I traditori (prima parte)

Il drappello invece di dirigersi verso la casupola doveSandokaned i suoi compagni avevano lasciati i loro cavalli, prese un’altra via che passava frabengalow mezzi distrutti dal fuoco e giardini devastati.

Tremal-Naik, messo in guardia dall’avvertimento datogli dalcipai , e molto inquieto, temendo qualche sorpresa inaspettata, si provò ad interrogare ilsubadhar , ma l’ufficiale che era diventato bruscamente burbero, si limitò a fargli cenno di continuare la via.

– Tremal-Naik, – disse Yanez, – mi pare che le cose non vadano troppo lisce. – Che cosa è successo dunque?

– Non so nemmeno io, – rispose il bengalese. – Mi sembra tuttavia che si abbia ben poca voglia di farci entrare in Delhi.

– Che ci credano spie degl’inglesi? – chiese Sandokan.

– Un simile sospetto ci metterebbe in grave pericolo, – rispose Tremal-Naik.

– Le spie si fucilano da una parte e dall’altra e gli inglesi specialmente non risparmiano gl’indiani.

– Eppure non possono accusarci di nulla, – disse Yanez.

– Mi viene un sospetto, – disse ad un tratto Sandokan.

– Quale? – chiesero ad un tempo Tremal-Naik ed il portoghese.

– Che qualcuno ci abbia veduti a parlare col signor de Lussac.

– Guai se fosse vero, – disse il bengalese. – Non saprei come potremmo cavarcela.

– E non abbiamo piú le nostre armi! – disse Sandokan.

– Anche avendole, a che cosa ci potrebbero servire? Vi sono qui almeno un migliaio d’insorti e la maggior parte sono stati soldati.

– È vero, Tremal-Naik, – disse Yanez. – Bah! Forse tutto finirà invece bene.

– Dove ci hanno condotti? – chiese Sandokan.

La scorta si era fermata dinanzi ad una massiccia costruzione che pareva fosse stata un tempo qualche torre pentagonale. La parte superiore era però caduta ed i rottami si vedevano accumulati a breve distanza.

– Che sia il deposito degli arruolamenti questo? – chiese Yanez.

Ilsubadhar scambiò alcune parole colle due sentinelle che vegliavano dinanzi alla porta, poi disse a Tremal-Naik ed ai suoi compagni:

– Entrate che l’arruolatore vi aspetta per darvi i salva-condotti, senza i quali non potreste entrare nella città santa.

– E quando potremo ripartire? – chiese Sandokan.

– Tra qualche ora, – rispose l’ufficiale. – Seguitemi, signore.

Accese una torcia che aveva portata con sé, fece aprire la massiccia porta che sembrava di bronzo e salí una scala piuttosto stretta, i cui gradini erano in disordine e coperti da uno strato viscido di fango nerastro, depositatovi dall’umidità.

– È qui che abita l’arruolatore? – chiese Tremal-Naik.

– Sí, al piano superiore, – rispose ilsubdhar .

– Mi sembra piú una prigione che un ufficio.

– Non vi sono piú abitazioni disponibili. Avanti signori, ho fretta.

Giunti al primo piano spinse un’altra porta pure di bronzo e si ritrasse per lasciar passare Sandokan, Tremal-Naik, Yanez ed i malesi, ma appena furono dentro con una rapida mossa la rinchiuse con fragore, lasciandoli nella piú profonda oscurità.

Sandokan aveva mandato un urlo di furore.

– Canaglia! Ci ha traditi!

Successero alcuni momenti di silenzio. Perfino Yanez, che pareva non si sorprendesse di nulla, sembrava sbalordito.

– Sembra che ci abbiano rinchiusi, – disse finalmente, colla sua solita flemma. – Questa brutta sorpresa, parola d’onore, non me l’aspettava, nulla avendo noi fatto in danno degl’insorti. Che cosa ti pare, amico Tremal-Naik?

– Dico che quel furfante di generale ci ha ingannati abilmente, – rispose il bengalese.

– Tremal-Naik, – disse improvvisamente Sandokan. – Che vi sia qui sotto la zampa di Suyodhana?

– È impossibile che egli sia qui, proprio nel momento del nostro arrivo.

– Eppure ho questo sospetto, – rispose Sandokan.

– O piuttosto che qualche Thugs ci abbia riconosciuti e che abbia detto al generale che noi siamo degli spioni? – disse Yanez.

– Potrebbe darsi, – rispose Sandokan.

Come dissi, io sono certo che qui sotto vi sia la mano degli strangolatori, – ripeté Sandokan.

– Vedremo innanzi a tutto dove siamo e se possiamo farla ai tuoi compatriotti, – disse Yanez. – Siamo in sette e qualche cosa si potrebbe tentare.

– Hai l’acciarino e l’esca? – chiese Sandokan.

– E anche una corda incatramata, che ci servirà come torcia per una decina di minuti, – rispose il portoghese. – E poi, i nostri malesi ne avranno qualche altra in fondo alle loro tasche.

– Accendi, – disse Sandokan. – Siamo tutti ciechi.

Yanez batté l’acciarino facendo scaturire alcune scintille, accese l’esca e diede fuoco ad una sagola.

Sandokan l’alzò guardandosi intorno.

Si trovavano in uno stanzone assai vasto, sprovvisto di mobili, con quattro finestre di forma allungata, che erano difese da grosse sbarre di ferro, le quali non erano certamente facili a smuoversi.

– È una vera prigione, – disse, dopo d’aver fatto il giro della sala.

– E non hanno scelto male il luogo, – rispose Yanez. – Muraglie che devono avere uno spessore di qualche metro e del ferro, in modo di non lasciarci fuggire.

Io sarei curioso di sapere come finirà questa avventura.

Che i tuoi compatriotti stiano discutendo la nostra sorte e pensino seriamente a fucilarci? Non sarebbe una cosa troppo allegra, in fede mia.

– Aspettiamo che qualcuno venga, – disse Sandokan. – Non ci lasceranno a lungo senza notizie e senza cibo.

– Ah! Noi dimenticavamo ilcipai del capitano Macpherson, – disse ad un tratto Tremal-Naik. – Quel brav’uomo s’interesserà della nostra sorte, ne sono sicuro, e ci farà sapere qualche cosa.

– È vero, – rispose Yanez, – per mio conto m’ero scordato di lui.

– Ben poco potrà fare, – disse Sandokan. – Non ha autorità.

– Avrà però degli amici, – rispose Tremal-Naik. – Io ho fiducia in lui.

– Cerchiamo di passare la notte alla meno peggio, – disse Yanez, gettando a terra la sagola che si era ormai quasi interamente consumata.

– Fino a domani nessuno si farà vedere.

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