente inoffensiva, mai bevette il sangue di un uomo che non fu suo nemico. Mille voci si alzeranno in ogni tempo a difendermi: le voci delle donne che io sbarcai libere sulle coste senza aver torto capello, le voci di quei marinai che io lasciai sfuggirmi di mano perché non tanto forti da pugnare con me, le voci di coloro che mi videro in cento pugne primo all’attacco e ultimo nella ritirata. Ritirate quegli insulti, ritirate quelle parole, milord. Sarei capace di dimenticarmi di ciò che vi dissi un giorno quando mi curaste. Sarei capace di mordere la mano che mi guarì!
— Tacete! Uscite da questa casa, uscite vi dico — gridò il lord, che perdeva la flemma britannica.
— Per gettarmi sulle punte delle baionette, non è vero, milord? — disse Sandokan beffardamente.
— Ma che pretendete adunque da me?
— Che facciate indietreggiare quei soldati e che si lasci libero il passo alla Tigre della Malesia. Non rifiutatelo: sarei capace di barricarmi in questa villa che voi dite che io disonoro, e darle fuoco e bruciarla con me anziché arrendermi. Guardatevi, milord, guardatevi. La Tigre ha sete di sangue umano.
— A noi due adunque, Tigre della Malesia — urlò il lord, — a noi due; uno o l’altro dovrà morire.
Il lord aveva tratto la sciabola. Il pirata impugnò il kriss. I due nemici, terribili nemici, colle armi in pugno si guardarono fieramente provocandosi collo sguardo.
— Lo sapeva io, che lo sleale gentiluomo, dopo avermi tradito, mi avrebbe assassinato — sogghignò Sandokan facendo un salto indietro. — Orsù, milord, i momenti sono preziosi. Fate ritirare i vostri uomini.
Per tutta risposta l’Inglese fece una brusca mossa e si portò dinanzi alla porta sbarrandola colla sciabola, poi strappando da un chiodo un corno da caccia, mandò una nota prolungata.
— Ah! traditore! — esclamò Sandokan, che sentì il sangue ribollirgli per l’ira.
— È tempo, sciagurato, che la Tigre cada nelle nostre mani. Fra due minuti i miei uomini saranno qui, fra cinque daranno l’assalto, fra ventiquattr’ore il pirata sarà morto.
Sandokan mandò un sordo ruggito. Con un salto felino s’impadronì di una pesante seggiola, la sollevò sopra il suo capo e si slanciò sulla tavola. Faceva paura.
In quell’istante si udì al di fuori lo squillo di una tromba seguita subito da un grido straziante.
— Sandokan! Sandokan! — gridava una voce, che il pirata riconobbe in quella di Marianna.
— Sangue!… Sangue!… — urlò egli, e scaraventò la seggiola contro il lord precipitandovisi dietro.
Arrivò un secondo dopo, nel momento che il lord stordito dall’urto stava per abbandonare la posizione ritirandosi nel corridoio. Egli vi cozzò col capo e con tal violenza da rovesciarlo di colpo al suolo. La Tigre della Malesia alzò il kriss su di lui, sogghignando.
— Uccidimi, assassino! — gli disse freddamente il lord.
— Rammentatevi ciò che vi dissi alcuni giorni fa — disse il pirata, abbassando l’arma.
Gli strappò la sciabola, l’impugnò, cacciossi il kriss fra le labbra, e, senza aggiungere parola, slanciossi nel corridoio sbarrando la porta dietro di sé.
— Marianna!… Marianna!… — esclamò egli movendo verso la stanza della giovanetta.
— Sandokan! Sandokan! — gridò ella precipitandosi fra le sue braccia.
Il pirata gettò un urlo da tigre ferita e la strinse furiosamente al petto.
— Fuggi, Sandokan!… Ho veduto i soldati!…
— Li ho veduti, amor mio. Ma non avranno viva, no, la Tigre della Malesia.
Egli la trasse verso la fenestra, e la contemplò un istante al chiaro di luna, delirante, fuori di sé, ebbro d’amore.
— Sandokan, abbi pietà di me, fuggi! Ho veduto le punte delle baionette! — esclamò ella.
— Marianna!… Marianna, sarai mia non è vero? Sempre mia, del pirata, della Tigre?…
— Tua, sempre tua, Sandokan — mormorò la fanciulla, che si sentiva venir meno.
Il pirata accostò le sue labbra a quelle di lei, poi rizzandosi con un lampo d’orgoglio:
— Ora a me, cani d’Inglesi! Io mi batto per lei!…
Baciò un’ultima volta la giovanetta caduta in ginocchio, scavalcò il davanzale e mentre gl’Inglesi si avanzavano battendo la carica, precipitossi dalla fenestra e si cacciò in mezzo ai cespugli senza essere stato scorto.
Gl’Inglesi in grosso numero, che il pirata stimò più di cinquanta, dopo il segnale dato dal lord col corno da caccia, avevano subito marciato sulla villa formando un vasto cerchio che andava man mano restringendosi, fino a render impossibile la fuga dell’assediato che stretto fra un cerchio di baionette e avviluppato in una rete di fuoco avrebbe dovuto infallibilmente arrendersi. Un comandante, che Sandokan riconobbe subito per colui che il lord aveva chiamato col nome di William, li guidava facendo a loro frugare i cespugli quando diventavano troppo fitti, animato senza dubbio più dalla gelosia e dalla vendetta che dal dovere, prendendo tutte le precauzioni possibili, perché l’aborrito rivale non potesse sfuggire o gettarsi improvvisamente sui suoi soldati.
Il pirata, ancor col cuor oppresso e dilaniato dalla passione, ma ben deciso ad uscir vincitore da quella lotta ineguale preparatagli slealmente da lord James, o almen morire eroicamente dopo di aver venduto ben raramente la vita nascosto fra fitti cespugli, a duecento metri dalle palizzate del parco, rimaneva immobile senza fiatare, rattenendo l’ira che gli rumoreggiava nel petto e comprimendo i battiti del cuore.
Aveva dinanzi a sé un nemico cinquanta volte più numeroso, un nemico che non gli avrebbe dato quartiere fuorché per vederlo danzare all’estremità di qualche albero con una corda al collo, che spiava i minimi nascondigli, movendo innanzi coi fucili spianati diretti verso la casa dove supponevano che ancor si tenesse nascosto.
Sapeva che per vincere, per isfuggire alla mortal stretta, alla cerchia d’armi e d’armati, bisognava giuocare d’astuzia, spiare l’istante per aprirsi il passo col ferro in pugno, supplire coll’audacia la forza che mancava dinanzi a tanti leoni.
Una volta sfuggito alle loro palle, avrebbe saputo ben lui far ismarrire le sue traccie laggiù sotto le fitte foreste a dispetto di tutti gl’Inglesi di Labuan, a guadagnare le coste per quanto ben guardate fossero dagli incrociatori e mettersi in mare navigando verso Mompracem, sia su di una canoa scavata colle proprie armi o sopra di un prahos. Una volta raggiunti i suoi lidi, la sua isola, il suo covo, avrebbe saputo ben lui allora ritornare per rivedere Marianna, la Perla di Labuan.
— Avanti cani, avanti figli di una razza maledetta! — mormorò egli afferrando la sciabola. — La Tigre della Malesia non trema dinanzi a cinquanta leoni armati e ruggenti; la Tigre non si lascia vincere due volte né si lascierà prendere viva. Meglio cader pugnando da eroe coll’armi in pugno su di un cumulo di cadaveri, sotto gli occhi di lei, col nome di lei sulle labbra, anziché cadere nelle loro mani.
«Venite, venite a disputarmi la vita se avete del coraggio, venite a disputarmi la libertà, vieni tu, William, a disputarmi la giovanetta dagli occhi azzurri: troverete la Tigre! Mille uomini, in questo istante che io porto con me la promessa di lei, in questo istante che il suo sguardo lagrimoso mi segue, in questo istante che anelo la vendetta, non saprebbero arrestarmi. Mille cannoni non sarebbero capaci di sbarrarmi la via, mille navi non sarebbero capaci d’arrestare la mia canoa: mi sento tanto forte da pugnare con l’Inghilterra tutta!
Il pirata così parlando digrignava i denti e sentiva mille lingue di fuoco guizzargli nel petto, e mirava con occhio truce gl’Inglesi che si avanzavano passo a passo, fremendo tutto di gioia al pensiero di tuffar le armi nel loro sangue e sotto gli occhi di lei, pugnare col nemico così numeroso. Quando li vide a venti passi dai cespugli, si rizzò sulle ginocchia raccogliendosi su sé stesso come la tigre che sta per avventarsi sulla preda.
— Avanti! Avanti! — mormorò egli con indefinibile espressione di odio e di ferocia.
Il cerchio andava restringendosi sempre più man mano che si avvicinava all’abitazione del lord dalla quale non usciva il più piccolo rumore, tanto da credere che gli abitanti si fossero dati alla fuga o fossero caduti sotto il ferro del pirata. Quel silenzio pareva preoccupare vivamente i soldati, che tendevano l’orecchio con un misto di ansietà e di timore, esprimendo le loro opinioni e i loro terrori con voce sommessa.
— Che il nostro uomo abbia fatto un massacro di tutti gli abitanti? — diceva un soldato.
— Si sarebbe udita qualche moschettata, qualche grido, qualche altro segnale — diceva un altro.
— Eh! — saltò su a dire un Irlandese riconoscibile per la sua pronuncia. — I pirati sono come i gatti, saltano, graffiano e fuggono senza far rumore. Non sarei sorpreso se egli avesse preso di già il volo.
Gl’Inglesi si avvicinarono ancora di alcuni passi gettando uno sguardo sospettoso sulla casa. Il pirata si raccolse, allontanò senza far rumore i rami, e misurò la distanza stringendo come una morsa la sciabola e facendo passare il kriss dalle labbra alla mano sinistra. Egli stava per avventarsi su di essi e aprirsi il passo attraverso le punte delle baionette, quando il corno da caccia di lord James risuonò.
— Ancora un segnale! — esclamò il pirata rattenendo lo slancio.
Il cerchio dei soldati si arrestò quasi subito. Il tamburo batté la carica rumorosamente.
— Ah! Il pirata è imboscato attorno la casa, adunque? — disse un soldato. — Non li ha ammazzati.
— La Tigre non ci sfuggirà. Attenti, giovanotti, passo rapido ma sicuro, orecchio e occhio in guardia e pronti a cacciare mezzo piede di lama nel carcame di quel miserabile — comandò un caporale.
Il pirata guardò quell’uomo attraverso il fogliame e sorrise là sotto, dinanzi al nemico che lo avrebbe crivellato di ferite se lo avesse potuto scorgere, e accarezzando la lama della sua sciabola strappata dalle mani di una giacca rossa fissò il sanguinoso sguardo in quello dell’insultatore.
La carica si batté accompagnata da squilli di tromba. I cinquanta uomini si precipitarono innanzi rapidamente attraverso i cespugli movendo verso la villa. Il pirata misurò la distanza alzando la sciabola. Non li aspettò. Si rizzò tra i rami come una spaventevole apparizione, fece un salto di dieci passi da invidiare una tigre, piombò come un lampo sul nemico che si avanzava coi fucili montati, spaccò in due la testa del caporale facendone schizzar le cervella e scomparve sotto gli alberi ancor prima che gli Inglesi potessero riaversi dall’inaspettato attacco. Aveva le ali ai piedi; il pericolo raddoppiava la velocità.
Se non riusciva a porsi in salvo nei boschi dopo di aver varcate le palizzate prima che il nemico pensasse ad organizzare in furia un inseguimento, quella fuga poteva diventargli fatale. Si slanciò sul recinto con un solo salto aggrappandosi ai rami degli alberi e si gettò sulle rive dello stagno, lo passò a guado in meno di quello che lo si dica e si diede alla fuga nel mezzo della foresta, protetto dalle tenebre senza pensare che a frapporre tra sé ed i suoi nemici la maggior distanza possibile.
Nel momento che egli eseguiva quel secondo salto non meno ammirabile del primo sulla palizzata, gli Inglesi si erano lanciati come un sol uomo sulle sue traccie.
Egli li aveva uditi, aveva raccolte le loro grida di furore e le detonazioni delle loro armi, le cui palle recidevano i rami degli alberi e si schiacciavano contro i tronchi, ma ormai se ne rideva del loro numero e della superiorità dei mezzi.
Libero nella foresta dopo essere quasi miracolosamente fuggito a un pericolo sì grande nel momento in cui credevano di averlo nelle mani, non li temeva più, là, sotto gli alberi dove aveva agio di spiegare le astuzie della tigre, di far perdere le sue traccie ai più fini segugi, di opporre la rapidità al numero, il valore alla forza preponderante di quei che anelavano di vendetta, che volevano il suo sangue. Che importava a lui che tutta Labuan si mettesse in caccia quando era libero, armato, quando a ogni passo avea un rifugio, un nascondiglio impenetrabile, un mare che egli considerava come un amico, una giovanetta che gli soffiava all’orecchio la parola: t’amo? Non sarebbero stati capaci, no, di afferrare la Tigre della Malesia viva in mezzo al suo elemento, là, dove si preparava a lottare con quella ferocia che spaventava i più coraggiosi, dove si correva pericolo di vederla sorgere sotto a ogni cespuglio, sotto ogni ramo o piombare dall’alto degli alberi e dove toccava colpire.
— Mi si venga a trovare sotto le foreste, mi scovino questi miserabili cacciatori che fremono dinanzi alla tigre di Labuan; essi cadranno dinanzi alla Tigre della Malesia, fuggiranno come una banda di fanciulli spaventati dinanzi al ruggito di una belva. Solchino i mari coi loro fumanti incrociatori, battano i cespugli coi loro cani e coi loro cavalli, chiamino alle armi la popolazione intera, ma io passerò. Il mio prahos passerà là dove cento altri sono caduti, la mia sciabola si aprirà un varco là fra mille baionette, dove i più coraggiosi sono caduti. Mi ha detto di ritornare a Mompracem per rivedermi vincitore sotto le mura del suo parco, e lo sarò. Sì, Marianna, sì, fanciulla divina, degna della Tigre della Malesia, ritornerò per istrapparti da questi luoghi donde hanno scacciato colui che tu dicesti d’amare, per vendicarne l’affronto, e per trasportarti nella mia isola, nella mia Mompracem, fra i miei, e di là ove tu vorrai!
Le grida degli Inglesi man mano che si allontanava nella foresta correndo come un cavallo, andavano affievolendosi sempre più e le detonazioni diventavano più rare. Il pirata si arrestò un istante ai piedi di un gigantesco albero della canfora, per riprendere il respiro, per scegliere la via da prendersi in mezzo a quelle centinaia e centinaia di piante, le une più grandi delle altre, dove si vedeva come smarrito ad onta della sua solita perspicacia e per pensare sul da farsi in una posizione tanto difficile, su di un’isola nemica, con cinquanta uomini alle calcagna che gli davano la caccia.
La notte era chiara, grazie alla luna che brillava in un cielo senza nubi, spandendo i suoi raggi azzurrini di una infinita dolcezza, di una trasparenza vaporosa, che brillavano sulle fitte verzure, punteggiando in mille differenti guise il terreno coperto di rami e di foglie, scintillanti per la rugiada.
Il pirata avrebbe voluto che la notte fosse più oscura della culatta di un cannone da trentadue per correre meno pericolo di essere scorto dai suoi numerosi nemici di già lanciati sulle sue tracce per imboscarsi e sorprendere con più facilità qualche cacciatore troppo audace e cacciarsi dietro di lui nel dedalo della foresta. Aveva da guardarsi dalle palle che potevano da un istante all’altro piovere su di lui e fargli battere l’aria colle mani.
— Il nemico ha cominciato l’inseguimento — disse il pirata dopo di aver rattenuto il respiro e teso l’orecchio per cercar di raccogliere i minimi rumori. — Non bisogna commettere né pazzie né imprudenze, non bisogna aver fretta ma aspettare che abbia smarrito le tracce o perduta ogni speranza di raggiungermi. Essi pensano che io corra verso il mare per cercar qualche prahos: bene, io volgerò le spalle, fuggirò nella foresta e guai a loro se avranno l’ardire di venirmi a scovare.
Raccolse tutta la sua energia e tutte le forze centuplicate dall’amore e dall’odio, dalla libertà e dalla sete di vendetta, e, colla sciabola in pugno, dopo di essersi orizzontato colle stelle, volse le spalle alla costa e s’internò nella foresta dirigendosi a oriente, con passo silenzioso e rapido. Non conosceva i luoghi che aveva percorso una sola volta durante la caccia della tigre, ma tirava innanzi colla sicurezza di un indigeno, seguendo un sentieruzzo quasi invisibile che credeva conducesse nel più folto dei boschi, aprendosi spesso il passo fra cespugli spinosi a colpi di sciabola, scalando tronchi d’albero abbattuti chi sa da quanti secoli per decrepitezza e dal fulmine, e ora ricettacolo di un mondo d’insetti schifosi, arrampicandosi sui rami quando alberi troppo riuniti formavano una barriera che non poteva venir superata che mediante una scalata, che il pirata tosto eseguiva coll’agilità di una scimia verde, senza far gemere i rami e senza smovere le foglie, rumori che avrebbero potuto destare l’attenzione di qualche cercator di piste.
Continuò così a camminare, o meglio a strisciare, per più di un’ora, arrestandosi quando un uccello spaventato dalla sua presenza levavasi mandando strida di terrore o quando un animale selvatico prendeva la fuga urlando, e giunse sulle rive di un torrentello largo al più sei o sette piedi e le cui sponde erano coperte da fitte piante.
Egli si fermò un istante, guardando attentamente a dritta, a manca, dinanzi e di dietro, e assicurato del silenzio profondo che regnava a lui d’intorno, entrò nel letto fangoso.
— Non conoscono ancora tutte le astuzie della Tigre — mormorò egli sorridendo a fior di labbra. — Questa notte forse non ardiranno darmi la caccia in mezzo a questi alberi ma domani non si accontenteranno di ronzar sul limite della foresta. Hanno dei cani, degli animali intelligenti, ai quali il lord darà da fiutare qualcuno dei miei cenci, e si metteranno in cerca di me assieme a questi maledetti.
«La Tigre della Malesia sarà inseguita come la tigre di Labuan e da mastini e da cacciatori, cercata d’albero in albero, di cespuglio in cespuglio, a me adunque l’astuzia per far smarrire ogni mia traccia.
Il pirata rimontò il torrentello per un centinaio di passi, coll’acqua fino alle ginocchia, camminando su di un letto limaccioso dove penava a tenersi in piedi fra foglie e rami imputriditi e vermi d’acqua che schiacciava a centinaia, aprendo spesso colle dovute precauzioni le fronde degli alberi curvi, arrestandosi e abbassandosi. Bisognava far perdere le traccie non solo agli uomini ma anche ai cani e vi si adoperava a tutta lena. Non si arrestò che di fronte a un ramo colossale che si tendeva orizzontalmente al di sopra delle acque mormoranti.
— Ecco con che far impazzire i più arrabbiati cercatori di piste — mormorò egli e si rizzò a forza di braccia, strisciandovi sopra fino a guadagnare il tronco dell’albero, e cominciando la sua marcia aerea.
Per lui arrampicarsi di ramo in ramo come una scimia, passare di albero in albero senza far rumore, era un giuoco che aveva fatto cento volte nelle foreste di Borneo e di Mompracem. Sarebbe stato capace di percorrere cento miglia in quella maniera, passando sopra le teste dei nemici, senza destare la loro attenzione.
Aveva di già replicata sei volte l’audace manovra, quando un rumore, che sarebbe facilmente sfuggito a un orecchio che non fosse stato il suo, giunse fino a lui. Arrestò la pericolosa ascensione e ascoltò rattenendo il respiro, colla sciabola fra i denti e l’occhio in guardia, fisso al di sotto del folto fogliame.
Due uomini, due ombre silenziose si avanzavano cinquanta passi lontano, curvi fino a terra, osservando minutamente le foglie calpestate e i rami spezzati. Non tardò a conoscerli per due soldati.
— Ecco il nemico — mormorò egli. — Mi ha preceduto o mi sono io smarrito?
I due cercatori di piste, dopo di aver percorso alcuni passi, si arrestarono guardandosi attorno con un movimento pauroso che non sfuggì alla Tigre. Uno di essi guardò nell’aria scrutando fissamente il fogliame.
— Sai, John, che io ho una paura maledetta nel trovarmi sotto queste foreste? — disse egli.
— Lo so, e io non vado esente dallo stesso sentimento — rispose il compagno. — L’uomo che noi cerchiamo non è un uomo, è una tigre, che si nasconde anche sotto una foglia e che potrebbe capitarci addosso come il fulmine e mandarci al diavolo entrambi. Hai tu veduto come ha spacciato quel povero caporale?
— Perdio, se l’ho veduto! Ah! È ben un terribile uomo quello che noi andiamo cercando. Si correva all’assalto credendolo barricato nella casa, e invece era nascosto fra i cespugli come una tigre. L’ho veduto un sol istante, ma t’assicuro che mi è bastato, e che non vorrei vederlo mai più. Ha spaccato nettamente il cranio, al povero uomo ed è scomparso lasciandoci con un palmo di naso.
— Ma lord Guillonk, che diavolo faceva che non fu capace di ammazzarlo nella sua stanza?
— Ammazzarlo? Credi tu che si possa ammazzare così facilmente il terribile bandito che non ha paura di cinquanta dei più coraggiosi soldati d’Inghilterra incanutiti nelle più sanguinose battaglie? A quanto mi si raccontò, egli si è gettato sul valoroso capitano come una tigre, e dopo di averlo atterrato, quantunque non possedesse che un solo kriss, l’ha disarmato prendendo poi la fuga, senza lasciar traccie di sé preferendo saltar giù da una fenestra anziché incomodarsi a scendere le scale.
— Credi tu, Harry, che si giungerà a prenderlo? Io ne ho i miei dubbi.
— E io ho i miei, John. Quell’uomo è il diavolo in persona, che sarà capace di elevare una barriera insuperabile fra sé e i suoi inseguitori, barriera che durerà fino a che troverà mezzo di imbarcarsi e di veleggiare verso la sua dannata Mompracem a dispetto degli incrociatori. Che pazza idea che ha avuto di venir ad approdare a Labuan.
— Ma a onta di tante difficoltà, non mancano coloro che sperano di pigliarlo. Uno di questi è il baronetto William, quello che fa gli occhi dolci a lady Marianna. Egli ha giurato che vivo o morto prenderà la Tigre; credo che sia il prezzo del matrimonio stabilito con lord James.
— Si fa presto a dirlo, che vivo o morto si prenderà, il bello si è a scovarlo prima di tutto, e chi sa dove diavolo questo pirata si sarà nascosto. Io scommetto che mentre noi lo cerchiamo da questa parte, e gli altri frugano la costa occidentale, egli vola invece verso le coste settentrionali.
— Hai ragione, e il nostro isolamento mi preoccupa. Non abbiamo che il sergente Willis che ci segue. Non so chi ci potrà aiutare se ci troviamo di fronte al terribile pirata. Pieghiamo all’ovest Harry.
— E il sergente?
— Al diavolo il sergente! Quando non ci vedrà più, piglierà pur egli la via all’ovest, ben sapendo che il pirata si è diretto al sud, dove si dice che vi sia un prahos ancorato.
— Andiamo allora. Willis si trarrà d’impiccio da sé.
I due soldati, dato uno sguardo all’intorno per iscarico di coscienza, se la batterono rapidamente scomparendo sotto gli alberi.
Il pirata, che non aveva perduto sillaba dei loro discorsi, quando non udì più i loro passi, si lasciò scivolare fino a terra senza rumore.
— Bene — diss’egli. — Si ha paura della Tigre, ma la si insegue. Tutti mi danno la caccia piegando verso le coste occidentali e meridionali, dove si dice essere un prahos, benissimo, saprò regolarmi per volgere loro le spalle. Stiamo attenti però; ho un sergente alle calcagna, Willis. Lo incontrerò.
Egli riprese la silenziosa marcia, dirigendosi all’est, dove sapeva non esservi cacciatori.
Entrò una seconda volta nel torrente, e guadagnò la riva opposta sbarrata da una fitta cortina di cespugli, si aprì il passo e rientrò nella foresta sempre più oscura. Stava per guadagnare un albero sul quale contava di passare il restante della notte per ripigliare all’indomani la fuga quando una voce imperiosa, minacciosa gli gridò agli orecchi:
— Se fate un passo, se fate un gesto, siete morto!…
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