Capitolo XXIV – Il rapimento

Quando vi giunse, la cena era di già pronta nel salotto azzurro della lady. Il lord passeggiava in lungo e in largo colla rigidezza di un Inglese nato sulle rive del Tamigi, colle braccia incrociate e la faccia più cupa del solito. Lady Marianna invece era seduta dinanzi ad una delle fenestre che guardavano sul giardino, cogli occhi fissi sugli ultimi raggi di sole che andavano nascondendosi dietro gli alti alberi delle foreste.

Alla comparsa del Portoghese, il lord s’arrestò e la giovanetta si volse figgendogli in volto i suoi grandi occhi azzurri nei quali balenava una fiamma umida.

— Ah! siete voi, amico mio — disse il lord. — Cominciava a temere che vi fosse capitata qualche disgrazia.

— Disgrazia! — esclamò Yanez scambiando con Marianna un rapido sguardo rassicurante. — In fede mia, milord, non sono più i tempi in cui si correva pericolo di buscarsi una palla nelle reni solo allontanandosi di pochi passi dal giardino.

— Non avete trovato nemmeno un pirata adunque? Io credeva che qualcuno di quei ribaldi si tenesse ancora celato in questi dintorni.

— Non ho trovato neanche la più piccola traccia di loro. Credo di aver percorso più di due miglia internandomi sotto le foreste e frugando i cespugli. Anzi mi sono recato fino al fiumicello dove mio cugino William mi aveva detto che si riunivano di solito i tigrotti di Mompracem.

— Che volete che vi dica, mi sembra impossibile che la Tigre abbia abbandonato questi luoghi.

«Non crederei nemmeno se avessi visitato io albero per albero, cespuglio per cespuglio, macchia per macchia.

— Ma quale interesse poteva mai avere la Tigre per ronzare continuamente attorno a questa villa? Se fosse stata ripiena di botti di sterline…

Il lord lo guardò con occhio tetro, diede uno sguardo a sua nepote che continuava a guardare gli ultimi raggi di sole in apparenza calma quantunque triste, e traendo il Portoghese dall’altro lato della sala con una specie di folle rabbia.

— Quale interesse poteva avere egli? — disse il lord con ira ma in modo di non essere udito da lei. — Credete voi che quel miserabile tentasse i suoi assalti e le sue notturne scalate in mezzo a cinquanta soldati pel solo scopo di saccheggiare la villa? Egli è un uomo che, a quanto mi si disse, possiede ricchezze incalcolabili, frutto di dieci anni di assassini e di sangue, incapace di arrischiare una spedizione per guadagnare una mezza dozzina di migliaia di sterline.

«No, giovanotto mio, una strana passione ha invaso la Tigre della Malesia, una passione nata al tempo in cui io, vinto dalla pietà di un ferito, dall’energia di quell’essere, l’ho stoltamente curato strappandolo alla morte, passione che ora deve essere ingigantita nel suo cuore di selvaggio.

— Una passione! — esclamò Yanez fingendo d’ignorare tutto. — E che passione potrebbe esser mai nata alla Tigre della Malesia?

— Quale? — disse il lord con voce sorda. — Voi avete veduto mia nepote, si dice che sia bella, io l’ignoro, ma deve essere così se ha scosso le fibre di un sì terribile assassino. Egli ha osato alzare gli occhi sino a lei, sino all’ultimo rampollo di una stirpe senza macchia, sino all’ultima discendente di una razza di eroi, dei conti Guillonk. Egli l’ama, deve amarla colla feroce passione di un selvaggio, di un pirata, centuplicata dalla posizione, dal baratro che li separa. Mi capite ora?

— Perfettamente, milord, ma bisogna essere ben pazzi per sperare una simile unione, e ben folli per sfidare gl’Inglesi di Labuan.

— Sì, pazzo e folle. Non l’ho veduto io stesso passare in mezzo a cento carabine lasciandosi dietro nuovi cadaveri, sfuggire alle più attive ricerche, per poi ritornare attrattovi dalla potente passione che lo domina e che lo fa impazzire? Non l’ho veduto io stesso dar arditamente la scalata fra cinquanta soldati dopo di aver aggiunte nuove vittime al suo numero per vederla, per parlarle, per dirle che l’amava? Non l’ho precipitato io stesso troncando la corda da un’altezza ragguardevole e senza che il maledetto si fratturasse le gambe? Esso ha il diavolo nel corpo, è un uomo di ferro, e una tigre, una vera tigre.

— Avete fatto male, milord, bisognava ucciderlo anziché precipitarlo. I pirati sono tutti come le tigri.

— Lo so, ma chi poteva supporre che fosse lui che tentava a quell’ora la scalata ammazzandomi le sentinelle? Avevo un pugnale in mano, ho fatto quello che poteva fare, ecco tutto. Ah! perché l’ho curato e accolto nella mia casa?

— E lady Marianna non gli poteva far comprendere che non l’amava? — disse il Portoghese cui balenò in mente un’idea.

— Lei! — esclamò lord James, guardando con occhi truci la giovanetta sempre immobile dinanzi alla fenestra. — Ho avuto la disgrazia di raccogliere nella mia casa una donna che non sa che sia l’onore dei conti Guillonk, una donna che sarà la mia sventura! Lui ha saputo soggiogare, ammaliare quel cuore che io credeva debole bensì ma fiero, e la sciagurata l’ama!

Il lord si morse le labbra per non lasciar sfuggire una bestemmia, una maledizione, e crollò il capo guardando ancora la giovanetta con due occhi più truci che mai dove trapelava una collera appena frenata e incrociò macchinalmente le braccia gettando un rauco suono. Il Portoghese lo guardava sogghignando.

— E che pensate mai di fare voi, milord? — domandò Yanez, cercando di dare serietà al suo volto diabolicamente ironico.

— Che penso di fare? — esclamò il lord come uscisse da un sogno. — Sentite, mi fu affidata dal padre suo, dal mio buon fratello, che mi raccomandò di farle da padre, e credo di averlo fatto, brutalmente se volete perché io ero un uomo di mare che non sapea che fosse famiglia. Mio dovere è di conservare all’ultima discendente dei conti Guillonk un nome senza macchia e lo farò. Io sono il padrone, sono io che comando, lei è mia, ne farò ciò che vorrò. So che mi odia, ma che importa? Io credo di non averla mai amata come lei non mi ha mai amato, ma voglio che quella passione per un assassino abbia a morire. Le ho destinato il baronetto di Rosenthal, un discendente di gloriosa famiglia e di più un uomo di mare, e non avrà che lui, io lo voglio, guai chi oserà opporsi.

— Ma, milord, e se lei l’amasse proprio questo pirata, se quest’uomo, questo assassino cangiasse vita, abbandonasse questi luoghi per sempre, facendo crollare con sé la potenza di Mompracem lasciando libero il varco a Labuan?

— Mai! Mai! Ho troppo orgoglio inglese per acconsentire questa unione che mi disonora. Anziché darla alla Tigre della Malesia, all’assassino di cento vittime, scelgo gettarla fra le braccia dell’ultimo dei miei mozzi.

— Milord, ma sapete che la Tigre della Malesia potrebbe sfuggire ai soldati e precipitarsi sulla villa dando arditamente l’assalto? Egli è un uomo che potrebbe farlo, e che credo lo farà se ama realmente vostra nepote.

— Lo credete voi? E credete che quando io mi vedrò stretto dai pirati, se ciò potrà succedere, che io mi lasci vincere?

— Eh! milord, quell’assassino sarebbe capace d’espugnare la villa per quanto ben difesa. E allora la milady sarà sua.

— Sua! Prima che abbia mettere una mano su di lei, io le farò saltare le cervella. Meglio la morte che il disonore.

— E voi vorreste uccidere una fanciulla sì cara, vostra nepote, l’ultima discendente dei conti Guillonk?

— L’ucciderò! — rispose freddamente lord James con tal accento da non lasciar alcun dubbio sulla terribile decisione.

Il Portoghese lo guardò con ispavento e ammutolì. Negli occhi del lord lesse la verità di quella minaccia. Ebbe paura.

— Ascoltate, milord — disse egli dopo qualche istante d’esitazione. — Io credo che abbiate ragione, ma perché non scegliere qualche altro mezzo per far perdere al pirata ogni speranza di farla sua? Potete salvare ben vostra nepote senza ucciderla. Per quanto sia potente la Tigre della Malesia, non ardirà assalire Vittoria. Perché non recarsi ad abitare colà, sotto la protezione del forte, dei piroscafi, del piccolo esercito, del Governatore e del baronetto William che saprà farsi amare da lei?

— Recarmi a Vittoria? E perché no? — disse il lord come parlando a sé stesso. — Soffrirà abbandonare questi luoghi ove è cresciuta e che mi diceva di amare come le spiaggie del Tirreno, ma infine sarà sempre meglio di una palla di pistola nella testa.

— E si potrebbe approfittare del momento in cui i pirati sono assediati dalle nostre truppe — incalzò il Portoghese.

— Approfittare? — disse il lord crollando il capo. — Non mi fido, avrei paura che i pirati si nascondessero nei dintorni per assalirmi malgrado la mia scorta. Non ho che venti uomini, dieci dei quali sono indigeni, più propensi ad unirsi ai pirati che a prestare man forte a noi. No, giovanotto mio, io avrei paura.

— Ma, milord, se voi aspettate, le nostre truppe possono essere battute, e i pirati ritornare e assalire la villa. Pensatevi bene, milord. Ho percorso i dintorni, sono venuto da Vittoria con una lettera e non ne ho incontrato nemmeno uno.

— Vi credo, ma diffido sempre. Tuttavia ci penserò, e poi, credete che mia nepote abbandonerà questi luoghi facilmente?

— Voi siete suo zio, milord — continuò Yanez che preparava audacemente l’agguato in cui doveva cadere. — E infine, si tratta della salvezza comune. Badate a me, approfittate dell’occasione e domani stesso partite per Vittoria. Ventidue uomini valgono bene ventidue pirati, che infine hanno dell’audacia, ma mancano essenzialmente di forza. Urlano molto, ma mordono poco.

— Vi penserò — ripeté il lord che non pareva disposto ad arrendersi. — Andiamo a cena, giovanotto, che dovete aver fame.

Si assisero dinanzi alla tavola bene imbandita dove non mancava né il pudding il pasticcio nazionale, né i tradizionali beefsteak. Una dozzina di bottiglie delle migliori cantine d’Europa erano ben disposte attorno ad una lampada chinese di talco che tramandava una scialba e misteriosa luce.

— Marianna — disse il lord, facendo quasi uno sforzo per dare alla sua voce un tono meno sprezzante del solito.

— Che volete? — chiese la giovanetta bruscamente senza volgere il capo.

— Se credete…

— Lasciatemi così, io sto male, mi soffoco — rispose Marianna con una voce fievole che pareva un lamento.

— Sempre la stessa — mormorò il lord crollando con impazienza il capo.

La cena fu fatta in silenzio colla flemma tutta propria degli Inglesi che Yanez sforzavasi imitare. Furono vuotate parecchie bottiglie, venne sorseggiato il the e poi accesi i zigari.

Il lord non apriva bocca e Yanez non ardiva interromperlo occupato a progettare nuovi piani per decidere il lupo di mare a fare i suoi bagagli e partire per Vittoria.

Erano passate due ore, quando il lord improvvisamente si alzò e guardando fisso il luogo dove trovavasi sua nepote:

— Marianna — le disse, — se è vero che avete bisogno di aria, vi permetto di scendere nel parco sotto la scorta di questo giovanotto. Voglio sperare che i pirati a quest’ora saranno lontani e forse completamente distrutti, e credetelo bene, anche quella Tigre della Malesia… Via non parliamo più di lui: spero che voi avrete già dimenticato quel bandito.

Il Portoghese agli ultimi bagliori del crepuscolo, vide la giovanetta alzarsi con una mossa da leonessa ferita. Ella tese ambo le braccia con un gesto di suprema minaccia verso il lord che le volgeva le spalle, e parve si volesse slanciare verso di lui. Si frenò, incrociò macchinalmente le braccia sull’affannoso seno, e avvicinandosi alla tavola:

— Grazie, milord — diss’ella con tono ironico guardando con profondo disprezzo e mal celata ira. — Grazie…

— Milady, se aggradite la mia compagnia — s’affrettò a dire Yanez che temeva si scatenasse fra zio e nepote una bufera.

— Grazie, cavaliere — rispose Marianna.

Si appoggiò al braccio di lui e pallida, fremente, col volto scomposto uscì, lasciando il lord solo immerso nei suoi tetri pensieri. Quattro soldati armati sino ai denti si unirono a essi tenendosi però a una rispettosa distanza.

Le ombre della notte erano di già scese, ma la luna brillava in cielo illuminando come di giorno i grandi alberi, e le grandi distese di fiori, che un venticello fresco fresco, imbalsamato faceva stormire e piegare lievemente.

Marianna si arrestò un istante in mezzo al gran viale, mirando la natura addormentata e inebbriandosi di quei olezzanti soffi, poi s’abbandonò al braccio di Yanez gettando un gemito strappatogli dalla passione e dal dolore e tergendo due brillanti lagrime, che sgorgavanle dagli occhi. Ella guardò Yanez che sembrava ubbriaco, che sentivasi affascinato dinanzi a tanta avvenenza.

— Ah! Quanto soffro, amico mio — diss’ella. — Mi pare che il cuore mi venga strappato brano a brano… Parlatemi, sì, parlatemi di lui, credo di averlo ben meritato.

— Milady — disse il Portoghese, traendola su di un piccolo sentiero boscoso senza che ella vi si opponesse. — Il maledetto ha l’oltraggio sulle labbra e il veleno in petto, ma non l’avrà a lungo, io vi vendicherò entrambi. Non piangete, signora, io credo di non aver mai pianto perché sono cattivo, ma mi commuovo al punto d’irritarmi e di precipitare la vendetta contro di lui. Uditemi, tutto è crollato per questa notte, ma credo che domani sarete libera, felice, lontana. Sandokan è sempre nei dintorni coi suoi uomini, che spia il momento per rapirvi, che vi ama più di prima, deciso a tutto. Ho bisogno del vostro aiuto, signora, per dar l’ultima mano alla trama ordita.

— Oh! Parlate, parlate, Yanez, io farò tutto ciò che voi vorrete! — esclamò la giovanetta. — Ogni sacrificio sarà per me una gioia, sono forte, più forte di quello che voi abbiate a supporlo. Ordinatemi di pugnalare le mie sentinelle, io sarei capace di farlo, ordinatemi di fare ciò che una donna non ha mai fatto e io lo farò. La passione, lo sprezzo, gli oltraggi saranno capaci di darmene la forza. Soffoco, vi sono dei momenti che mi sembra d’impazzire, dei momenti in cui commetterei dei delitti! La disperazione m’invade, sento che le sofferenze sono troppo atroci per la mia anima, che la catena è troppo pesante: no, no, non mi lascierò vincere, non mi lascierò gettare fra le braccia di quel baronetto che io odio con tutte le forze della mia anima. L’avvenire è oscuro, ma che monta? Forse la vita sarà burrascosa ma che vale, quando io sarò libera a fianco di lui, io debole a fianco al forte che saprà difendermi? Dal giorno in cui fui brutalmente strappata dalle spiaggie della mia patria non ho avuto più bene; dal momento che ho sentito d’amare non ho avuto che disprezzo e oltraggio, è troppo e tutto da lui, da quell’uomo che si chiama mio zio! Sono vissuta sotto il suo disprezzo, senza mai una parola, senza mai una consolazione per l’orfana, per la derelitta, sotto il suo braccio di ferro, calpestata, un giorno abbandonata, un altro prigioniera. E tutto ciò perché ho un cuore, perché ho sentito d’amare un uomo che non è il suo baronetto!

Due grosse lagrime che andavano aumentando sotto le palpebre irrigarono il pallido volto della giovanetta, rischiarato dallo scialbo chiarore della luna. Il Portoghese sentì il sangue gonfiarsi nelle vene e la strinse teneramente.

— Non piangete, signora, Sandokan è là, io sono qui a vegliare pronto a dare tutto il mio sangue per voi. Vi amo come una sorella, forse più; io vi difenderò, sarò vostro fratello. Volete che io vi rapisca questa sera stessa per strapparvi dalle mani di lui? Guardate, io sento invadermi dall’ebbrezza nel sangue, sarei capace di diventare una tigre pur io, quattro uomini soli ci seguono, io vado a trucidarli. Poi a me la vendetta per quell’uomo che vi fece tanto soffrire per tanti anni.

— No, mio valoroso compagno — mormorò la giovanetta. — Lui è mio zio!… Lasciate, potrebbe uccidervi.

— Ah! divina milady! E sia giacché lo volete lo risparmierò come voleva risparmiarlo Sandokan. Ascoltatemi, questa notte non si farà nulla, rimarrete ancora prigioniera in questi luoghi, ma sarà l’ultima. Domani sarete lontana, tanto lontana da fargli perdere ogni speranza di raggiungervi. Voi potete ancora fare uno sforzo, sarà pur l’ultimo. Pregate il lord, decidetelo a recarsi a Vittoria il più presto possibile prima che l’uragano che minaccia abbia a scoppiare.

— Andare a Vittoria! Ma non sapete che una volta laggiù, venti cannoni tuoneranno contro i pirati?

Il Portoghese si mise sorridere, e accostando le labbra alle orecchie di lei dopo di aver guardato i quattro soldati:

— Non è che uno stratagemma, milady — diss’egli. — I pirati si tengono imboscati, e quando noi passeremo, si getteranno sul drappello, e vedrete che Sandokan saprà ben ruggire in quel momento. Mi comprendete, succederà una lotta di pochi momenti, la scorta sarà sbaragliata, il lord reso impotente e voi cadrete nelle mani della Tigre. Non abbiate paura, io veglio e al primo segnale, alla prima minaccia che il lord osasse farvi, io lo atterro. Domani a sera noi saremo lontani da queste esecrate coste.

— Ma sapete che mio zio sarebbe capace di uccidermi, anziché lasciarmi cadere nelle mani dei pirati?

— Ve lo ripeto, milady, non abbiate paura di nulla che me ne incarico io di difendervi: vi giuro che non vi torcerà un sol capello o, per Giove! io l’ammazzo!

— No! No! — esclamò vivamente Marianna. — Non toccatelo: è l’ultimo dei conti Guillonk!

— M’accontenterò di metterlo fuori di combattimento, d’impedirgli che abbia a mordervi. Non una parola ora, milady. Appoggiate la mia domanda presso il lord, cercate di deciderlo a partire e niente di più. Siete pronta a farlo?

— Sono pronta a tutto. Sarò solo della Tigre della Malesia e per diventar sua farò anche l’impossibile.

— E non ve ne pentirete, milady. Credetelo, il sangue dei conti Guillonk vale quanto il sangue di Sandokan.

— Ma chi è adunque questo Sandokan? Quali vicende mai lo trassero a diventare pirata e per di più un terribile pirata? Voi ne sapete qualche cosa, non dite di no. Fatemi conoscere colui al quale io andrò sua sposa.

Il Portoghese non rispose.

— Yanez.

— Milady.

— Ve ne prego.

— Uditemi, milady — disse Yanez con voce grave. — Fu il destino, o meglio la fatalità che precipitò quest’uomo che chiamasi la Tigre dai gradini di un trono al pirata.

«Aveva vent’anni appena quando salì sul trono di Maludu, un regno che trovasi vicino alle coste settentrionali del Borneo. Terribile, forte come un leone, coraggioso come una tigre, in breve volger di tempo aveva raccolto attorno a sé tutti i popoli vicini dopo averli vinti, a segno che a ventidue anni estendeva la sua potenza fino alle rive del Koti e alle frontiere del regno di Borneo.

«Queste imprese gli furono fatali. Inglesi dapprima, Spagnuoli dopo, Olandesi più tardi, il sultano di Borneo, i ragià di Koti e quelli del lago di Kini Balou, paventando che finisse col soggiogare l’intera isola, e scacciarli dai loro domini, cominciarono a tramare contro di lui. Le sollevazioni cominciarono sulle coste fomentate dai bianchi, poi presero piede nell’interno, sicché tutto il paese in breve tempo sollevossi contro di lui. Invano lottò, invano schiacciò gli uni e gli altri. La sua famiglia cadde sotto il ferro degli assassini: padre, madre, sorelle caddero mutilati ai suoi piedi. Le truppe passarono sotto le bandiere dei nemici, i suoi amici lo abbandonarono, altri lo tradirono, ed egli dovette salvarsi colla fuga seguito da un pugno di valorosi che non lo vollero lasciare nemmeno nella sciagura.

«Errò parecchi anni sulle spiagge settentrionali dell’isola, ora inseguito come belva feroce, ora senza viveri, ora senza mezzi, trascinandosi qua e là a capriccio, cercando indarno di riacquistare il perduto regno e di vendicare l’assassinata famiglia.

«Spinto dalla miseria, dall’odio, dalla vendetta, precipitò di pendio in pendio, finché si fece pirata. S’imbarcò su di un prahos, abbandonò le spiaggie della sua patria giurando atroce vendetta e approdò a Mompracem.

«Era forte, era prode, era terribile. Formò una banda, e devastò il mare. Inglesi, Spagnuoli, Olandesi, Bornesi, non ebbero da lui quartiere. Assaporò il sangue, s’inebbriò della polvere del cannone, diventò la Tigre della Malesia. Voi sapete il resto.

— E il ragià di Maludu si fece pirata — mormorò dolorosamente Marianna.

— Sì, pirata e che immolò di proprio pugno più di cento vittime. E che avrebbe potuto fare d’altronde quest’uomo che la vendetta rodeva e che la miseria accompagnava?

«Ma non fu assassino, milady, credetelo, fu vendicatore e niente di più.

— Non importa. Ragià o pirata, guerriero o assassino, sarei stata egualmente sua! — esclamò con fierezza Marianna.

Erano giunti allora nel fondo del parco vicini alle palizzate. Il Portoghese ebbe per un istante l’idea di afferrare la gíovanetta e di varcarle. I quattro soldati che lo seguivano ed una sentinella che stava semi-nascosta dietro una macchia di lillà, lo fecero desistere dall’audace progetto.

— Ritorniamo, milady — diss’egli. — La fuga sarebbe impossibile con questi cinque uomini. Ritorniamo che il lord ci aspetta.

— Ci aspetta — mormorò Marianna, rabbrividendo in modo che Yanez la sentì.

— Non abbiate paura, milady — disse il Portoghese. — Sarà l’ultima volta che vi parlerà.

Marianna emise un profondo sospiro che parve un gemito e chinò il capo sul petto che sollevavasi sotto i singhiozzi.

Quando ritornarono, trovarono il lord seduto dinanzi al tavolo. Era ancora cupo, pensieroso, forse occupato a commentare le proposte del Portoghese. Era evidente che quell’uomo, che non conosceva, né aveva mai conosciuto passioni, che voleva conservare il suo nome senza macchia, aveva paura lasciando la villa di cadere in qualche agguato tesogli dalla Tigre.

— Coraggio, milady, io intavolerò il discorso — mormorò Yanez all’orecchio della giovanetta, mentre entrava nella sala.

— Sì, farò tutto ciò che voi vorrete — rispose Marianna e si lasciò cadere anziché sedersi su di una seggiola, ma risoluta a tutto tentare.

Il lord vedendo Yanez si scosse e alzò gli occhi sempre torvi su di lui, guardandolo per qualche tratto in silenzio.

— Siete ritornato — disse alfine con un sorriso ma che si cangiò invece in un sogghigno diabolico. — E i pirati?

— Nemmeno l’ombra, milord, ve lo dissi, essi sono scomparsi. Ebbene, avete pensato per far partenza verso Vittoria?

— Vittoria! — esclamò egli come non si ricordasse più di nulla. — Ah! sì, mi rammento di ciò che mi avete detto, ma credo di aver pensato che sarà meglio attendere qui il baronetto. Finita la spedizione, egli si affretterà a ritornare, ne sono certo.

— Non mi fiderei, milord, e io credo che lady vostra nepote sia dell’egual parere. Si ignorano le sorti del combattimento.

— È vero, Marianna? — chiese il lord con tono ironico guardando fisso e quasi con diffidenza la nepote.

— Sì — rispose seccamente la giovanetta. — Datemi la libertà, io sono ammalata, soffoco, conducetemi via da questi luoghi che non sono più per me. Fate di me ciò che volete, ma allontanatemi da questo carcere ove mi sento avvelenare.

Il lord sussultò guardandola con maggior diffidenza. Era la prima volta che la udiva parlare in tal guisa, che parlava di Vittoria per la quale aveva sempre nutrito una avversità strana. Che voleva dir ciò? Era forse cangiata? Lo credette.

— Avete adunque dimenticato il pirata? Era ben tempo, milady, credetelo — disse egli con maggior ironia.

Il Portoghese vide una fiamma balenare negli occhi della giovanetta, mentre che impallidiva. Portò la mano sull’elsa della sciabola e avrebbe spaccato la testa all’oltraggiatore se non si fosse rammentato della promessa data. Si frenò.

— Sapeva che la pazzia che vi aveva preso sarebbe cessata assieme all’ammirazione per quell’eroe da coltello — continuò il lord sull’egual tono. — Se fossi voi, mi sentirei umiliata di averlo amato un sol istante.

La giovanetta si rizzò colla faccia pallida, altera, cogli occhi in fiamme come una tigre furibonda.

— Non continuate, non oltraggiate! — esclamò ella con tale accento che il lord ne fremette.

Stettero alcuni istanti in silenzio, guardandosi l’un l’altro, come due tigri che si misurano collo sguardo prima di avventarsi addosso. Lui era uomo e cedette, dominato dagli occhi fiammeggianti di lei, dall’alterigia, dalla maestà della fanciulla.

— Giacché lo volete non ne parlerò più — diss’egli. — Domani andremo a Vittoria, e voi mi seguirete.

Il Portoghese, che aveva di già tratta a metà la sciabola, respirò, asciugandosi le goccie di sudore che imperlavano la sua fronte. La giovanetta dopo quello sforzo, pur conservando la sdegnosa alterezza, si ritirava a lenti passi; il lord non si mosse.

— Fatevi condurre nella vostra stanza — disse il lord al Portoghese, quando la giovanetta si fu allontanata.

Yanez s’inchinò, augurò la buona notte e si ritirò dopo aver gettato un bieco sguardo su di lui. Un indigeno lo condusse in una elegante stanza tappezzata a rosso che suppose fosse la medesima abitata da Sandokan.

— Ah! miserabile! — esclamò egli quando trovossi solo. — Avrei dato mezzi dei miei tesori per vendicarla. Ma sta pur certo, maledetto d’inferno, che non la tormenterai a lungo; vi ha una voce che mi dice che noi un giorno ci rivedremo su altre terre. Quel dì sarà la tua ultima ora.

Si gettò sul letto vestito e cercò addormentarsi, ma non vi riuscì che a ora assai tarda. Quando si alzò il sole era già alto.

Aprì la fenestra e guardò nel parco, credendo vedervi i cavalli pronti per la partenza e i soldati occupati a levar le tende. Con sua grande sorpresa e, diciamolo pure, terrore, vide il giardino completamente vuoto. Solo le sentinelle passeggiavano dinanzi alla cancellata.

— Avrebbe il lord cangiato idea? — pensò egli.

Uscì e si recò nel salotto, ma non trovò né lord James né la milady. Interrogò un indigeno ma gli rispose di non aver ricevuto ordine alcuno di prepararsi a partire.

— Aspettiamo — mormorò il Portoghese. — Qualche cosa succederà. Venne mezzodì, ma il tanto sospirato ordine di mettersi in viaggio non fu dato. Il Portoghese cominciò a impensierirsi, tanto più che nessuno dei due si faceva vedere. Le paure cominciarono ad assalirlo: temette che la trama fosse stata scoperta, che Sandokan si fosse fatto incautamente vedere, o che la giovanetta si fosse improvvisamente ammalata.

Egli passò il rimanente della giornata in un’ansia continua, e già disperava della riuscita del suo ardito giuoco, quando alle sei di sera venne in furia comandato ai soldati di abbandonare i loro posti e di piegare le tende e agl’indigeni di fare i preparativi per la partenza.

Il Portoghese respirò ed affrettossi a recarsi nella sala dove i servi erano affaccendati a fare i bagagli. Dalla fenestra poté veder gli staffieri che s’affannavano ad insellare i cavalli e i soldati che si caricavano degli zaini.

Pochi momenti dopo comparvero lord James e sua nepote. Lui era vestito da viaggio, in bassa tenuta di capitano di marina e armato sino ai denti. Non mancava né di sciabola né di carabina e nemmeno di pistole; pareva che dovesse recarsi alla guerra.

Lei era vestita leggiadramente d’amazzone, con un giubbettino di velluto e lunga veste di seta azzurra che faceva doppiamente risaltare il pallore e la bellezza del suo volto e sul capo un berrettino piumata che s’inclinava graziosamente sui dorati capelli.

Il Portoghese che l’osservava attentamente vide due lagrime tremolarle sugli occhi, e sul suo volto scolpito uno sgomento, un affanno che lo spaventò.

Non era più l’energica fanciulla del giorno innanzi che aveva parlato con tanto fuoco e tanta fierezza. L’idea di un rapimento pareva atterrirla, l’idea di dover abbandonare e per sempre quei luoghi pareva angosciarla, e l’idea di gettarsi in un avvenire tetro, oscuro nelle braccia di un pirata che portava il terribile nome della Tigre della Malesia, pareva che la spaventasse. Quando salì a cavallo, abbondanti lagrime solcarono le pallide guancie che una passione gigantesca aveva dimagrite e infossate, e il suo seno si sollevò sotto i singhiozzi che le montavano alla gola. Ella si aggrappò alla sella e vacillò come stesse per cadere, volgendo un mesto sguardo su quei luoghi che più mai doveva rivedere, a quei luoghi dove era vissuta e cresciuta, e che ora perdeva per sempre per seguire il destino e forse la fatalità che la spingeva irresistibilmente verso la Tigre della Malesia.

Il Portoghese, con una mano sul calcio della pistola per prevenire qualche catastrofe, spinse risolutamente il suo cavallo verso di lei.

— Coraggio, milady — mormorò egli, — l’avvenire è vostro! — e si mise al suo fianco a due passi dal lord che non diceva verbo.

Si misero in marcia colle carabine montate, gli occhi fissi sui due lati del sentiero, gli orecchi in guardia per raccogliere i menomi rumori che indicassero la vicinanza del nemico; ognuno, malgrado le asserzioni della lettera del baronetto, diffidava e primi fra questi il lord che scrutava le circostanti foreste, gettando di tratto in tratto uno sguardo torvo verso la nepote, sguardo terribile nel quale brillava una sinistra fiamma, una suprema minaccia. Il Portoghese vi lesse con ispavento in quegli occhi la risoluzione d’ucciderla anziché lasciarsela rapire.

Quattro soldati a piedi aprivano la marcia, calpestando le alte erbe del sentiero con prudenza, altri sei a cavallo camminavano ai lati facendo scudo al lord e alla giovanetta, mentre otto indigeni, non meno armati degli altri ma forse meno risoluti, venivano dietro con lesto passo senza scambiare una parola.

Erano giunti allora a mezzo chilometro dalla villa, quando Yanez, alzandosi repentinamente sulla sella colla sciabola in pugno, mandò un fischio acuto, il segnale che doveva avvertire Sandokan del loro avvicinarsi. Il lord si arrestò di botto.

— Che fate? — domandò egli, afferrando la carabina e guardandolo sospettosamente.

— Chiamo i miei uomini — rispose freddamente Yanez, alzando la sciabola verso di lui pronto a spaccargli il capo.

— Ah! traditore! — urlò il lord che comprese la trama.

Quasi nel medesimo istante si udì una scarica violenta partita dai due lati del sentiero. Tre cavalieri e quattro indigeni caddero fulminati, e venti uomini, venti tigri colle scuri in mano irruppero dai circostanti boschi gettando urla indescrivibili, caricando il drappello, spaventato, sorpreso dall’inaspettato attacco. Sandokan in persona, armato della terribile scimitarra di già insanguinata sino all’elsa, si avventò alla testa degli Inglesi che si riparavano dietro i cavalli, cercando opporre una disperata resistenza. Egli spaccò il capo al primo che gli capitò tra i piedi nel momento che questo stava per tirargli un colpo di pistola quasi a bruciapelo.

Il lord gettò un vero ruggito. Colla pistola in pugno si spinse verso la giovanetta che si aggrappava disperatamente al collo del suo cavallo. Ma il Portoghese era lì. Con un balzo da tigre afferrò la lady che veniva meno, e sollevandola fra le braccia vigorose cercò di passare in mezzo agli Inglesi che si difendevano furiosamente dietro i cavalli ammazzati.

— Largo! Largo! — urlò cercando dominare colla voce il fracasso della moschetteria.

Non fu udito; Marianna gli svenne fra le braccia. Egli la depose al suolo nel mentre che il lupo di mare pallido di furore gli si faceva addosso colla sciabola alzata. Ebbe appena il tempo di parare colla sua arma il colpo mirato alla testa.

— Ah! miserabile! — gli gridò Yanez saltandogli addosso. — Aspetta un po’, vigliacco, che ti faccia assaggiare la punta del mio ferro.

Il lord gli tirò una pistolettata, ma la palla mal diretta si perdé altrove. I due uomini impugnate le sciabole si precipitarono furiosamente l’un contro l’altro, sbuffando come leoni, misurandosi terribili fendenti, saltando a destra e a manca, stringendosi coi pugnali, l’uno risoluto a sacrificarla anziché lasciarsela rapire e l’altro a difenderla. Né l’uno né l’altro cedeva, né l’uno né l’altro paventava delle palle, né della carneficina che accadeva a loro d’intorno, né si commoveva alle urla strazianti dei feriti che si torcevano a loro vicini bestemmiando e insanguinando le erbe.

Mentre loro due s’azzuffavano con accanimento senza pari, disputandosi la disgraziata fanciulla che non dava più segno di vita, Inglesi e pirati si assalivano con egual furia, cercando di respingersi vicendevolmente.

I primi, ridotti a solo un pugno di combattenti, messisi dietro ai cavalli, facevano intrepidamente fronte ai tigrotti di Mompracem, difendendosi col coraggio infuso dalla disperazione, sostenuti validamente dagli indigeni che menavano ciecamente le mani, confondendo le selvagge loro urla a quelle tremende dei pirati. Colpivano di punta e di taglio, roteavan i fucili servendosene dei calci come di mazza, avanzavano, infuriando sempre più, incoraggiandosi colla voce e coll’esempio.

La Tigre, colla scimitarra in pugno, invano tentava di sfondare quella parete umana per portar aiuto al Portoghese che s’affannava a respingere i crescenti e turbinosi attacchi del lord. Ruggiva come una vera belva, fendeva teste, squarciava petti, troncava gambe e braccia, smussava armi, s’avventava pazzamente sulle punte delle baionette, trascinando seco la terribil sua banda che mugolava ai suoi fianchi colle scuri alzate tinte e ritinte nel sangue del nemico.

Per dieci minuti Inglesi e pirati si batterono, afferrandosi l’un l’altro e cercando rovesciarsi e scannarsi, poi i primi cedettero. La Tigre trascinò un’ultima volta all’assalto i suoi tigrotti, che riuscirono a spezzare quella trincea vivente ed impadronirsi dei cavalli tanto ostinatamente disputati. — Tieni saldo, Yanez! — urlò la Tigre che avanzava penosamente tempestando il nemico che tentava con ogni suo sforzo di arrestarlo. — Tieni saldo che ci sono!

Proprio in quel medesimo istante la sciabola del Portoghese si spezzò. Egli trovossi disarmato con la giovanetta accanto. Impallidì orribilmente.

— Aiuto, Sandokan! — vociò egli.

Il lord si precipitava su di lui coll’arme alzata. Non si smarrì. S’abbassò, evitò il colpo, si fece sotto e s’aggrappò disperatamente al lupo di mare. Tutti e due rotolarono al suolo digrignando i denti e mordendosi l’un l’altro come tigri.

Gli Inglesi allora retrocedevano e cadevano l’un dietro l’altro sotto la scimitarra della Tigre e le scuri dei pirati. Il lord se ne avvide, e cercò liberarsi dalla stretta del Portoghese per assassinare la giovanetta, ma non vi riuscì.

— Ah! brigante! — urlò egli serrandosi stretto contro il petto Yanez e colle gambe e colle mani. — Ehi! John! Ammazzami la mia nepote! Te lo comando!

Un soldato ferito e tutto insanguinato si staccò dal gruppo dei combattenti. Sandokan lo vide impugnare la daga e saltare addosso alla giovanetta. Gettò un urlo terribile, disperato, straziante.

— Yanez! Yanez! Salvala!

Il Portoghese lo udì, vide e comprese tutto. Radunò tutte le sue forze, si rizzò traendo seco il lord, e girando su sé stesso cozzò furiosamente contro il soldato che cadde lungo disteso, poi stringendo le magre dita attorno al collo del lupo di mare, con una violenta scossa lo scaraventò contro il tronco di un albero stordendolo.

Quel momento bastò. La Tigre, spezzata la barriera dei combattenti piombò sul soldato che rosso di collera cercava d’alzarsi e gli fracassò il cranio con tal violenza da farne spruzzar le cervella a dieci passi di di stanza, poi saltatolo via afferrò la giovanetta e la sollevò gettando un urlo di gioia selvaggia.

— Mia! Mia! Mia! — ruggì egli con indefinibile accento.

Se la strinse contro il petto, e fuggì attraverso le foreste seguito dai suoi tigrotti, che avevano allora allora finito di scannare l’ultimo Inglese. Il lord rimase solo sul luogo della pugna, torcendosi e bestemmiando in mezzo ai cadaveri.

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