La nuova che Sandokan era ritornato, si era sparsa colla rapidità del lampo in tutta l’isola.
Il piroscafo non era ancora scomparso che una folla delirante, composta dei più vecchi campioni della pirateria, era di già salita sulla rupe a felicitare il gran capo del suo ritorno.
Era tanta la gioia che animava quei tigrotti, che pareva proprio che volessero soffocarlo fra gli abbracci. Sandokan si sentiva suo malgrado commosso di quelle prove di simpatia dei suoi uomini, e seppellendo per un istante l’abisso che lo separava da loro nella sua qualità di gran capo, abbracciava e lasciavasi abbracciare da tutti. Era un delirio d’ambe le parti.
Non si parlò né dei morti, né della sconfitta, non si udì il più piccolo lamento uscire dalle labbra di quegli uomini abituati a ogni sorta di pericoli e di dolori quantunque più di uno avesse perduto l’amico, il fratello e persino il figlio. Quegli uomini o meglio quei tigrotti si sarebbero vergognati di spargere una lagrima dinanzi alla Tigre della Malesia, che era il loro dio. Non si parlò nemmeno di vendetta, ben sapendo che la terribile Tigre non avrebbe lasciato impunita una tal sanguinosa rotta.
— Amici! — disse Sandokan, dopo di aver ascoltato le loro felicitazioni. — Amici! Gli è pur vero che un leone che aveva denti cento volte più numerosi di noi, che aveva artigli cento volte più lunghi, che ruggiva assai di più, ha fatto mordere la polvere alla Tigre della Malesia; ma non abbiate timore, che verrà il tempo in cui gli si darà alla sua volta il colpo di grazia. Voi l’avete veduto il brigante venir a fumare insolentemente fin sotto le temute nostre coste, credendo che la Tigre fosse morta, ma voi lo avete pur veduto fremere e tremare, quando mi scorse lassù sulla mia roccia, accanto alla mia bandiera più vivo di prima e assetato di vendetta!
«No, tigrotti, no, gli eroi che caddero pugnando sotto la coste dell’isola maledetta non rimarranno invendicati, ve lo giuro. Andremo ancora su quella terra esecrata, e colà renderemo pur noi ruggito per ruggito, ferro per ferro, sangue per sangue. Quel giorno tigri e leoni lotteranno fino all’ultimo sangue e i tigrotti di Mompracem divoreranno i leoncini di Labuan!…
Quelle parole, pronunciate con quell’accento feroce col quale le sapeva pronunciare la Tigre della Malesia, furono affascinanti: i capi della pirateria si sentirono correre per le ossa un fremito di terribile entusiasmo. Ogni braccio alzò un’arma e un solo grido irruppe tremendo da tutti i petti:
— Sangue! Sangue! Sangue!…
— E sangue sia! — rispose Sandokan.
L’adunanza ad un suo cenno si sciolse. I pirati scesero alla spiaggia urlando sempre con quanta voce avevano in corpo.
Sandokan stette lì a guardare i suoi tigrotti che parevano impazziti. Crollò ripetutamente il capo con gesto ripieno di disperante tristezza e si volse verso Yanez col volto tetro.
— Ho ancora la voce della Tigre della Malesia, ma sento di non averne più il cuore — mormorò egli cupamente.
— Sandokan — disse il Portoghese posando le sue mani sulle di lui spalle, — quando saremo a Labuan avrai anche il cuore dell’antica Tigre della Malesia.
— Sì, allora… e poi? — domandò il pirata, guardandolo in volto.
— Poi, sarà ciò che Dio vorrà. Vattene a dormire, tu sei ammalato.
— Lo so, Yanez, ma ancora per poco. Guarirò!
Il pirata che si sentiva affranto per le sofferenze fisiche e morali rientrò nella capanna, dopo di aver lanciato uno sguardo di fuoco verso l’oriente. Il Portoghese invece discese la scala avviandosi alla spiaggia, coll’intenzione senza dubbio di intraprendere qualche cosa di serio.
La Tigre della Malesia, dopo di aver sorseggiato qualche tazza di the che usava come fosse un Chinese di Canton, si sedette dinanzi al tavolo più cupo che mai. Con mano nervosa fece saltare i tappi di una mezza dozzina di bottiglie di wisky, la sua bevanda prediletta e che usava senza parsimonia.
Si mise a bere con una specie di rabbia, vuotando un dopo l’altro parecchi bicchieri quasi avesse l’intenzione di soffocare la gelosia che lo rodeva e i timori che l’agitavano. Si arrestò al sesto bicchiere.
— Ah! — esclamò con voce sempre più sorda. — Potessi addormentarmi e non risvegliarmi che il dì della partenza. Questo amore mi rode atrocemente; questa impazienza mi uccide!…
Si mise a camminare per la stanza calpestando i tappeti, rovesciando le bottiglie e infrangendo i cristalli ammucchiati negli angoli, poi andò fermarsi dinanzi all’armonium che aprì.
— Darei mezzo del mio sangue per poter cantar pur io una di quelle care canzoni che lei cantava quando languiva vinto e ferito sul letto del dolore. E non è possibile, non mi rammento più nulla. Era una lingua straniera, e quando la udiva mi sembrava di essere ebbro… ah! come eri bella allora, come eri divina Marianna!…
Fece scorrere le sue dita sulla tastiera e si mise a suonare cercando rammentarsi qualche nota che non gli fosse del tutto sfuggita, arrestandosi per cercarne qualche altra che non trovava più e tentando ma invano di imitare la voce della napoletana. Dalle note flebili e dolci allora balzò improvvisamente a quelle sorde, cui voleva improntare d’ironia e di sogghigni, poi si mise a suonare rapidamente ciò che gli saltava in capo, quasi volesse stordirsi. Toccò tre o quattro di quelle romanze selvaggie, tutte sue proprie, poi s’arrestò come se un nuovo pensiero l’avesse colpito.
Ritornò al tavoliere colla testa in fiamme e afferrando con mano convulsa un bicchiere lo empì sino all’orlo. Egli guardò attentamente in fondo della tazza.
— Ah! Vedo gli occhi di lei nel fondo della tazza! — esclamò ridendo d’un riso insensato.
La vuotò, la empì e tornò a vuotarla, guardandone sempre il fondo come lo attirasse.
— Ah! Ah! — continuò il pirata che perdeva a poco a poco le facoltà mentali sotto l’ubbriachezza che s’impadroniva di lui. — Ah! Ah! Vedo tutto rosso, tutto sangue!… Avanti, fantasmi, avanti, venite a sedere di fronte a me, là, bevete, bevete… il liquore arde ma addormenta, il mondo sembra un sogno dorato, sì, tutto un sogno dorato… bevete, bevete che le giacche rosse dormono anch’esse, bevete, bevete che dorme anche la Perla!…
Il pirata continuò a bere senza più numerare i bicchieri, ingollando il wisky come fosse semplice acqua, abbandonandosi a una terribile ebbrezza che diventava per lui un sollievo, alternando alle parole insensati scrosci di risa.
— Marianna! — gridava egli alzando le braccia come cercasse di afferrarla e tentando di abbandonare la seggiola. — Marianna, aspetta ancora, che i miei pirati abbiano bevuto sangue, poi verrò da te. Aspetta che le polveri bagnate dal wisky sieno asciutte, che le scimitarre sieno lucenti, e poi ti raggiungerò a dispetto del lord, poi sarò tuo come tu sarai mia… Sì, sì, io verrò a Labuan che dovrà fremere al mio avvicinarsi e accompagnato dal corteo dei fantasmi che chiedono vendetta, che chiedono sangue… Io sono forte, sono l’aquila di Mompracem, il dio dei miei pirati… aspetta ancora, io vengo.
Sandokan cercò rizzarsi poi si mise a ridere d’un riso stupido e continuò a bere.
— Verrò dove tu vorrai, amor mio — continuò egli, — laggiù, in un’isola deserta, in un eden, lontano da questi mari che potrebbero attirarmi, lontano da questi fantasmi che assordano le mie orecchie giorno e notte, lontano dai miei uomini che potrebbero tradirti, che potrebbero ucciderti, avvelenarti, perché io rimanga sempre la terribile Tigre della Malesia!
«Guarda… guarda, Marianna, io ti porterò meco, partiremo soli, di notte… sì di notte oscura perché non abbiano a farti paura e non abbiano a separarci. Andremo a trovar le gioie nell’isola che ti ho promesso, e il Portoghese… capisci, il mio fratello, verrà con noi, ci difenderà!… Su, su, bevete anime perdute, bevete con me che le giacche rosse dormono ancora. Ah! Ah! Ah!…
Sturò una seconda bottiglia e si versò da bere girando attorno uno sguardo inebetito. Gli sembrò vedere delle ombre volare dinanzi agli occhi che ghignando folleggiassero mostrando kriss, scuri e scimitarre insanguinate. In una di esse, che sogghignava più di tutte credette di scorgere il baronetto William. Si sentì preso da un impeto di collera e tremò tutto digrignando i denti. Egli agitò le braccia come volesse afferrarlo.
— Ti vedo… sì, ti vedo, odo i tuoi sogghigni, maledetta giacca rossa, ma se posso afferrarti guai, guai a te. La Tigre della Malesia succerà il tuo cervello. Tu vuoi rubarmela, lo vedo nei tuoi occhi nei quali leggo come su un libro aperto; tu ridi perché hai il lord, lo stupido che ha curato il pirata, l’insensato che mi ha lasciato fuggire! Ah! Ah! Non riderai troppo, mi vedrai tra breve illuminato dalle fiamme degli incendi, in mezzo alle fiamme come mi hai veduto ancora, quando passavi… non mi ricordo più dove… ma mi hai veduto! Se hai sete vieni a bere nella mia tazza che non contiene ora veleno. Vieni a bere anche tu come hanno bevuto i fantasmi!…
Il pirata alzò la tazza come per presentarla all’ombra, poi la lasciò cadere spezzandola. Tornò a ridere.
— Non si vuol che beva? Chi è che non lo vuole? Ah! siete voi, tutti i miei uomini! Vedi, Marianna, non vogliono che io ti ami perché hai del sangue… del sangue inglese. Sì, deve essere così, non vogliono che ami! Ah! Ah! Ma ti farò mia lo stesso, poi farò ciò che tu vorrai, sì io li tradirò… saranno puniti, Mompracem cadrà, e Labuan… oh! Cadrà pure, cadrà!…
Egli era giunto allora al colmo dell’ebbrezza. Si sentì prendere da una smania di distruggere e rovesciò il tavolino mandando sottosopra e bottiglie e tazze che si infransero con fracasso. Dopo reiterati sforzi poté rizzarsi e si mise a camminare per la stanza barcollando, aggrappandosi alle mobiglie.
— Vi vedo tutti, sì, vi vedo, ma aspettate che ora giungerà la Tigre!… Silenzio schifosi cani. Chi dice che io non sia la Tigre?
Il delirio, il tremendo delirio che l’assaliva nei momenti di furore e d’ebbrezza lo prese. Sostenendosi a malapena, appoggiandosi ai muri, rovesciando il vasellame e spezzando le vetraglie e urlando come un pazzo s’impossessò di una scimitarra. La guardò per alcuni istanti con feroce gioia, lasciò sfuggire dalle labbra un gran scroscio di risa selvaggie e si mise a menare colpi disperati correndo dietro ai fantasmi che parevagli vederseli folleggiar d’intorno, lacerando le tappezzerie, avventando tremendi colpi sugli scaffali, sulle tavole, sulle casse, sull’armonium, brancolando, incespicando, ridendo, bestemmiando e ruggendo come una belva feroce.
Guai a colui che in quei momenti gli si fosse presentato dinanzi. Il Portoghese stesso non sarebbe stato risparmiato dalla scimitarra del delirante. Urlò per mezz’ora, combattendo come un dannato come se si trattasse di dover sbaragliare un intero esercito, facendo piovere dai vetri infranti degli scaffali torrenti d’oro, d’argento e di perle, poi le forze gli vennero improvvisamente meno e cadde in mezzo ai rottami addormentandosi profondamente.
Dormì tre o quattro ore e quando si svegliò trovossi coricato sull’ottomana dove i suoi Malesi l’avevano portato.
I vetri spezzati erano stati già tolti di là, gli ori e le perle erano state ricollocate scrupolosamente al loro posto, i mobili rovesciati erano stati raddrizzati e raggiustati alla meglio. Solo si vedevano le traccie lasciate qua e là dalla scimitarra sulle muraglie e sulle tappezzerie ancora lacerate.
Il pirata si stropicciò gli occhi e si passò più volte le mani sulla fronte come cercasse rammentarsi dell’accaduto.
— Non posso aver sognato — mormorò egli. — Sì, era ubbriaco e mi sentiva felice, oh! sì, molto felice. Orsù, il fuoco spento ricomincia a serpeggiarmi nelle vene. Che non lo possa io spegnere mai più?
Si strappò di dosso la divisa del sergente Willis, indossò nuove vesti, scintillanti per le perle sparse a profusione, e uscì.
Il sole era ancora alto; non potevano essere che le quattro. Aspirò una boccata d’aria marina che dissipò compiutamente gli ultimi resti dell’ubbriachezza e percorse collo sguardo il mare che estendevasi a perdita d’occhio ai suoi piedi.
Egli rimase lì alcuni minuti, collo sguardo fisso fisso all’est, verso Labuan, col volto tristo e truce insieme, poi scese la scala dirigendosi alla spiaggia dove i suoi pirati lavoravano attivamente attorno a nuove trincee ed ai terrapieni. Chiamò Giro Batoë che s’affaccendava a porre in batteria un enorme cannone.
Il Malese fu lesto ad avvicinarglisi.
— Dov’è il Portoghese? — gli domandò Sandokan.
— Ha preso il largo a bordo di uno dei più rapidi prahos, dopo di essersi intrattenuto a parlar qualche tempo con un indigeno. Mi sembrò che parlassero di una pericolosa spedizione ma non ha preso con sé che una ventina d’uomini.
— Non sai dove andava adunque? — chiese Sandokan, diventato d’un tratto pensieroso.
— No, non ha detto nulla — rispose il Malese. — Mi pareva però preoccupato.
— Da dove veniva l’indigeno?
— Dal nord e ha preso pure il Portoghese la via del nord accelerando la corsa coi remi. Doveva avere gran fretta.
Sandokan stette qualche istante silenzioso guardando il mare poi volgendosi bruscamente verso il Malese che lo guardava attentamente come volesse leggergli negli occhi:
— Va a prendermi un moschetto, Giro Batoë. Andremo a cacciare il cignale nella foresta.
Il Malese partì come il vento e tornò poco dopo colla carabina. Sandokan se la gettò ad armacollo e internossi col compagno nella foresta vicina.
Batterono i dintorni tutta la giornata senza aver scambiato parola, ammazzando una dozzina di pappagalli e un piccolo babirussa sorpreso in una macchia. Dopo di aver percorso parecchie miglia, lasciando qualche brano di vesti fra le spine e di aver fatta una breve fermata nella capanna di un Cinese a vuotare una bottiglia di tafià, ritornarono alla spiaggia al tramontare del sole. Sandokan che alla mattina era cupo, pareva felice.
Domandò ancora del Portoghese, ma non era ritornato. Quella risposta lo preoccupò e divenne pensieroso.
— Che si sia spinto fino sulle coste di Labuan? — mormorò egli. — Che ne pensi tu, Giro Batoë?
— Io penso che egli avrà fiutato qualche cosa d’insolito, capitano — rispose il Malese che sgambettava ai suoi fianchi. — Il negro deve avergli comunicato qualche cosa d’importante dalla fretta con cui prese il largo. Chi sa che non si tratti d’Inglesi? Non sarei sorpreso se stesse cacciando qualche vaporiera verso Labuan.
— Potrebbe darsi, Giro Batoë, solo mi sorprende come abbia preso con sé così pochi uomini.
— Sì ma ha fatto imbarcare i tre più grossi cannoni da caccia che vi sieno in Mompracem, e ha scelto il fiore dei coraggiosi. Con simili forze, si possono fare grandi cose, capitano.
— Ah! È così adunque? — disse Sandokan. — In tal caso, preoccuparsi sarebbe una follia. Ehi! Giro Batoë, cercami tre o quattro dei più arrabbiati bevitori fra i capi dei prahos e vieni con essi a trovarmi lassù. Ho bisogno di bere, ho bisogno di dormire. Senza wisky non chiuderei occhio.
Egli ritornò alla sua capanna. Girò e rigirò a casaccio fra le trincee come cercasse qualche cosa e finì col sedersi sul ciglione della rupe coi piedi penzolanti, guardando all’oriente cercando scoprire il prahos del Portoghese e lanciando i suoi pensieri al di là del mare verso Labuan e meglio ancora alla villa. Rimase così fino a notte inoltrata, inebbriandosí dell’aria marina, pensieroso, ancora cupo, porgendo orecchio al muggito del mare che frangevasi furiosamente ai piedi della rupe e mirando quelle onde che pur bagnavano le coste dell’isola di Marianna, poi rientrò nella sua capanna dove i capi dei prahos lo aspettavano colle tazze colme in mano.
Passò una gran parte della notte gozzovigliando con loro, e andò a dormire a ora assai tarda, dopo di aver vagato a lungo sulla piattaforma della rupe, per calmare le arsure che lo divoravano.
Dormì pochissimo e sempre sognando cose lugubri; venne destato da Giro Batoë all’alba.
— Che vuoi? — chiese Sandokan.
— Il Portoghese è in vista della costa — rispose il Malese.
Sandokan s’affrettò a uscire e scorse subito il prahos che veleggiava a tre o quattro miglia dalle coste, colla rossa bandiera ondeggiante a poppa. Il povero legno era ridotto in uno stato compassionevole. L’albero di trinchetto era spezzato raso il ponte, quello di maistra si sosteneva a malapena con una fitta rete di paterazzi e di sartie. Murate e madieri erano tutti fracassati, schiantati e tempestati di stoppacci che chiudevano numerosissimi fori.
— Se non m’inganno, il prahos si è ben battuto — disse Sandokan. — Come mai non trae a rimorchio preda alcuna?
— Potrebbe darsi che avesse nella stiva qualche tonnellata di minerale giallo — rispose Giro Batoë.
— Forse… Oh! Dimmi, Giro Batoë, non vedo sul ponte vicino a un cannone, un uomo che sembra legato? Per Allah! Egli porta un vestito rosso!
— Sangue di Maometto! — esclamò Giro Batoë portando le mani dinanzi agli occhi per ripararli dal sole. — Quell’uomo là è una giacca rossa. Eh! Sarebbe una bella presa, capitano, per avere notizie da Labuan.
— Ma vuoi tu che Yanez si sia spinto fino alle coste di quell’isola? Bisogna che abbia calato a picco qualche vaporiera. A ogni modo andiamo a vedere.
I due pirati scesero sulla spiaggia dove si erano radunati tutti i pirati del villaggio.
Il prahos che avanzava frettoloso era allora vicinissimo. Il Portoghese Yanez scorgendo Sandokan alzò le mani in aria stropicciandole l’una contro l’altra con far allegro.
— Buona preda, Sandokan! — gridò poscia additando il soldato inglese. Cinque minuti dopo il legno gettava l’âncora nella piccola rada. L’imbarcazione venne calata in mare e portò a terra Yanez, il soldato inglese e sette pirati più o meno gravemente feriti.
— Ebbene, fratello — disse Sandokan. — Da dove vieni?
— Puoi vederlo che vengo dal mare — rispose Yanez, — e che ti porto una preda preziosissima che pescai proprio nel momento che se ne andava a picco. Vieni lassù alla nostra capanna, Sandokan, e ti racconterò qual valore abbia questa preda.
— Hai saccheggiato qualche brigantino inglese? Oppure ti sei spinto fino a Labuan?
— Né l’uno né l’altro, amico mio. Non ho preso nemmeno un pugno d’oro, ho invece ricevuto ferro a volontà che ha demattato completamente il mio povero legno, una vera pioggia di bombe che faceva saltare i miei uomini sopra e sotto coperta. Che tempesta! Mi ha ammazzato due tigrotti e me ne ha rovinato altri sei o sette. Orsù, fratello mio, andiamo alla capanna e tu, Giro Batoë, tieni bene d’occhio questa giacca rossa e sta attento che non abbiano a guastarmela interamente.
La raccomandazione capitava a tempo, poiché i pirati avevano circondato il prigioniero strappandogli la barba e i capelli e lacerandogli per derisione i suoi argentati galloni da caporale.
Giro Batoë affrettossi a levare dalle loro mani il povero diavolo che urlava di dolore e lo condusse nella sua capanna dopo di averlo ben bene legato. Yanez e Sandokan salirono sulla piattaforma della rupe e s’accomodarono fra le trincee.
— Orsù, Yanez, racconta — disse la Tigre. — Non vedi che io ardo d’impazienza? Sei stato a Labuan?
— Per quanto il prahos camminasse, non avrei avuto il tempo per essere di ritorno così presto. Quando ti lasciai, aveva l’idea di corseggiare nelle acque dell’isola per cercare se era possibile di avere qualche notizia sulla lady. Stava per dare gli ordini opportuni perché armassero uno dei più grandi prahos quando incontrai il Nano che veniva dal nord ov’era stato a pescare.
— Bene, e poi?
— Il birbone mi raccontò che mentre tornava s’imbatté in un sospiratore affannato che andava frugando i seni della nostra isola. Tu sai già, che un sospiratore affannato è una vaporiera.
— E tu l’hai inseguita?
— Aspetta un po’, fratello mio, che abbiamo del tempo dinanzi. Mi sono messo subitamente in mare col fiore dei più coraggiosi e tre dei più grossi cannoni che abbia Mompracem. A sera scoprimmo la vaporiera che fumava allegramente ritornandosene a Labuan. Con un colpo di cannone la facciamo avvisata che noi eravamo vicini, uno stupendo colpo che va a mozzarle nettamente la ciminiera. Viriamo di prua tagliandole la ritirata e cominciamo la musica.
«Bisogna proprio dire che avesse a bordo gente dal fegato grosso. Ruggivano come noi e ci malmenavano per bene, ma per mille saette! la coprimmo di ferro.
«I suoi fianchi si aprivano crepitando sotto la nostra mitraglia che batteva furiosamente in breccia e il suo ponte si seminava di cadaveri. Fumava e fischiava così terribilmente da credere sul serio che fosse sempre lì lì per saltare.
«Gli tiriamo una bordata sul ponte con tutti e tre i cannoni. Due giacche rosse che si tenevano in piedi sulla murata di poppa come equilibristi giapponesi, capitombolano in mare. Era quello che voleva. La vaporiera infuriava e non parlava di resa, non vi era da guadagnare continuando la danza; gli mandiamo un’altra fiancata, in forma di saluto sull’attrezzatura e cediamo il passo. Mentre se ne fuggiva tutta fumante, credendo ancor un sogno di averla scampata bella, noi peschiamo bravamente i due uomini; uno era morente colla testa fracassata e l’altro era vivo e te lo riporto. Egli ha l’aria di saperla molto lunga sul conto di quel baronetto di cui tu me ne hai parlato, e di più, viene da Labuan.
— Da Labuan? — esclamò Sandokan. — E che ti raccontò egli?
— Eh! Il mariuolo ha la lingua corta, Sandokan, e ho dovuto penare per farlo cantare.
— Vieni con me, Yanez; noi lo faremo parlare e a chiare note.
Si alzò rapidamente, scese la scaletta e raggiunse in un lampo la capanna di Giro Batoë, sempre seguito dal Portoghese che si stropicciava allegramente le mani come uomo che è perfettamente contento.
Il soldato, un caporale a giudicarlo dai resti dei gradi lasciatigli dai pirati, era legato solidamente a un anello di ferro e guardato da Giro Batoë che non era riuscito a strappargli una parola, dopo di avergli parlato inglese, malese e cinese. Alla vista di Sandokan, egli manifestò qualche sorpresa, guardandolo attentamente dalla testa ai piedi ma senza dir verbo.
— Mi riconosci forse? — domandò il pirata avvicinandosi, mentre Giro Batoë, a un cenno del Portoghese, usciva.
Il caporale si strinse nelle spalle ed ebbe un sorriso la cui espressione non isfuggì al pirata.
— Se ti avessi visto una sola volta — disse egli, — non avrei dimenticato mai un volto così truce come il tuo, che sa di pirata a una lega di distanza.
— Bene — disse freddamente Sandokan, — guardami bene in volto. Io sono la Tigre della Malesia!
L’Inglese si mise a sogghignare crollando ripetutamente il capo con moto dubitativo.
— La Tigre della Malesia non può essere ritornata a Mompracem. Essa è ancora laggiù, a Labuan, sotto le foreste inseguita come una vera tigre da tutti i cacciatori della colonia. Forse a quest’ora è anche morta.
— Guarda, io era nella villa di lord Guillonk quando i tuoi hanno circondato il parco; ho atterrato il lord e sono passato in mezzo alle baionette dopo di aver spaccato la testa a uno che aveva avuto l’ardire d’insultarmi. Il baronetto, che voi chiamate William, comandava la spedizione; m’inganno io?
— No; io faceva parte di coloro che circondavano il parco — rispose il soldato.
— Io sono fuggito sotto la foresta — continuò Sandokan, — ho spogliato il sergente Willis dopo di averlo battuto, ho ingannato tutti i soldati così travestito, e sono giunto alla costa la sera del 26 aprile col Malese che ti custodiva poco fa. Credi ora tu che io sia la Tigre della Malesia?
— Potrebbe darsi — rispose il soldato, che però non dubitava più di avere la Tigre in persona dinanzi.
— Sai che la Tigre sarebbe capace di bere il tuo sangue e di strapparti il cuore e divorarlo ancor palpitante.
— Forse! — Ma il soldato, nel pronunciare la parola impallidì, la qual cosa non sfuggì a Sandokan che lo guardava attentamente.
— Discorriamo allora e non cacciarti in mente di restar muto. Quando io sono fuggito dove m’avete dato la caccia?
Il soldato non rispose, anzi si morse le labbra perché non uscisse una sola parola.
— Cominci male, cane d’Inglese! — esclamò Sandokan che si sentì preso da un impeto di collera. — Bada bene, vi sono kriss che tagliano un corpo in diecimila pezzi, tenaglie roventi che strappano la carne a brano a brano, piombo liquefatto da far sorseggiare ai ricalcitranti e del fuoco per farli arrostire lentamente. Voi mi avete dato la caccia verso il sud, te lo dirò io, poi siete ritornati al nord e non trovandomi, sospettando che io avessi di già preso la fuga, vi siete messi in mare. Bene, parlami ora del baronetto William e di lord Guillonk. Che ha fatto il primo?
— Io non lo conosco, non so nulla; mi hanno mandato al nord — rispose il caporale.
Sandokan pose mano al kriss. Avvicinossi al caporale che impallidiva come un morto e glielo puntò alla gola facendone uscire una goccia di sangue. Il prigioniero gettò un grido di dolore.
— Parla o ti ammazzo — disse freddamente il pirata senza staccare il kriss che beveva sangue.
— Parlerò, lasciatemi! parlerò, vi dirò tutto. Il baronetto è ritornato alla villa più cupo del solito e bestemmiando. Vi aveva cacciato tutta la giornata, la notte e il dì seguente ora all’occidente e ora al sud senza trovarvi. Egli aveva promesso al lord di portare la vostra testa, per avere la mano di sua nepote, milady Marianna. Quando ha veduto che le ricerche riuscivano infruttuose, era in preda al furore. Ha comandato ai piroscafi di mettersi in mare.
— Continua, continua! — esclamò Sandokan, che non perdeva sillaba.
— Io faceva parte della scorta del baronetto e sono salito con lui nella villa dove il lord lo aspettava ansiosamente, bestemmiando per non potersi mettere anche lui in caccia. Aveva una ferita in una gamba fattagli inavvertitamente dalla Tigre della Malesia nel mentre che disputavagli il passo.
— Lo aveva ferito dunque io? Spicciati, parla, se ti è cara la vita.
— La Tigre accidentalmente, a quanto asserì egli, l’aveva ferito. Il lord udendo come la caccia non fosse riuscita perdette la calma e inveì contro il baronetto che giurava di pigliarvi tardi o presto. Non si calmò che dopo qualche ora, ma la sua ira tornò a scoppiare quando vide sua nepote milady…
— Lei! Lei! Marianna! — esclamò il pirata, che sentì il sangue montargli alla testa. — Parla! Parla, cane d’Inglese, spicciati ma non ingannarmi, capisci. Mi sentirei capace di farti a brani colle mie mani.
Il soldato vedendolo in quella maniera, ebbe paura. Un’occhiata del pirata l’obbligò a tirar innanzi.
— Ne seguì una scena violenta — diss’egli con voce tremante. — La giovanetta piangeva, invocando pietà per voi.
— Ah! — esclamò Sandokan con voce che non aveva più nulla di umano. — Lo senti Yanez? Lo senti?
— Continuate — disse il Portoghese. — Ma un avviso prima: se parli avrai la libertà e se taci ti faremo abbruciar vivo. Bada che le tue parole sieno vere. Tu rimarrai qui prigioniero finché noi andremo a Labuan, quindi al nostro ritorno potremo sapere se tu hai mentito. Tira innanzi ora e sta bene in guardia.
— Non v’ingannerò — rispose il soldato che si vedeva in piena balia dei pirati. — La giovanetta pregava, il lord bestemmiava contro la Tigre. Fu allora che la lady, che dicesi si sia innamorata del terribile corsaro, udendo che lo si insultava, si precipitò addosso al suo zio giurando che sarebbe fuggita se non cessava dal vituperare un nome a lei tanto caro.
«Il lord dopo un vivo alterco la lasciò sola uscendo col baronetto William…
— Bene, e poi? — chiese Sandokan che sentivasi il cuore battere furiosamente.
— Hanno parlato a lungo assieme, e il lord ha finito col cedere la mano di sua nepote al baronetto a patto che questi entro un anno gli porti la testa della Tigre.
— Avanti! Avanti!…
— Fra tre o quattro giorni lady Marianna Guillonk diverrà la moglie del baronetto William Rosenthal!
Sandokan aveva gettato uno spaventevole urlo come di belva ferita. Egli barcollò e chiuse gli occhi.
— Fra tre giorni! Fra tre giorni! — ruggì egli con indefinibile accento.
Si raddrizzò, avvicinossi al soldato che non capiva il perché di quella terribile alterazione, e l’afferrò per le braccia tenagliandogli le carni e scuotendolo con furore.
— Guardami bene in volto! — gli gridò agli orecchi. — Io sono la Tigre della Malesia!
— Oh!…
— Se tu mi hai ingannato guai a te!
— Vi giuro che dissi la verità.
— Sta bene. Tu rimarrai e io volerò a Labuan. Quando tornerò sarai libero e ti darò tanto oro quanto pesi, ma se hai mentito, ti farò soffrire mille torture. Vattene, cane, e medita.
Il pirata si volse al Portoghese che lo guardava fisso colle braccia incrociate.
— Partiamo, Yanez — gli disse con voce risoluta.
— Partiamo, Sandokan — rispose il Portoghese.
E i due uomini uscirono a rapidi passi.
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