Era tanto lo spavento e la sorpresa causati dal crepitìo della stufa che ruinava e dalla improvvisa comparsa del terribile pirata e del suo compagno, che questi, prima ancora che i soldati potessero riaversi, por mano alle armi e inseguirli, facendo salti da tigri, precipitandosi da un lato all’altro del sentiero e cacciandosi dietro gli alberi e i cespugli per evitare le palle, avevano di già varcato le palizzate del parco e si erano messi fuori di portata.
Avevano ritrovato le loro gambe da cervi e senza badare agli squilli di tromba che segnalavano la loro fuga e alle detonazioni inutili si gettarono sul primo sentiero che si parò loro innanzi, passando rapidi in mezzo ai cespugli, alle piante e agli alberi sradicati dall’uragano, varcando ruscelli e stagni, intenti a far perdere le tracce con frequenti ascensioni sui rami e manovre da scimie sui rotang che tenevano luogo di liane, e a mettere una notevole distanza fra essi e il nemico che doveva essersi lanciato dietro.
La tromba che risuonava sempre fragorosamente nel parco e le detonazioni che si seguivano a rapidi intervalli, bastavano per dare le ali ai piedi. Quei segnali dovevano essere intesi dai cacciatori, e poteva darsi che più tardi avessero alle spalle il grosso della truppa: bisognava guadagnar tempo finché ne rimaneva.
La fantastica corsa durò un’ora senza che l’uno né l’altro parlasse di arrestarsi, sempre internandosi nel più fitto dei boschi dove i passaggi diventavano difficili, poi rallentarono la fuga, dopo di aver percorso una distanza che Sandokan non stimò inferiore a quattro miglia. Un cavallo stesso non ne avrebbe fatto di più, e cominciarono allora a prendere quelle precauzioni che esige una fuga in mezzo al nemico che poteva improvvisamente sorgere dietro a ogni cespuglio, a ogni albero o in mezzo alle erbe, abbastanza alte per nasconderlo.
Ripigliarono fiato per un minuto, senza scambiar una parola per non consumare le forze così preziose in quei pericolosi momenti, poi gettate le carabine ad armacollo che diventavano di grave impaccio, si misero a trottare cercando di fare il menomo rumore possibile, cacciandosi fra tronchi d’albero così uniti dove sarebbe penata a passare una tigre, e continuando le evoluzioni aeree che diventavano ogni istante più indispensabili.
Man mano che si allontanavano dal parco, la foresta ripigliava la foltezza che caratterizza le foreste tropicali, dove riesce sommamente difficile trovare un sentiero e meno ancora radure, che scompaiono in breve tempo sotto l’invasione dei vegetali.
Dappertutto alberi e alberi riuniti, mescolati confusamente, gli uni alti, lisci, enormi, gli altri nodosi, contorti, bassi, che univano reciprocamente i loro rami e intrecciavano le frondi. Dappertutto fitti cespugli, incassati, stretti, fra quei bizzarri colonnati, dappertutto radici che potevansi scambiare a prima vista con giganteschi boa-constrictor, che sbarravano la via rasente terra, che s’incrociavano in mille guise, alcune descrivendo archi che un geometra non vi avrebbe trovato di che dire sulla loro esattezza, altre descrivendo spirali o serpentine o angoli, e in mezzo alle quali vagavano formiche verdi o nere di sproporzionata grandezza e con mandibole di ferro.
Una vera rete poi allacciava stretta stretta e cespugli e alberi e radici, formata da rotang calamus appartenenti alla famiglia delle palme, che si prolungano per più di cento metri, da gambir uncaria altri arrampicanti sproporzionati e preziosissimi, e da piper nigrum allo stato selvatico sulle cime dei quali urlavano battaglioni di feroci scimiotti.
I due pirati, in mezzo a quella fitta foresta che poteva chiamarsi ancora vergine, dovettero abbandonare la marcia a piedi per cominciare la marcia aerea. Aggrappandosi a tutti quei fili di rete, cominciarono la scalata con una sveltezza e agilità da invidiare le scimie, raggiungendo le più alte cime degli alberi, scendendo e poi tornando a risalire, moltiplicando così gli ostacoli per gli inseguitori, che certamente non sarebbero stati capaci di trovarli in quella porzione di foresta così intricata.
Percorsi un cinque o seicento passi, dopo di aver venti volte arrischiato di cadere da altezze che mettevano le vertigini, si arrestarono affranti in mezzo ai rami di un buà màmplam, le cui frutta, quantunque detestabili pei palati europei a causa del loro forte sapore di resina, potevano servir a loro di cibo, e che colle fibre di rotang saldamente intrecciate potevano a loro servire di amache comodissime e fresche.
— Di’ ora — disse Sandokan quando si fu accomodato — che gli Inglesi ci vengano a trovare. Sfido tutti i loro dannati cani a venirci scovare.
— Sfido io! — esclamò il Portoghese al quale pareva ancora un sogno di essere riuscito a svignarsela dal parco. — Sai, fratello mio, che noi siamo proprio fortunati? Trovarci in una stufa con una giacca rossa, venire scoperti e prendere il volo sotto il tiro di mezza dozzina di carabine, tutto ciò ha dell’incomprensibile. Ma dunque, hanno proprio tanta paura della Tigre?
— Bisogna crederlo e se vuoi, Yanez, un po’ troppo paura per eguagliarmi a uno spirito che succia sangue e che tiene relazioni collo spirito del male — disse Sandokan che rideva ancora sui discorsi degli Inglesi. — Non avrei mai creduto di mettere tanto spavento colla mia sola comparsa a degli uomini bianchi. Orsù, io son decisamente la Tigre, fino a che rimarrò solo e non manco di fortuna. Quando penso che mi hanno precipitato da una fenestra perché mi fratturassi le gambe, che sono sfuggito alle loro moschettate e che mi sono cacciato in una stufa per prendere il largo quando si preparavano ad assediarmi, incomincio a credere d’essere uno spirito.
— E io sarò il primo a crederlo, Sandokan, come lo credono le giacche rosse, che si sono lasciate sfuggire una sì bella occasione per guadagnare le mille sterline. Una bella somma, in fede mia, che non si ha torto di spendere per catturare un uomo della tua fatta, che si reca ad abboccamenti malgrado una cinquantina di carabine messe là per ispiarlo. Tu hai giuocato una magica carta, amico mio, coll’abilità di un giuocatore provetto. A proposito, che ne sarà mai della tua giovanetta? Vedi, colla tua audacia, hai accresciuti i timori da parte di essi e specialmente del lord che non si lascierà cogliere alla sprovveduta, e che circonderà ben bene di baionette la villa, se non gli salta in capo la malaugurata idea di prendere alla sua volta il largo e di fuggirsene a Vittoria.
— Lo credi tu, Yanez? — domandò il pirata che si fece cupo in volto e che rompeva convulsivamente i ramoscelli.
— Sicuro, potrebbe darsi che il valente uomo per precauzione vada a nascondere la graziosa nepote nel centro della colonia, sotto i cannoni del fortino e dei piroscafi. La cosa diverrebbe estremamente seria e cento volte più pericolosa.
— Pericolosa? Sia, giacché tu lo vuoi, ma non estremamente seria, poiché andrei a rapirla anche a Sarawak sotto i soldati di James Brooke. Ascoltami, Yanez, io sono tanto risoluto, che affronterei le forze riunite di Labuan, Sarawak e Varauni purché farla mia, e senza esitare un sol istante.
«Nessun ostacolo sarà tanto grande da arrestare la passione che arde nel mio cuore. Se occorre, arrischierò non solo le sorti di Mompracem ma anche la vita dei miei pirati.
— È cosa vecchia, amico mio, e la malattia non si vincerà che colla giovanetta. Ma hai calcolato, Sandokan, che noi a Labuan non abbiamo che quaranta uomini o sessanta se vuoi che mi tenga assai largo, e che a Mompracem non ve ne resta che un centinaio al più? Con simili forze non si sfida la potenza di Sarawak.
— Oggi, ma domani, da qui una settimana, un mese, due anche, si potrebbe sfidarla. Nella Malesia vi sono cento e cento tribù piratesche che proseguono il lavoro sanguinoso e distruttore da secoli; vi sono più di cinquemila tigri che conoscono la fama della Tigre della Malesia e che mi seguirebbero assieme a tutti i Dayacchi di Borneo, purché alzassi la voce promettendo oro agli uni e teste da sospendere come trofei alle loro capanne agli altri.
— Lo so, Sandokan, e la malattia che ti rode sarebbe capace di farti tentare anche questo mezzo terribile, e tentarne di maggiori. Del resto vedremo come andranno le cose prima, e se il lord penserà a prendere il largo. Sono supposizioni mie quelle che esposi e nulla di più. Se è vero che la giovanetta possiede quell’energia di cui mi hai parlato, non so se si lascierà sì facilmente portar via, sapendo che tu vegli e che aspetti l’arrivo dei tuoi uomini per liberarla.
— Sì, essa possiede tanta energia da pareggiarsi su questo punto forse alla Tigre della Malesia. Sono sicuro che, se fosse libera, tenterebbe la fuga e si caccerebbe nelle foreste malgrado le tigri e gl’indigeni. Oh!… Ma non vi starà a lungo fra le unghie di quel sinistro vecchio, che vorrebbe gettarla fra le braccia del dannato William. No, per Allah! Non vi rimarrà a lungo.
— Sogni tu, di già, di dare bravamente la scalata alla fenestra?
— E perché no? — disse con violenza Sandokan rizzandosi a metà sull’oscillante amaca.
— Uhm! — fe’ il Portoghese. — Credi tu che i nostri tigrotti sieno lì ad aspettarti? Non dimenticare che siamo in piena foresta.
— Andremo a trovarli al fiumicello.
— Tu corri come un piroscafo, Sandokan. Non hai pensato che il nemico ci cerca e che potrebbe sorprenderci?
— Bah! Due colpi di carabina saranno sufficienti per metterli in fuga. Io me ne rido di questo nemico. Vorrei un po’ vedere se sarebbe capace di trovarci. Gl’Inglesi, Yanez, non sono fatti per cercare le piste, né per girare su terre che non conoscono che sulle loro carte scarabocchiate, che chiamano geografiche. Un uomo dei boschi può passare sotto il loro naso, dondolarsi sopra le loro teste e scomparire senza che loro l’abbiano a vedere.
— Mi fido molto poco, Sandokan, delle tue parole.
— Hai torto. Ne vuoi una prova?
— Una prova? Che vorresti far tu?
— Passare in mezzo alle loro carabine e raggiungere i prahos senza che se ne accorgano.
— Tu ti cacci in un ginepraio. Hai troppa fretta per tentare l’attacco della villa, che si dovrebbe fare senza troppo rumore e con un mondo di precauzioni.
— Non ho fretta, ma seguo il destino che mi guida. Io leggo nel libro dell’avvenire.
— E credi tu di veder del chiaro nel libro dell’avvenire? — chiese Yanez, crollando il capo come uomo che creda assai poco.
— No, al di là del chiaro vedo oscuro, vedo delle tenebre fitte, fitte, più nere di quelle che io abbia mai veduto in vita mia, ma nel fondo vedo una stella, Yanez, vedo un punto luminoso che brilla più vivo che mai.
— Ti crederò.
— Ne dubiti?
— Chi sa. Forse credo del tutto.
— Ebbene vieni allora, andiamo a passare in mezzo alle carabine delle giacche rosse.
— Tu vuoi commettere qualche pazzia. Restiamo in questo nostro nido giacché abbiamo avuto la fortuna di trovarlo e lascia che le giacche rosse si allontanino.
— Non commetterò pazzie; vieni, Yanez! Prima che il sole sia del tutto tramontato noi giungeremo sulle rive del fiumicello. Non si ode rumore alcuno, la foresta è fitta, abbiamo le nostre armi e sappiamo strisciare come serpenti. Di chi puoi aver paura?
Il Portoghese, quantunque avesse le sue paure, curioso da una parte di sapere qualche cosa sui prahos si arrese. Dissetatisi col succo buà màmplam che sapeva maledettamente di resina, s’aggrapparono ai rotang e ai gambir uncaria che serravano l’albero e si calarono fino a terra.
Il bello era uscire da quella foresta e guadagnare il fiumicello. Sandokan stesso si trovava smarrito e non sapeva qual via prendere.
— Io credo che noi ci troviamo in bell’impiccio, Sandokan — disse Yanez che non era capace di vedere nemmeno il sole per potersi orientare. — Da qual parte si andrà?
— Ti confesso, che mi trovo smarrito — rispose Sandokan. — Ma presto o tardi usciremo di qua e troveremo il fiume. Ecco qua un passaggio che una volta deve essere stato un sentiero. Le piante lo hanno coperto e sono sì unite da non lasciar passare un piccolo babirussa, ma passeremo con un po’ di pazienza. Orsù, andiamo avanti, e bada bene di non schiacciare la coda di qualche serpente e di prepararti a fare delle ascensioni meravigliose.
— Avanti allora!
I due pirati si cacciarono come due serpenti in mezzo alle piante, cercando seguire il sentiero tagliato ogni istante da lunghe liane rampicanti e da immense ragnatele dal grosso filo setoso, procedendo ora coll’occhio rivolto a terra per non incespicare nelle radici o per non calpestare incautamente qualche velenoso rettile e ora rivolto sugli alberi per non ricevere sulla testa qualche frutto pericoloso, e movendo con precauzione i rami e le foglie per non destar all’armi. Ben presto ripresero le salite sui rotang o sui gambir, mettendo in fuga o irritando i semnopithecus maurus, scimie dal pelame nero e dalla coda lunga, chiamate comunemente in Malesia bigit, le quali, facendo ridicole smorfie e salti con una destrezza meravigliosa, vedendo turbati i loro recessi, si vendicavano scagliando frutta e ramoscelli sui due intrusi.
Camminando così a casaccio, mettendo in fuga colle loro ardite manovre di clown nubi di uccelli che aveano piantato in mezzo a quei fitti alberi i loro nidi sicuri che nessun essere umano sarebbe giunto sin là e calpestando qualche serpentello o qualche dozzina di sanguisughe dei boschi, i due pirati poterono uscire da quell’imbroglio dopo qualche ora e raggiungere un torrentello che pareva segnare la fine di quella gigantesca macchia. Al di là estendevasi una radura verdeggiante, solcata da fiorellini di vari colori, circondata da boschi ma meno fitti, dove si poteva camminare più rapidamente e forse con meno pericolo. Fecero una sosta dissetandosi nelle fresche acque e discutendo sulla via da tenersi.
Sandokan non tardò a orizzontarsi dopo di aver osservato attentamente i dintorni dei quali conservava un vago ricordo.
— Io devo esser passato di qui — disse egli ritornando presso il Portoghese che, sdraiato sulla riva del torrente, si occupava a masticare dei buà màmplam di miglior sapore dei precedenti. — Ecco qua un’impronta che si adatta a meraviglia alle mie scarpe lasciata su questo terreno umidiccio, ed ecco là sul tronco di quel mango selvatico le traccie di una scalata che devono esser state fatte da me. Sarebbe forse il luogo ove ho atterrato il sergente Willis?
— Mi sembra che questi luoghi ti sieno famigliari, Sandokan. Bada bene a non condurmi in bocca al leone.
Il pirata anziché rispondere si mise a frugare fra le macchie; vide un ramo rotto a terra, poi traccie distinte e delle macchie di sangue ancora visibili sulle erba e sulle radici. Continuò le indagini e non andò a lungo che trovò dei brandelli di stoffa bianca che riconobbe subito per suoi. Egli li mostrò al Portoghese.
— Che diavolo hai trovato tu, fratello mio, che vai osservando tanto quelle striscie come fossi diventato un mercante?
— Le robe mie, Yanez, che hanno servito a legare il povero sergente che hai così bene spacciato sulla porta della villa. Vedi, ecco qua un ramo rotto che mi aveva servito d’appoggio, là delle traccie di sangue che è mio, uscitomi dalla mano appena ferita dalla palla di lui. Il povero uomo se fosse qui se ne ricorderebbe bene anche lui.
— Un luogo propizio per le imboscate, adunque? — disse il Portoghese che si guardò istintivamente all’intorno.
— Forse, ma non ci arresteremo — rispose Sandokan. — Io sì che conosco la via che ho percorso vestito da sergente inglese, una bella truccatura, Yanez, che mi ha aiutato a meraviglia per trarmi d’impiccio facendo viaggiare tutti i soldati nei luoghi ove era impossibile trovarmi; vieni con me che io ti guiderò, se non al fiumicello, almeno alla capanna di Giro Batoë.
— Andiamo, ma non aver furia, Sandokan. Scandagliamo il terreno prima.
Dopo aver ascoltato attentamente e di essersi assicurati che fra le grida dei semnopithecus maurus, le grida dei pappagalli e lo stormir delle foglie agitate dal venticello non udivasi né grida. di cacciatori, né detonazioni di moschetti, attraversato con un salto il torrente, tornarono a cacciarsi sotto gli alberi che andavano diradandosi sensibilmente.
Malgrado che il sole calasse rapido all’occidente e l’oscurità andasse facendosi sempre più fitta nei boschi, Sandokan un’ora dopo giunse ad una piccola spianata in fondo della quale rizzavasi qualche cosa di nero, che aveva una forma accuminata ben differente dai cespugli che la dominavano.
— Che è? — chiese Yanez sorpreso.
— La capanna di Giro Batoë — rispose Sandokan.
Fece venti passi, poi si arrestò bruscamente armando la carabina. Aveva visto un’ombra rizzarsi improvvisamente fra le macchie e scivolare rapida all’interno della capanna. Per quanto fosse buio, riconobbe in quell’ombra una creatura umana.
— Fermati, Yanez — diss’egli. — Ho veduto un uomo entrare nella capanna.
— Che sia un Inglese?
— È passato troppo rapidamente perché io lo avessi ben a distinguere. Mi aveva però più l’aria di un indigeno o per lo meno di un orang-utang che d’Inglese.
— Che facciamo adunque? Per conto mio, direi di prendere il largo prima che abbiano a capitarci malanni.
— Io penso invece di tirar innanzi, Yanez — disse Sandokan. — Giro Batoë mi aveva detto esservi degli indigeni nelle vicinanze della sua capanna. Prendi la carabina e andiamo un po’ a vedere.
I due pirati si avvicinarono cautamente a quella baracca di foglie e di bambù e s’arrestarono dinanzi la porta spingendo entro lo sguardo. Quasi nel medesimo istante un uomo si precipitò in mezzo a loro gettando un urlo di pazza gioia.
— Mio capitano! Signor Yanez! — e il malese Giro Batoë in persona cadde alle loro ginocchia.
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