Le Tre Isole apparivano a tre o quattro miglia di distanza, appena appena visibili per la profonda oscurità. Nessun fuoco brillava sulle dirupate loro coste e nessuna nave, per quanto i pirati girassero attorno i loro occhi, veleggiava nelle loro vicinanze. Isole e acque parevano deserte e addormentate.
Sandokan, appena si fu accertato che erano propriamente esse, comandò di ammainare le vele e agli altri prahos d’avvicinarsi bordo contro bordo. Compiuta l’unione dei tre legni, fece subito innalzare sugli alberi di maistra la gran bandiera del Sultano di Borneo, e portare le artiglierie sul suo prahos più grande, più solido e quello portava tutti i suoi tesori.
Dei quarantasei uomini che aveva, quaranta passarono sul suo ponte, dopo di essersi camuffati alla meglio tanto da passare per marinai e guerrieri di Varauni.
— Compagni — diss’egli chiamandoli attorno e intimando a loro il più assoluto silenzio. — La partita che noi giuochiamo è terribile, non dimenticate che sarà l’ultima pugna che imprenderà la Tigre della Malesia, quindi l’ultima volta che noi ci troveremo di fronte alle giacche rosse, e l’ultima occasione che ci si presenta per vendicare e coloro che furono assassinati lungo le coste di Labuan e coloro che vennero sventrati sulle coste di Mompracem. Voglio vedere sangue, mi capite, e tanto sangue da coprire l’onta che subimmo sulla nostra isola.
— Sì, sangue, torrenti di sangue, fiumi di sangue! — mugolarono ferocemente i tigrotti. — Tanto sangue da arrossare il mare della Malesia!
— Abbiamo la nostra regina da strappare dalle mani dei nostri nemici: Marianna Guillonk, mia moglie!
— Ve la daremo; dovessimo morir dal primo all’ultimo.
— Sta bene. Silenzio ora, e tutti pronti a intavolare la pugna; appena che io darò il segnale tutti sul ponte del piroscafo. Nessun Inglese sfuggirà alla nostra vendetta.
— Contate su noi — risposero in coro i tigrotti.
Sandokan fece cenno a metà di loro di scendere nella stiva, per non allarmare con tanta gente il piroscafo, poi comandò agli altri due legni di prendere il largo e di tenersi lontani dalle Tre Isole più che fosse possibile, per non venire presi.
— E ora — diss’egli volgendosi a Inioko, che aspettava i suoi ordini, — volgi la prua alle Tre Isole e andiamo alla baia. Il piroscafo è là.
Le vele vennero nuovamente sciolte e il veloce legno, silenzioso come un fantasma, si diresse verso la prima isola, al sud della quale aprivasi una baia profonda. I pirati rimasti sul ponte, puntati i cannoni e prese alcune disposizioni per poter abbordare il legno caso mai che venissero riconosciuti, si stesero sul ponte coi kriss fra le labbra e le carabine a portata della mano.
— Yanez — disse Sandokan. — Vammi a scrivere questa lettera.
— Qui viene il buono — disse il Portoghese. — Se il luogotenente per avventura conoscesse la scrittura del lord?
— Non gli lascierai vedere la lettera. La consegnerai nelle mani di Marianna.
— Si fa presto a dirlo, ma sarà difficile a farlo. Se quell’animale di comandante non me lo permettesse? Chi sa, potrebbe darsi che sospettasse di me.
— Quando tu dirai di aver ricevuto dal lord il comando di consegnare la lettera nelle mani di lady Marianna, vedrai che il luogotenente ti lascierà fare. Tu sai che gli ordini superiori non si alterano a bordo dei legni inglesi.
— Ti credo, fratello mio, ma non do due piastre della mia pelle. E infine che vuoi che io scarabocchi?
Sandokan per alcuni istanti meditò.
— Odi — disse poi. — Potrebbe darsi che il luogotenente, per precauzione o per qualche altra ragione, avesse ad accompagnarti nella cabina, e impedirti così di parlare con Marianna. Scriverai quindi sulla lettera che noi siamo pronti a dare l’abbordaggio al vascello e che stia in guardia.
— Eccomi qua un nuovo impaccio dinanzi agli occhi — disse Yanez.
— Quale?
— Se il luogotenente restasse anch’egli nella cabina, come potrò io barricarmi?
— Hai un kriss: lo caccierai fino all’impugnatura nella schiena di lui.
— Tu parli con una sicurezza tale da far credere che tutto sia facile.
— È l’ultimo colpo che tentiamo, Yanez.
— Hai ragione, Sandokan. Orsù, siamo forti anche nell’ultimo colpo.
Sandokan gli prese la mano e gliela strinse commosso.
— Ah! quanto sei buono, Yanez! — esclamò egli.
— Lascia stare le lodi, fratello mio — disse il Portoghese sorridendo. — Animo, conduci il prahos in porto. Prima che vi arriviamo, la lettera sarà finita.
Il bravo Portoghese sparve pel boccaporto di poppa e Sandokan si portò a prua cogli occhi fissi sull’isola più vicina, e precisamente all’ingresso della baia che aprivasi verso il sud fra una doppia fila di scoglietti madreporici.
Il prahos continuava ad avanzare lentamente colle vele terzarolate e la gran bandiera del Sultano di Borneo spiegata sulla cima dell’albero maestro. Esso giunse dinanzi alla baia nel momento che il sole usciva dal mare, rischiarando quasi improvvisamente le Tre Isole. I pirati scattarono in piedi.
S’udì tosto un grugnito di gioia; ogni mano si portò istintivamente alle impugnature delle scimitarre e dei kriss. Qualcuno afferrò la carabina, e qualche altro la miccia dei cannoni.
— Silenzio! — comandò la Tigre della Malesia.
Proprio nel mezzo della baia stavasene ancorato il piroscafo; la bandiera inglese ondeggiava sul picco dell’albero di mezzana e dalla ciminiera usciva un legger pennacchio di fumo grigiastro. Sandokan riconobbe subito in quel piroscafo quello stesso che lo aveva assalito sotto le coste di Mompracem e che lo aveva fatto prigioniero. Tremò tutto.
— Là vi ha la mia fidanzata — mormorò egli cupamente. — Là vi sono quei cento Inglesi che mi schiacciarono: bene, fra un’ora vedrò cento cadaveri dissanguati, orribilmente mutilati dalla mia scimitarra.
Si volse ai suoi tigrotti, che guardavano trucemente il naviglio.
— Egli è là — diss’egli. — Lo vedete?
— Lo vediamo — risposero con impeto feroce i tigrotti.
— Là trovasi la moglie della Tigre della Malesia, quella che voi gridaste regina di Mompracem.
— La libereremo per ritornarla alla Tigre.
— Non basta. Io odio quegli uomini.
— Noi li esecriamo, Tigre, e abbiamo sete di sangue.
— Che nessuno ci sfugga. Io lo comando.
I tigrotti risposero con un mugolio furioso.
— Vogliamo sangue! Vogliamo cadaveri! Vogliamo vendetta! — risposero ad una voce.
— Bene, voi avrete tutto ciò che chiedete. Yanez!
Il Portoghese comparve, portando la lettera. Egli era camuffato da capitano di marina bornese, con un gran turbante in capo ed una bella casacca verde in mezzo alla quale campeggiava lo stemma del Sultano.
— Il piroscafo? — chiese egli, mettendo piede sul ponte.
— Il maledetto dorme all’âncora — rispose Sandokan. — Il lord non è ancora arrivato, ma potrebbe trovarsi qui fra pochi momenti: è quindi di assoluta necessità che noi abbiamo ad agire subitamente.
— È giusto, fratello mio. Orsù allora, spicciamoci. Io salgo a bordo del legno, e al primo fischio voi date l’abbordaggio; siamo intesi, ma, per Giove! non tardate. Se il colpo non riesce, tu lo sai che io non uscirò vivo dalla cabina della lady.
— Fidati di me, Yanez. Sento d’essere ancora una volta la Tigre della Malesia: si tratta di liberare Marianna, la mia fidanzata, più ancora, mia moglie, e ciò basta. Ho il sangue che mi bolle, ho indosso una smania furiosa di uccidere, di scannare, di sbranare.
— Andiamo, vattene sotto coperta con Ladgia, e voi, tigrotti miei, giù quelle armi e componete un po’ cristianamente i vostri musi feroci. Bisogna che gl’Inglesi non abbiano a sospettare di nulla.
Sandokan gli strinse fortemente la mano.
— Coraggio, Yanez. Giuoco la mia ultima partita.
— Arrivederci sul vascello nemico in mezzo a un monte di cadaveri! Strinse fra le braccia la Tigre della Malesia e Ladgia, poi si slanciò a prua, gridando:
— Inioko, metti pur la prua dritta al piroscafo. Coraggio, tigrotti! Abbiamo lassù un fiume di sangue da bere.
Il prahos veleggiò subito verso la baia. Oltrepassò la doppia fila di scogliere e si avvicinò al vascello fermo su due âncore. Tre o quattro uomini si mostrarono sul castello di prua.
— Chi va là? — chiese una delle sentinelle.
— Varauni — rispose Yanez. — Notizie importanti da Vittoria. Olà, Inioko, lascia andare l’ancorotto e fa filare tanta catena fino a che andiamo a collo della nave. Attento alle tambure e all’urto! Fuori i parabordi, voi altri.
Prima che le sentinelle aprissero bocca, per impedire, secondo i regolamenti, che il legno si avvicinasse troppo, i pirati avevano ammainate le vele e gettata l’âncora. Il prahos abbordò il piroscafo sotto la poppa in maniera che gli alberi toccassero le murate, per agevolare la salita a bordo.
— Dov’è il comandante? — chiese Yanez.
— Scostate il legno — disse una sentinella.
— Al diavolo i regolamenti — rispose il Portoghese. — Spicciatevi, per Giove! Andatemi a chiamare il comandante, che ho degli ordini pressanti da comunicargli.
Il capitano saliva allora sul ponte. Egli s’avvicinò alla murata di poppa, e, vista la lettera che Yanez mostravagli, fece gettare una scala.
— Coraggio — mormorò Yanez, volgendosi ai tigrotti che guardavano trucemente il piroscafo.
Prima di salire, volse uno sguardo a poppa del prahos. I suoi occhi s’incontrarono con quelli fiammeggianti di Sandokan, che si teneva celato sotto una tela che copriva il boccaporto. Si scambiarono un gesto impercettibile che voleva dire mille cose.
In meno che lo si dica, il bravo Portoghese si trovò sul ponte del piroscafo. Si sentì invadere da un po’ di timore, ma la sua faccia non tradì il turbamento dell’animo.
— Capitano — diss’egli, inchinando spigliatamente dinanzi al comandante del vascello. — Una lettera per lady Marianna Guillonk.
— Da dove venite?
— Da Labuan.
— Chi ve la diede?
— Lord James Guillonk in persona.
— L’avete veduto adunque voi? Che fa?
— Sta armando un brigantino per venirvi a raggiungere — rispose Yanez con voce ferma. — Egli mi ha incaricato di consegnare questa lettera alla lady sua nepote.
— E per me, non vi diede alcuna lettera? — chiese il capitano.
— Nessuna, comandante.
— Ciò è strano. Non vi comunicò nemmeno ordini?
— Nessuno.
— Date qua la lettera che gliela consegnerò io a lady Marianna.
— Mille scuse, comandante, ma ho avuto ordine di consegnarla io in persona a sua nepote — disse audacemente Yanez.
— In tal caso venite con me. Gliela daremo assieme.
Yanez rabbrividì e sentì gelarsi il sangue nelle vene.
— Sono perduto — mormorò egli fra sé. — Se Marianna mi conoscesse?…
Tuttavia non si smarrì, né rifiutò la compagnia del capitano, per paura di destare sospetti. Solo cacciò una mano in tasca per assicurarsi che il kriss era al suo posto.
— Andiamo capitano — disse poi, facendo uno sforzo per padroneggiare l’emozione che lo assaliva.
Gettò una rapida occhiata al prahos. Arrampicati sugli alberi vi erano sei o sette pirati e avevano un piede appoggiato sulla murata del piroscafo. Pareva che fossero lì lì per avventarsi sui marinai inglesi, che li osservavano mutamente e con qualche curiosità.
Egli seguì il capitano e scese assieme a lui la scala che conduceva alle cabine di poppa. Il povero Portoghese si sentì rizzarsi i capelli sulla fronte, quando udì il capitano bussare leggermente ad un uscio.
— Chi è là? — chiese una voce che Yanez riconobbe subito per quella di lady Marianna.
— Un messaggio di lord Guillonk vostro zio — rispose il capitano.
La porta si aprì e furono introdotti in una vasta cabina riccamente addobbata e nel mezzo della quale stavasene ritta la fidanzata della Tigre, pallida, abbattuta, ma fiera. Ella nello scorgere Yanez che conobbe subito, impallidì ancor più e s’appoggiò alla spalliera di una sedia. Ma non gettò grido alcuno, non fece il più piccolo gesto di sorpresa, che potesse tradire il coraggioso Portoghese.
Ella ricevette dalle sue mani la lettera, l’aprì macchinalmente e la lesse con una calma veramente ammirabile. Yanez fu subito lesto a tirarsi indietro: tremava tutto come se avesse la febbre ed era diventato bianco come un panno lavato.
D’un tratto fece due passi verso lo sportello della cabina che guardava il mare.
— Capitano — diss’egli con voce stridula e alterata. — Mi pare di vedere un piroscafo che si dirige verso questa baia.
Il comandante si precipitò verso lo sportello, credendo davvero che un piroscafo fosse in vista. Era quello che Yanez voleva.
Gli si fece silenziosamente alle spalle col kriss in mano. Gli mise quattro dita sulla bocca per impedirgli di mandare il più piccolo suono, poi rovesciandolo bruscamente addosso a una sedia, gli sprofondò l’arma fino all’impugnatura nel cuore. L’Inglese cadde a terra fulminato vomitando sangue. Lady Marianna non poté frenare un grido d’orrore.
— Tuoni di Dio! — mormorò cupamente Yanez. — Silenzio, sorella mia.
Asciugò freddamente la insanguinata lama del kriss sulle vesti del morto e si avvicinò a Marianna, stringendole la mano con passione.
— Sorella mia — le disse. — Non emettete grida che potrebbero tradirmi e cercate di essere forte se volete che vi salviamo. Sandokan e i tigrotti sono qui, l’avete letto sulla lettera, e fra cinque minuti daranno battaglia a quelli del piroscafo. Coraggio, adorata sorellina.
— Ah! Yanez! — disse la giovanetta, stringendosi ai suoi fianchi.
— Vi capisco, un assassinio vi mette sgomento, ma non poteva fare a meno di pugnalare quel povero diavolo. Dio mi perdonerà.
— E Sandokan, e la Tigre, e il mio fidanzato? Oh! parlatemi di lui!
— Ve lo dissi che è nascosto nel prahos e che attende il mio segnale per cominciare il massacro. Non abbiamo tempo da perdere. Siete ancora risoluta ad abbandonarvi completamente nelle braccia di mio fratello?
— Sempre, Yanez, sempre! — esclamò con fuoco la giovanetta.
— Bene, allora all’opera. Avete armi? Potrebbe darsi che voi foste costretta ad ammazzare qualcuno di questi cani che vi tengono prigioniera. Marianna aprì un cassetto e ne levò due pistole.
— Sono pronta a tutto — disse poi. — La moglie della Tigre della Malesia deve mostrarsi degna del suo terribile consorte.
— Andiamo, milady, barrichiamoci, prima che gl’Inglesi abbiano ad accorgersi della mia presenza.
Afferrò un armadio e lo trascinò presso la porta, e sopra vi accumulò alla meglio tavolini, cassetti e scranne, formando una solida barricata, dietro alla quale potevasi opporre una lunga resistenza.
— E ora — diss’egli quando ebbe finito, — diamo il segnale. Coraggio, milady, mano alle pistole.
— Ma che succederà mai? — chiese con emozione la giovanetta.
— Un massacro e nulla più — rispose freddamente Yanez.
S’avvicinò al fenestrino, trasse da saccoccia una chiave e mandò un lungo e acuto fischio.
Egli tornò rapidamente verso Marianna, che aveva caricato le pistole.
— Attenzione! — esclamò egli, traendo la scimitarra e le sue armi da fuoco.
D’un tratto si udì un terribile grido, il grido di guerra dei tigrotti di Mompracem:
— Sangue! Sangue! Viva la Tigre della Malesia!…
Vi tenne dietro una scarica violenta di carabine, poi urla indescrivibili, bestemmie, invocazioni, gemiti, lamenti, comandi precipitosi e un calpestio, un cozzar d’armi, un rumor sordo di corpi che cadevano.
— Yanez! — balbettò Marianna pallida come una morta.
— Coraggio, tuoni di Dio! Viva la Tigre della Malesia! — vociò il Portoghese.
Si udirono delle voci che s’avvicinavano alla cabina, poi la scala scricchiolare sotto il peso di alcuni uomini.
— Capitano! Capitano! — gridò una voce.
Yanez si scagliò verso la porta colla scimitarra nella dritta e una pistola nella sinistra, appoggiandosi contro le mobiglie. Marianna ne seguì l’esempio.
— Capitano! Aprite, per mille boccaporti! — gridarono tre o quattro voci.
— Viva la Tigre della Malesia! — urlò ancora Yanez.
S’udì una bestemmia tremenda poi un colpo contro la porta e uno schianto. Yanez e la giovanetta raddoppiarono gli sforzi per tener salda la barricata. Seguì un secondo, un terzo, poi un quarto colpo. Si aprì una fessura per la quale s’introdusse la canna di una carabina.
— Yanez! Yanez! — gridò la giovanetta.
— Tenete saldo! — esclamò il Portoghese.
Con una mano abbassò l’arma, coll’altra appoggiò la pistola sulla fronte di un soldato e gli fece saltare le cervella. Marianna, dal canto suo, fece fuoco su di un marinaio che rotolò fulminato al suolo.
Gli altri due risalirono in furia la scala urlando:
— Tradimento! Tradimento!…
Le fucilate continuavano sul ponte del vascello, e le urla echeggiavano più forti che mai, urla di agonizzanti e urla di vincitori. Tratto tratto fra quei fragori s’udiva la tonante voce della Tigre della Malesia, che comandava l’assalto, alla quale teneva dietro sempre più tremendo il grido di guerra dei pirati di Mompracem.
Marianna era caduta in ginocchio e Yanez, smanioso di sapere come volgessero le cose sul ponte, s’affaccendava a levar le mobiglie, per saltar fuori e prendere a tergo gl’Inglesi, qualora ve ne fosse stato bisogno, quando si udì urlare:
— Al fuoco!… Al fuoco!… Si salvi chi può!…
Il Portoghese impallidì.
— Tuoni di Dio! — esclamò egli.
Con uno sforzo disperato rovesciò la barricata, si slanciò verso Marianna, l’avvinghiò fra le sue braccia e uscì in furia colla scimitarra in pugno.
— Venite, milady, o siamo perduti.
Dense nubi di fumo avevano di già invaso la corsia e nel fondo si vedevano le fiamme che uscivano dal deposito di carbone e dalle cabine degli ufficiali.
— Aiuto, Yanez! Dio mio, la Santa Barbara! — esclamò Marianna.
Yanez, tenendola sempre fra le braccia, salì la scala e guadagnò il cassero. La pugna durava ancora più feroce che mai fra Inglesi e pirati. Qua e là si scorgevano gruppi di cadaveri orribilmente mutilati, nuotanti fra torrenti di sangue, agonizzanti che gemevano contorcendosi rabbiosamente, combattenti che si azzuffavano tremendamente, rovesciandosi, calpestandosi e scannandosi a vicenda, e per ogni dove armi infrante e insanguinate. In mezzo a tutti si vedeva Sandokan, che invulnerabile fra le palle e i colpi di baionetta, faceva strage d’Inglesi.
— Al fuoco! Al fuoco! — gridò il Portoghese saltando in coperta e cacciando dieci pollici di lama nella schiena di un contromastro che si azzuffava contro Inioko.
Il grido fu udito. I quindici o venti Inglesi che ancora restavano in piedi si diedero alla fuga per salvarsi nelle imbarcazioni, ma furono circondati e ammazzati, addosso alle murate. La Tigre della Malesia si precipitò incontro a Yanez e ricevette fra le braccia Marianna. Gettò un urlo di gioia giammai uscito da gola umana.
— Marianna! Marianna!… — esclamò egli.
La giovanetta si aggrappò al suo collo. Nel medesimo istante si udì una cannonata rombare verso l’alto mare.
La Tigre della Malesia cacciò fuori un ruggito rabbioso.
— Il lord! Il lord! Tutti a bordo del mio prahos! Non aver paura, Marianna, sono qua io!
Il prahos si era fatto sotto la scala di tribordo. Sandokan con Marianna, Yanez e tutti i pirati che erano scampati alla pugna, portando i feriti, abbandonarono il vascello che, in preda alle fiamme, bruciava come un fastello di legna secca.
S’udì una seconda e poi una terza cannonata. Le vele in un lampo furono spiegate, i pirati diedero mano ai remi, ed il piccolo legno uscì a tutta velocità dalla baia, inoltrandosi verso l’alto mare. Sandokan trasse Marianna a prua e la coperse colla lama della sua scimitarra.
A seicento passi a tribordo galleggiavano i rottami dei due prahos lasciati indietro da Sandokan, e a quattrocento passi a babordo veleggiava un grosso brigantino colla bandiera inglese sul picco della randa.
I pirati si gettarono ai cannoni.
— Fermi tutti! — gridò Sandokan.
Egli tese la scimitarra verso la prua del brigantino, sulla quale stavasene un uomo colle mani appoggiate sul bompresso.
— Guardalo, Marianna, guardalo! — diss’egli. La giovanetta gettò un grido di spavento.
— Mio zio! Mio zio! — balbettò ella smarrita.
— Guardalo per l’ultima volta!…
— Ah! Sandokan!…
— Tuoni di Dio, è lui! — urlò Yanez con accento terribile.
Alzò la carabina e lo prese di mira. Sandokan gli strappò l’arma di mano.
— Egli è per me sacro — disse con aria tetra.
Il brigantino si avanzava rapidamente. Egli tirò un primo colpo di cannone sul prahos; la palla smussò l’albero di maistra abbattendo la bandiera della Tigre della Malesia.
Sandokan portò la destra al cuore e la sua faccia si sconvolse.
— Addio vita! — mormorò egli dolorosamente. — Addio Tigre!…
Abbandonò bruscamente Marianna, si abbassò sul cannone di poppa e mirò a lungo. Il brigantino tirava furiosamente alternando alle palle scariche tremende di mitraglia. Sandokan non si moveva: mirava sempre.
Di repente si raddrizzò accostando la miccia. Il cannone s’infiammò ruggendo, scuotendo tutto il prahos: vi tenne dietro uno scroscio formidabile e l’albero di maistra del brigantino ruinò in mare con tutta l’attrezzatura schiantando le murate.
— Guarda!… Guarda!… — esclamò la Tigre.
Il brigantino s’arrestò di botto virando di prua e si dié a cannoneggiare il prahos che s’allontanava sempre. Sandokan afferrò Marianna, la trasse a poppa, salì sulla murata e la mostrò al lord che bestemmiava e urlava come un pazzo a prua del brigantino.
— Guarda mia moglie!
Poi retrocesse a lenti passi colla fronte abbuiata, gli occhi torvi, le labbra strette, i pugni chiusi e scosse disperatamente la testa.
— A Giava! A Giava, alla terra della libertà! — mormorò con voce spenta.
Il brigantino tirava con maggior furia a palla e a scaglia e la distanza cresceva sempre più. La Tigre immobile come una statua cogli occhi in fiamme mirava il legno nemico, come trasognato, come ebbro, sordo alle parole di Marianna che lo pregava di togliersi di là, sordo alle parole di Yanez, sordo alle parole dei suoi pirati.
D’un tratto le detonazioni diminuirono d’intensità e cessarono poco dopo del tutto. La Tigre fece un passo innanzi, due, tre, barcollando, andò a poppa poi si volse indietro e gettò un grido straziante, un grido disperato, strozzato.
— Dio! Dio! La Tigre della Malesia è per sempre morta!
Girò su di sé stesso come albero sradicato dal vento, cadde fra le braccia dell’adorata sua Marianna e quell’uomo che non aveva mai pianto in vita sua scoppiò in singhiozzi!…
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