– Che uomo ammirabile! – esclamò Tremal-Naik. – Nessuna cosa lo scombussola!
– Bisogna prendere le cose filosoficamente, – rispose il portoghese, ridendo. – Forse che ci hanno di già fucilati? No… dunque?
– È la mia valvola regolatrice. – disse Sandokan. – Quante volte ho dovuto la mia vita alla sua flemma.
– Al diavolo le chiacchiere! – esclamò Yanez. – Vediamo invece che cosa ci hanno portato quei bricconi d’insorti.
Per Giove! Ecco una brutta idea che mi farà scappare un altro po’ d’appetito.
– Quale? – chiesero ad una voce Sandokan e Tremal-Naik.
– Se questi viveri fossero avvelenati?
– Che strana idea! – esclamò Sandokan. – Se avessero voluto sopprimerci nessuno avrebbe impedito a loro di fucilarci.
– Forse hai ragione, – rispose Yanez.
Scoprí i due cesti e vi trovò delle focacce, dell’antilope arrostita, del riso condito con pesce, un fiasco di vino di palma e perfino delle sigarette formate da una piccola foglia di palma che conteneva del tabacco rosso.
– Non sono troppo avari, – disse.
E dimenticando i suoi timori addentò risolutamente una focaccia, ma subito un grido gli sfuggí.
– Canaglie! Ci hanno messi dentro dei sassi e per poco non mi sono spezzato un dente.
– Dei sassi! – esclamò Sandokan.
– C’è qualche cosa di duro lí dentro.
– Vediamo.
Prese la focaccia e la ruppe in due pezzi. Con sua sorpresa vide una piccola pallottola di metallo che sporgeva fra la mollica.
– Oh! – esclamò. – Che cos’è questo?
Yanez se n’era lestamente impadronito, guardandolo con viva curiosità.
– Qui dentro vi deve essere qualche cosa, – disse.
– Lo suppongo anch’io, – rispose Sandokan.
– Che l’abbia messo Bedar? – chiese Tremal-Naik.
– Vediamo se possiamo aprirla, – rispose Yanez.
Si provò a svitarla e s’accorse che la cosa non era difficile. L’aprí e ne levò una pallottolina di carta.
– Buono, – disse.
Lo svolse con precauzione, temendo di guastare la carta e vide alcune lettere tracciate con inchiostro azzurro.
– Questo è indiano, – disse. – A te, Tremal-Naik, che conosci la lingua meglio di noi.
– Non vi sono che tre parole, – rispose il bengalese.
– Leggi.
– Aspettate questa sera.
– E null’altro? – chiese Sandokan.
– No.
– Nemmeno la firma?
– Niente, Sandokan.
– Chi può averci mandato questo biglietto?
– Un uomo solo: Bedar.
– Aspettate questa sera, – ripeté Yanez. – Che venga a segare le sbarre di ferro delle nostre finestre?
– Suppongo che qualche cosa farà, – rispose Sandokan. – Abbiamo avuto una grande fortuna nell’incontrarlo. Se ci aiuterà sapremo ricompensarlo generosamente.
– Purché non ci fucilino prima del tramonto, – disse Yanez.
– Ordinariamente le esecuzioni si fanno al mattino, – osservò Tremal-Naik.
– Come mai hanno sospesa la nostra?
– Non credo, Yanez, che pensino d’altronde a fucilarci, senza prima ascoltare le nostre difese, – disse Sandokan.
– Sono ribelli e non si prenderanno la briga di farci subire degli interrogatori, mio caro Sandokan. Che cosa vuoi attenderti da persone che, fino a pochi giorni or sono, hanno scannato ferocemente quanti inglesi hanno potuto acciuffare, senza risparmiare né le donne, né i fanciulli? Che cosa siamo noi per loro? Delle spie, sospettano, gente che si ammazza come cani idrofobi e che nemmeno gli eserciti regolari delle nazioni piú civili risparmiano.
Bah! Giacché siamo ancora vivi, approfittiamo per finire la mia riserva di sigarette. – Ed il brav’uomo senz’altro preoccuparsi del domani, accese la sua ventesima sigaretta assaporando l’aroma delizioso del tabacco manillese.
Durante la giornata nulla accadde di notevole. Nessuno entrò nella prigione; solamente furono veduti ricomparire entro la cinta i due indiani dall’enorme turbante, i quali eseguirono una minuziosa ispezione come al mattino.
Il sole stava per tramontare, quando ilsubadhar rientrò seguito dalla sua scorta e da due altri indiani che portavano la cena.
– Hanno cambiata idea o si sono persuasi finalmente che non siamo delle spie ai servigi degli inglesi? – gli domandò Sandokan, appena l’ebbe veduto.
– Temo il contrario, – rispose l’ufficiale facendosi oscuro in viso.
– Allora ci fucileranno domani all’alba, – chiese Yanez con voce perfettamente calma.
– Non lo so, tuttavia…
– Continuate pure. Noi non siamo persone da impressionarci troppo facilmente. – Ilsubadhar guardò i prigionieri con vivo stupore. Quella calma, in uomini ormai votati alla morte, lo aveva scombussolato.
– Credete voi che io abbia voluto semplicemente spaventarvi? – chiese.
– Niente affatto, – rispose Yanez.
– Siete uomini di ferro?
– Non siamo femminucce, ecco tutto.
– Se io fossi il generale, ve lo giuro, vi risparmierei, – disse ilsubadhar . – È un peccato uccidere della gente cosí valorosa.
– Ditemi, – disse Sandokan. – Ci fucileranno senza giudicarci?
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