Dopo la repentina quanto brutale aggressione, che con simile tempo e in momenti così critici i pirati non s’avrebbero giammai aspettato, il povero prahos scomparve nel cavo di un’immensa onda, dalla quale non uscì che perdendo il rimanente dell’alberatura.
Sandokan, rovesciato coll’equipaggio da quel violento rollio, appena che fu capace di rizzarsi, abbandonata la ribolla del timone a rischio di compromettere la sicurezza del legno, si slanciò con un sol salto a prua, cercando scoprire l’audace che insolentemente lo sfidava in mezzo all’uragano.
— Ah! Ah! — esclamò egli sogghignando. — Vi sono degli incrociatori che battono il mare e provocano con simile tempesta?
Infatti l’aggressore, che in mezzo a quel formidabile rimescolamento del mare, trovava modo di sparar cannonate con matematica precisione, era un gran vascello a vapore sul cui picco sventolava la rossa bandiera inglese e sulla cima dell’alberetto di maistra il gran nastro dei legni da guerra. Il birbante era a meno di seicento metri, e cercava di far fronte alle onde che l’assalivano furiosamente a prua, inabissandosi enormemente e sbandando spaventosamente per l’eccessivo peso della sua costruzione di ferro.
— Tutti sul ponte! — esclamò Sandokan ripigliando la ribolla del timone nel momento che il prahos abbandonato a sé stesso si gettava fuori di via portandosi al nord.
— Dobbiamo rispondere? — chiese un marinaio, che si teneva aggrappato a una delle spingarde, pronto a farla cantare.
Un secondo colpo di cannone rimbombò, la palla fischiò agli orecchi dei pirati.
— Ah! birbante! — esclamò Paranoa, che aveva preso la miccia.
Una montagna d’acqua precipitossi contro il vascello che fu violentemente respinto verso il nord, nonostante che la sua macchina non cessasse di funzionare.
Il prahos senza vele e terribilmente battuto fu alla sua volta portato duecento passi più vicino all’incrociatore che si sforzava di raggiungerlo.
— Ehi! Sandokan! — esclamò il Portoghese. — Noi diamo indietro, gettandoci in bocca al leone! Se la continuerà così non approderemo più a Labuan, senza un lembo di tela e sotto il cannone del maledetto.
— Silenzio! — comandò la Tigre, senza abbandonare il timone. — Rizzate un pezzo di albero e una trinchettina.
Il prahos fu lanciato al nord di venti passi dopo essere stato dondolato per qualche tratto sulla cresta di un’onda, offrendo punto di mira all’incrociatore, che respinto alla sua volta tirava sempre col suo grosso cannone di prua. Una nuova palla frantumò l’estremità del pennone di trinchetto. I pirati si misero a urlare come aquile cercando puntare uno dei cannoni.
— Sangue di Maometto, giù un albero! — gridò il Portoghese. — Lasciate che la canaglia strepiti.
I momenti erano preziosi. Il povero legno mutilato, senza direzione e senza stabilità per l’assoluta mancanza di vele, andava attraversando le onde con ispaventevoli rollii minacciando di ingavonarsi in uno degli avvallamenti e di non uscirne mai più non ostante gli sforzi disperati di Sandokan, che tentavo rimetterlo sulla via dell’est manovrando a timone.
I pirati, abbandonando i cannoni, divenuti inutili fra tutto quel diavolio, fra quei colpi di mare che spazzavano da un capo all’altro e incessantemente il ponte e i cui colpi sarebbero stati incerti fra quei violenti rollii, si misero all’opera senza smarrirsi d’animo, cercando di rizzare un po’ d’attrezzatura e di spiegare un lembo di tela per dar un po’ di stabilità al legno.
A prezzo di fatiche inenarrabili, di pericoli senza nome dove più di un uomo fu ferito, battuto contro le murate o sul punto di esser portato via, fu stabilito un alberetto di trinchetto assicurandolo con nuove sartie, valendosi dei lampi per servirsi di un po’ di luce che mancava quasi del tutto. Una trinchettina fu stabilita un po’ più tardi, malgrado il vento che dieci volte di seguito l’abbatté prima di essere spiegata e malgrado il cannoneggiare del piroscafo le cui palle per buona ventura non colpivano che raramente il segno. La manovra audace e pericolosa, quasi impossibile su quel piccolo prahos che il più delle volte scompariva fra le onde, fu eseguita colla maggior intrepidezza possibile sotto gli occhi della Tigre che non abbandonava un sol istante la ribolla.
— Tenetevi saldi! — esclamò il Portoghese nel momento che una gigantesca ondata si precipitava sul legno e che Sandokan si preparava a virar di bordo portandosi all’est.
Il prahos fu subissato per metà quantunque trasportato verso le nubi, ma fu tutto. Virò di prua e mentre che il piroscafo impotente di far fronte alle onde per la sua mole e per qualche avariame nelle sue tambure, continuava a indietreggiare perdendo via, sfogando il suo malumore con ripetute quanto inefficaci scariche d’artiglieria, il piccolo legno, offrendo il fianco ai colpi di mare, colla sua trinchettina crepitante ed enormemente gonfia, si slanciò all’est ripigliando la lotta colla tempesta.
Dieci minuti dopo, grazie alla sua velocità che diventava ognor crescente sotto nuovi soffi, perdeva di vista il piroscafo che indietreggiava al nord, ponendosi alla cappa, senz’altre detonazioni. Si mise a filare direttamente a Labuan che doveva essere vicina, malgrado l’infuriare delle onde che lo assalivano con novella furia sul tribordo senza voler cedere di una linea, sferzando l’acqua che spumeggiava, fra rollii maledetti che potevano diventare funesti, talora avventato sulle creste, talora precipitato negli abissi mobili.
Avanzò così per mezz’ora, col pericolo di scomparire per sempre in qualche cavo delle onde o di cozzare contro qualche scogliera, cercando la costa che non si riusciva ancora a scorgere ma che doveva essere a poca distanza, guidato dalla ferrea mano di Sandokan, cui nulla avrebbe fatto torcer cammino, fiero di poter lottare su quei mari che chiamava suoi, di domare quelli elementi scatenati, di passare là dove era stato battuto il piroscafo quattro volte, e forse più, più grosso del suo legno.
— Ehi! — esclamò d’un tratto il Portoghese che si era avanzato fino al trinchetto. — Terra dritto l’asta di prua!
— Labuan! Labuan! — esclamò Sandokan che scattò in piedi come spinto da una molla.
— Attenzione alle secche a tribordo! — gridò un Malese, additando un luogo ove il mare spumeggiava a prodigiosa altezza, frangendovi sopra con terribile fracasso.
— Paranoa! — disse Sandokan volgendosi verso un Dayacho a lui vicino e che occupava fra la banda un posto distinto dovuto alla sua abilità di nocchiere. — Prendi la ribolla.
Il pirata obbedì. Sandokan si lanciò a prua, malgrado i violenti rollii e i colpi di mare e guardò.
La costa si disegnava chiaramente a quattrocento metri distante rischiarata dai lampi, libera dai pericolosi frangenti che sogliono circondare quelle terre della Malesia, ma dirupata e senza presentare approdi di sorta, senza presentare alcun rifugio dove il prahos vi si potesse cacciare per mettersi al coperto dalle onde incalzanti. Il pirata gettò una bestemmia.
— Saccaroa! — esclamò egli servendosi dell’esclamazione abituale. — Dove siamo noi?
— Certamente a Labuan — disse il Portoghese che si teneva a lui vicino aggrappandosi a uno dei cannoni.
— Lo so bene io, ma dove cacciarsi con simile tempesta? Non vi sono seni né approdi pel nostro prahos. Egli sarà schiacciato contro la costa se ci avviciniamo ancor più.
— Ah! Se la canaglia cessasse un po’ dall’infuriare! Orsù, Sandokan, che facciamo noi? Viriamo di bordo e lasciamoci andare al nord come il piroscafo. Non possiamo approdare.
Il pirata lo guardò per alcuni istanti in silenzio col volto truce, poi tendendo improvvisamente ambe le mani verso le dirupate coste di Labuan:
— Yanez! — diss’egli improvvisamente. — Noi approderemo!
— Approderemo? Ma non vedi, Sandokan, che la costa non offre rifugio?
— Che importa? Marianna mi aspetta, Yanez; oggi cada il mondo, noi approderemo.
— Ma il prahos? Si sfracellerà contro la costa e non so chi di noi si salverà.
— Hai paura, Yanez? — chiese il pirata, la cui voce sibilava come il vento.
— Tu sai che vicino a te non ho paura nemmeno del diavolo.
— Sta bene: allora approderemo.
Il prahos, spinto dal vento e dalle onde, si trovava a trecento passi dalla costa.
— Paranoa! — gridò Sandokan. — Muovi dritto lungo la costa e guardati dai banchi.
Poi, volgendosi verso i suoi tigrotti che lo miravano trasognati:
— Voi, preparate l’imbarcazione e issatela fino alla murata. La lanceremo in mare.
Che intenzione poteva mai avere il pirata? Voleva egli frantumare il prahos contro le scogliere della costa generando una catastrofe? I marinai, che non avevano mai avuto paura, si guardarono tuttavia in volto con ansietà; peraltro ubbidirono ciecamente e sollevarono a forza di braccia l’imbarcazione fino alla murata di tribordo mettendovi entro due carabine, munizioni, remi e viveri per parecchi giorni.
Sandokan si avvicinò al Portoghese, che guardava con ispavento quegli strani preparativi.
— Sali nell’imbarcazione, Yanez — gli disse.
— Ma che vuoi fare, insensato?
— Approdare a Labuan, a dispetto della tempesta e delle scogliere.
— Ma tu vuoi annegarti?
Sandokan per tutta risposta lo afferrò e sollevandolo come fosse un fanciullo lo depose nella imbarcazione.
— Paranoa! — gridò egli dipoi, correndo a poppa. — Io debbo approdare a Labuan. Sta attento ora a quanto ti dirò. Quando ti darò l’avviso, vira di bordo e lasciati trasportare al nord finché la tempesta durerà. Sali al nord fino a che tornerà a calmarsi il mare, poi ridiscendi fino a queste coste, e va a gettare l’âncora a quel fiumicello che ti descrissi. Io ti aspetterò col Portoghese alla piccola palude.
— Bene capitano — disse il Dayako. — Ma voi?…
— Approderò.
— Vi lascierete la vita, capitano.
— Taci, Paranoa. La Tigre della Malesia è sempre la stessa.
Il pirata, deciso di affrontare tutto pur di giungere a tempo di strappare la giovanetta dalle mani del lord e del baronetto, salì nell’imbarcazione.
A cento metri di distanza dalla costa, si alzò in piedi afferrando un remo, mentre il Portoghese ne prendeva un altro.
Un’onda gigantesca correva allora sul povero prahos che tentava di virare per presentargli la poppa. Gli capitò addosso come un lampo, sollevandolo fino alle nubi: s’udì uno schianto formidabile.
— Lascia andare! — gridò Sandokan che vide la murata sfasciarsi. — Vira! Vira!..
L’imbarcazione abbandonata a sé stessa fu portata via coi coraggiosi che la montavano. Quasi nel medesimo tempo il prahos virò di bordo fuggendo verso il nord.
— Arranca, Yanez, arranca! — gridò Sandokan che remigava disperatamente. — Approderemo a Labuan!
Un’altra onda capitò addosso e avvolse la piccola imbarcazione.
— Per Giove! — esclamò il Portoghese. — Dove andiamo?
— Arranca! Arranca! Andiamo a Labuan!
— E l’urto?
— Zitto, guarda la costa.
L’imbarcazione dondolata spaventosamente s’avvicinava alla costa portatavi dalle onde. Percorse in meno di due minuti cinquanta passi: salì una montagna d’acqua, precipitò in un abisso poi avvenne un cozzo violento.
I due intrepidi sentirono mancarsi il fondo della scialuppa sotto i piedi. Mezza chiglia staccata dall’urto se ne andò.
— Sandokan! Sandokan! — esclamò il Portoghese, che vedeva la scialuppa affondare.
— Tieni saldo, Yanez…
La voce fu soffocata da un tremendo colpo di mare che avventossi contro di loro. La scialuppa fu sollevata; si dondolò un istante sulla cresta di un’onda poi tornò a toccare. Il controcolpo l’avventò contro la costa, spingendola fino ai primi alberi, contro i quali si frantumò. I due pirati rotolarono senza saper il come in mezzo alle sabbie del lido.
— Afferra le armi! — gridò Sandokan saltando in piedi.
Il Portoghese, quantunque stordito dall’urto e scorticato tutto, lo ubbidì. Salvate le armi e una parte di viveri, i due uomini miracolosamente scampati al naufragio si affrettarono a ritirarsi sotto gli alberi, mentre che le onde finivano di spazzare via i rottami della povera scialuppa.
Sandokan, guadagnata la foresta col compagno, fresco come avesse sbarcato con tempo calmo, più forte che mai perché si sentiva sul terreno ove viveva pur lei, felice di aver guadagnata quella costa tanto contrastata, non aveva ancor respirato che già parlava di mettersi in cammino non ostante la pioggia che cadeva a catinelle.
Non conosceva, né poteva conoscere il luogo ove era approdato ma non se ne impensieriva. Egli raccolse il fucile coll’evidente intenzione di scendere al sud fino a trovare il fiumicello e di là portarsi alla villa e cercar di agire subito quantunque mancasse l’appoggio dei suoi uomini.
— Andiamo, Yanez — diss’egli, volgendosi verso il compagno che si era tranquillamente sdraiato fra le erbe sotto un arecche, le cui foglie servivano a meraviglia d’ombrello. — Ho il fuoco nelle vene, l’impazienza e la gelosia mi rodono. Perdere un sol minuto che forse è prezioso mi sembra un delitto. Non vedi, non te ne accorgi che noi siamo a Labuan, sulla terra dove brilla la mia stella?
— Che diavolo ti salta in capo, Sandokan? — disse il Portoghese che non divideva le impazienze del compagno. — Sono ancora tutto stordito dall’urto dovuto al tuo insensato piano: siamo appena sfuggiti a un pericolo, che tu mi parli di riprendere la via per gettarti in un ginepraio irto di armi.
— Ma non vedi, Yanez, che il tempo vola e che lei forse corre pericolo? Se noi avessimo a giungere troppo tardi per strapparla dalle mani dei due miserabili, che farò mai io? Se tu sei debole io sarò forte e ti porterò fra le mie braccia: vieni adunque. La terra mi brucia i piedi, io tremo tutto all’idea che sono a Labuan e che lei è là. Andiamo a salvarla, mi sembra che corra un pericolo cento volte maggiore di quello che l’Inglese mi ha detto, mi sembra di udire le sue grida che chiamano soccorso, mi pare di vedere tendere le sue braccia verso di me!…
— Non aver fretta Sandokan, non ci fuggirà. Tu mi hai detto che ti ama e che quantunque debole sa nei momenti supremi spiegare una energia sovrumana; sono sicuro che essa non si lascierà vincere né rapire prima dei dieci giorni, i suoi rapitori non ardiranno usare violenze di sorta contro di lei. Sono giacche rosse, lo sappiamo, ma non mancano di cavalleria. Cederanno di fronte a una giovanetta. E poi, pensi tu di gettarti storditamente nelle loro unghie per farti prendere e ammazzare? La spedizione se ne andrà in fumo, tu sarai appiccato e io assieme a te, e lei morrà di dolore se ti ama tanto, come mi hai detto e come ha confessato il caporale che presi a quella vaporiera. Aspettiamo: la Tigre è spesso paziente.
— Ma se tu sapessi ciò che io provo trovandomi su questa terra! — esclamò Sandokan con voce rauca.
— Lo so, tu sei ammalato e gravemente, ma non commettiamo imprudenze che possono riuscire fatali tanto a te che a lei. Vedi, fratello mio, io sono bianco e la so lunga più di un selvaggio della Malesia in fatto di amori. Fa tempesta, un magnifico tempo per togliere ogni idea di prendere il largo anche a un lupo di mare. Piove, un magnifico mezzo per cavar la voglia a un galante di far viaggiare la giovanetta. Nulla di meglio adunque che aspettare come aspettano essi. Forse il caporale ha esagerato, forse la villa è guardata da qualche compagnia di giacche rosse. Vorresti tu assalire la villa per farti ammazzare con qualche moschettata?
— Ma credi tu, Yanez, che io abbia paura di un pugno di giacche rosse? Sono la Tigre, e oggi sono tanto forte da che la passione ingigantisce, che sfiderei Labuan da me solo.
— Lo so, Sandokan, ma le palle non hanno rispetto pei coraggiosi e volano senza dar l’avviso, meglio ancora, senza farsi vedere. Fa scuro, piove e il vento fischia, ma è sempre giorno, e non si può passare inosservati. Vuoi tu andar alla villa? Bene, noi vi andremo e assieme, ma aspettiamo almeno la notte. Devono essere le quattro, stiamocene imboscati fino alle sei, poi ci metteremo in marcia. Questa notte, se vuoi, noi la vedremo.
— Vederla? E io dovrò aspettare fino allora, Yanez? — disse il pirata che fremeva tutto a quell’idea.
— Certamente, Sandokan, e vedrai che il tempo non sarà perduto. L’uragano può calmarsi, il vento scemare, e il prahos scendere sino a questi luoghi. Orsù, gettati sotto questo arecche e lascia che piova.
Sandokan parve indeciso. Egli guardò il Portoghese sperando di risolverlo a partire, poi cedette e si gettò sotto l’albero mandando un sospiro roco, senza pronunciare una parola di più, ma col sangue infiammato dalla passione e la faccia trucemente sconvolta.
La pioggia continuava a cadere e l’uragano a infuriare sul mare, il quale agitato sino agli estremi limiti dell’orizzonte si sollevava in enormi ondate spumeggianti, frangendosi sulla spiaggia e sulle secche con tal violenza da portarne gli spruzzi fino ai due pirati, quantunque lontani un centinaio di passi. Quella vista destò qualche inquietudine nei loro cuori, riguardo al prahos che fuggiva al nord.
— Povero prahos — disse il Portoghese, dopo qualche istante di silenzio. — Credi tu, Sandokan, che si salverà? Quando noi lo abbiamo lasciato, era in un tristo stato. Senza alberi e colle murate a metà sfondate. Se egli facesse naufragio e andasse a picco? Sai, Sandokan, che sarebbe una brutta disgrazia.
— Lo so — rispose l’interpellato, che prestava orecchio attento a tutti quei fragori.
— E se ciò dovesse accadere? Sentiamo, che faresti tu, se ci manca l’appoggio delle loro forze?
— Che farei? — esclamò il pirata quasi sorridendo. — Assalteremo noi la villa, se fa d’uopo. Io la rapirò lo stesso.
— Tu corri sempre, Sandokan, e non pensi che due uomini per quanto valenti sieno, non sono che poca cosa dinanzi a una cinquantina di moschetti.
— Vorresti tu aspettare Giro Batoë? — domandò Sandokan, che crollava di già il capo in senso negativo.
— Ma certamente, fratello mio. Fra due giorni al più, non sarà qui?
— Due giorni! — esclamò Sandokan, colla medesima intonazione di un uomo che voglia esprimere l’eternità. — Due giorni! E come vorresti che io faccia a stare due giorni senza che abbia a vederla?
— Chi dice di stare due giorni senza vederla? Anzi bisogna farle sapere che noi siamo qui, pronti ad approfittare della prima occasione per rapirla. Lo vedrai, fratello mio, questa notte andremo a spiare nel parco per vedere se si può farle qualche cenno.
— E se non si può?
— Allora aspetteremo i nostri tigrotti e una volta riunitili daremo bravamente l’assalto alla villa e porteremo via la Perla dopo di aver scannate tutte le giacche rosse onde non abbiano a portare notizie a Vittoria. Una volta avutala in nostra mano e portatala a Mompracem ce ne rideremo di tutti gli Inglesi di Labuan. Che ne dici?
— Credo che tu abbia ragione, Yanez — mormorò il pirata, e alzandosi si diresse verso la spiaggia.
Il Portoghese lo lasciò fare, ma senza però perderlo di vista. Aspettò che la pioggia cessasse un po’, poi caricatosi della carabina e dei viveri, lo chiamò.
— Vieni, Sandokan — diss’egli. — Credo sia ora di metterci in cammino senza aspettare che l’oscurità sia tanto fitta da non permetterci di fare dieci passi senza urtare contro i tronchi degli alberi.
— Lo credo bene — rispose il pirata che si provò a sorridere. — Andiamo, Yanez, che mi sento la terra scottare ancora sotto i piedi.
La foresta non presentava né passaggi, né indicazioni sufficenti per giungere alla villa di lord James, ma Sandokan era uno di quegli uomini che indovinano i sentieri e che sanno dirigersi senza aver bisogno di bussola o di stelle, come gli uomini dei boschi.
Ignorava a qual distanza si trovasse il fiumicello nel quale erasi cacciato coi due prahos la prima volta che aveva approdato a Labuan; ma che importava? Sapeva che si trovava al sud e che la villa distava da esso un paio di miglia, e ciò era più che sufficiente per guidarlo all’uno o all’altra e di giungervi prima che la notte finisse. Egli si mise in viaggio pel sud colla sicurezza di un indigeno pratico dell’isola.
L’uragano che si era fatto sentire sì vivamente sul mare si era egualmente fatto sentire nelle foreste di Labuan. Numerosi alberi, i più vecchi campioni delle boscaglie, abbattuti dalla folgore e dagli impetuosi soffi di vento giacevano in gran numero sparsi qua e là, alcuni totalmente appoggiati contro la terra e altri sospesi a diverse altezze, arrestati nella loro caduta dalle liane e da altri alberi, sotto o sopra i quali erano obbligati a passare i pirati.
Cespugli lacerati, frantumati, spogli; rami torti e contorti, ammassi di fogliame, immense quantità di frutta erano disperse per ogni dove, e in mezzo a quelle urlavano scimie ferite, grugnivano babirussa e stridevano uccelli.
Malgrado i tanti ostacoli che incontrava sul suo cammino, Sandokan non si arrestava un sol minuto, né si smarriva. Camminò diritto fino a che le tenebre furono calate, si fermò sull’orlo di un sentiero, alla cui vista trasalì. Egli lo additò al Portoghese.
— Che significa ciò? — chiese questi, che sbuffava come una foca. – Siamo forse su di un sentiero pericoloso?
— No — disse Sandokan con voce soffocata. — È il sentiero che mena alla villa!
— Oh! Oh! Così presto adunque? Orsù, la fortuna è con noi, Sandokan. Tira innanzi, ma bada bene di non commettere pazzie.
La Tigre della Malesia non aspettò nemmeno che avesse finito. Armata prudentemente la carabina per non cadere in qualche agguato, si slanciò rapidamente sul sentiero ansimante, col cuore che gli batteva furiosamente, la febbre addosso e la fronte tutta inondata di sudore. Egli si mise a trottare tanto che il Portoghese penava a tenergli dietro.
— Marianna!… Fanciulla divina!… Mia stella!… Amor mio!… — andava esclamando egli divorando la via. — Non aver più paura, che son qua io, la Tigre della Malesia!
In quel momento il pirata si sentiva tanto forte che avrebbe superato mille ostacoli per giungere alla villa. Cento baionette, cento cannoni, la morte stessa non sarebbero stati capaci di arrestare la Tigre.
Anelava, si sentiva divorare da un immane fuoco che ardevagli nel petto, si sentiva prendere dallo spavento e mille timori lo agitavano, i timori di non ritrovarla, i timori di giungere troppo tardi. Egli a poco a poco si mise a correre come un pazzo, varcando alberi e cespugli e torrenti, colla mente fissa tutta alla villa, dimenticando il Portoghese che lo seguiva, bestemmiando, intimandogli su tutti i toni di arrestarsi.
— Ehi! Sandokan pazzo diabolico, che ti salta in capo? Aspetta un po’, anima dannata, che ti raggiunga, fermati per mille spingarde! Vuoi farti ammazzare?
— Alla villa! Alla villa! — rispondeva invariabilmente il pirata che aveva le ali ai piedi. — Oh! guai! Guai, se arrivo tardi!…
Aveva allora, malgrado le continue raccomandazioni di Yanez, abbandonato ogni prudenza e correva come corresse all’assalto, invocando le giacche rosse, colla carabina alzata quasi da credere che volesse accoppare qualcuno. Calpestava i rami dei cespugli che si spezzavano crepitando pericolosamente, frantumava le radici degli alberi, lacerava impetuosamente le liane, si arrampicava come una scimia sui tronchi atterrati e saltava come un cervo le siepi e i cento altri ostacoli che sbarravano il sentiero.
Buon per lui che l’uragano non ristava dall’infuriare, coprendo i rumori di quella pazza corsa col rumoreggiare del tuono, col gemito degli alberi e delle frondi scosse dai violenti buffi di vento che urlava sotto le oscure foreste.
Corse per dieci minuti così, poi si arrestò bruscamente. Al chiaror di un lampo aveva scorto le palizzate del parco elevarsi a cento passi innanzi. Il Portoghese lo raggiunse rattenendolo violentemente, nel momento che il pirata stava per precipitarvisi contro.
— Ma frenati adunque, testardo! — esclamò Yanez. — Vuoi che ci ammazzino tutti e due prima di vedere la villa?
— Non hai veduto le palizzate? Sono quelle del parco, quelle della villa. Vieni, Yanez, vieni! — esclamò il pirata cercando trascinarlo via. — Ho il delirio!
— Ma non sai, disgraziato, che dietro quelle palizzate vi possono essere imboscate delle giacche rosse?
— Le giacche rosse! — esclamò Sandokan come non avesse compreso; poi, dando in uno scroscio di risa che il tuono soffocò a metà, — ma credi adunque, Yanez, che io abbia paura di loro questa notte?
— Lo so, lo so — ripeté il Portoghese. — Ma possono ammazzarti, puoi compromettere lei, la giovanetta, Marianna!
Il pirata si arrestò di botto guardandolo con strana espressione al chiarore dei lampi. Lo comprese.
— Puoi aver ragione — rispose egli. — Ma io voglio vederla, mi capisci, Yanez, voglio entrare laggiù.
— Vi entreremo, Sandokan, ma frenati. Un’imprudenza potrebbe perdere te e lei. Vieni ora.
Il Portoghese lo trasse con precauzione sino alle palizzate, poi si arrampicò su come un gatto, e dopo essersi assicurato che tutto era silenzio si lasciò cadere nel parco. Sandokan eseguì la stessa manovra, frenandosi con ferrea volontà. Capiva che un’imprudenza era più che sufficiente per mandare all’aria la spedizione con tanta audacia e con tanta speranza intrapresa. Essi attraversarono il parco che pareva completamente deserto e tenendosi al coperto degli alberi giunsero a un centinaio di passi dalla villa, seppellita fra le tenebre. Il Portoghese teneva stretto il pirata, le cui mani parevano bruciare.
— Dov’è? Dov’è? — chiese Sandokan che tentò liberarsi dalla stretta per gettarsi verso la porta.
— Non muoverti, fratello mio. Tu devi sapere dov’è la sua stanza.
— Sì, sì — rispose il pirata con voce soffocata. — Lassù, sopra quel pergolato.
— Bene, aspettiamo che un po’ di luce ci permetta di vederla. Ma prudenza, non farci ammazzare soprattutto.
Il lampo non si fece a lungo attendere illuminando colla sua livida luce la villa. Il pirata dette indietro gettando un vero ruggito, trascinando con sé il Portoghese.
— Che hai veduto? — domandò quest’ultimo, senza abbandonarlo.
— Che ho veduto? — esclamò Sandokan con voce rauca. — Hanno sbarrato le sue fenestre con un’inferriata!…
— Bene, e io ho veduto un uomo imboscato laggiù accanto al padiglione. Vegliano; è segno che lei è ancora nella villa.
— E io? Che dovrò fare io che voglio vederla? — chiese Sandokan con voce strozzata.
— Oibò, questa volta non fa per noi. Vieni con me, Sandokan, lo vedrai.
— No! No! Lasciami, io voglio vederla!
Il Portoghese lo afferrò con ambe le braccia e lo trascinò sotto gli alberi malgrado la sua disperata resistenza.
— Odimi bene, Sandokan — disse il Portoghese con voce grave nel momento che un nuovo lampo seguito da un formidabile scroscio illuminava la villa e la sentinella. — Se tu commetti imprudenze, desterai l’allarmi, ci prenderanno a moschettate, saremo respinti malgrado il nostro valore, il domani tutto sarà perduto: tu mi comprendi. Ritiriamoci senza far rumore e domani agiremo. Sai tu il luogo che frequenta quando esce nel parco?
— Ti comprendo, Yanez — rispose Sandokan che tornava in sé. — Frequenta il chiosco chinese.
— Bene, andiamo a cercarlo, è d’uopo che essa sappia che noi siamo qui.
Il pirata lo capì. Egli quantunque provasse tutte le pene dell’inferno nell’allontanarsi da quel luogo, lo condusse al chiosco chinese, in quel medesimo luogo dove le aveva confessato per la prima volta il suo nome e dove lui le aveva giurato amore.
Vi entrarono. Era deserto: ma per quanto fosse oscuro, Sandokan vide la mandola della giovanetta al di sopra del tavolino intarsiato d’ebano e di avorio. Egli l’additò al Portoghese e l’accostò alle labbra.
— Povera Marianna! — esclamò egli con voce che aveva dello strazio.
— È questo il luogo che suol frequentare, non è vero Sandokan?
— Sì, questo il luogo ove viene a respirare il profumo dei suoi fiori, questo il luogo ove viene a cantare le sue dolci canzoni e il luogo dove lei mi giurò eterno amore!…
— Bene, lacera un foglio di carta dal tuo libro. Fa oscuro, ma i tuoi occhi vedono ancora: scrivi ciò che ti dirò.
Il pirata obbedì come un fanciullo e scrisse:
Siamo noi. Domani, a notte, procura una fune. Alle dodici lasciala calare, io sarò da te. Non aver paura di nulla. Veglio.
«La Tigre della Malesia».
Il Portoghese lasciò cadere la carta nell’interno della mandola, ma in maniera da potersi scorgere, mentre Sandokan strappati alcuni fiori ve li gettava sopra. I due pirati si guardarono in volto al chiaror dei lampi; l’uno calmo l’altro febbricitante.
— Andiamo, Sandokan — disse il Portoghese, rompendo l’incanto.
— Andiamo, Yanez — ripeté Sandokan con voce soffocata e uscirono a rapidi passi.
Cinque minuti dopo varcavano le palizzate e si cacciavano sotto le foreste.
Speak Your Mind