La caccia alle tigri di Mompracem (terza parte)

I tre elefanti montati dai ribelli si erano invece fermati sulla sponda opposta, come se cercassero qualche altro guado piú facile.

– Prendiamo posizione, – disse Sandokan. – Daremo loro battaglia sul fiume. Bedar, ferma l’elefante, e fallo nascondere entro qualche macchia, onde le palle non lo colpiscano.

Ilcipai diede alcornac alcuni ordini, mentre Tremal-Naik e le tigri di Mompracem s’impadronivano delle carabine e dei sacchetti contenenti le munizioni.

L’elefante s’internò fra un foltissimo macchione di bambú, poi si fermò mentre ilcornac gettava la scala.

– Giú e lesti, – disse Sandokan. – Impediamo loro di attraversare il fiume o avremo addosso una trentina d’uomini che non ci risparmieranno.

Scesero a precipizio, raccomandarono alcornac di non allontanarsi e tornarono verso il fiume imboscandosi in mezzo alle folte erbe.

Ilcipai si era unito a loro, sicché erano in buon numero per disputare accanitamente il passaggio del fiume.

– Che siano in molti gli insorti? – chiese Yanez a Bedar.

– Ogni elefante ne avrà certo diedi o dodici, – rispose Bedar.

– Che vi sia anche della cavalleria con loro? – domandò Sandokan.

– Giungerà forse, ma assai piú tardi.

– A cose finite, – disse Tremal-Naik. – Toh! Che cosa fanno che non si decidono a far entrare in acqua gli elefanti?

– Attenderanno l’alba, – rispose Bedar. – Ormai sanno che noi siamo qui e sono sicuri di raggiungerci.

– Cosí tireremo meglio, – disse Sandokan. – Leva fuori le palle rivestite di rame. Metteremo subito gli elefanti fuori combattimento.

Si coricarono fra le erbe, dietro la prima fila d’alberi onde proteggersi meglio dai colpi di fuoco degli avversari, ed attesero l’attacco sicuri di non venire facilmente sloggiati.

Yanez aveva accesa la sigaretta e fumava placidamente, guardando verso la riva opposta.

Gli indiani accortisi forse che i fuggiaschi si erano arrestati, pareva che non avessero troppa premura di attaccare.

Alle quattro gli astri cominciarono ad impallidire e le tenebre a dileguarsi.

– Bedar, – disse Sandokan, volgendosi verso ilcipai , – erano tre gli elefanti, è vero?

– Sí,sahib .

– Sei certo di non esserti ingannato?

– Ma sí, erano tre.

– Dov’è andato dunque il terzo che non lo vedo piú?

– Infatti non ne vedo che due soli ora, – disse Yanez. – Che l’abbiano mandato in cerca di rinforzi?

– O che lo tengano invece in riserva, nascosto dietro gli alberi? – disse Tremal-Naik.

– Ciò m’inquieta, – rispose Sandokan. – Avrei preferito vedere anche quello.

– Badate, – disse ilcipai . – Si muovono per forzare il passaggio.

I due elefanti, due animali mostruosi, scendevano in quel momento la riva, eccitati dalle grida dei lorocornac .

Nella cassa vi erano dieci uomini e altri quattro stavano coricati dietro. Erano dunque in trenta, forza rispettabile, eppure non troppo temibile per le tigri di Mompracem, abituate a misurarsi con nemici sempre numerosi.

I due pachidermi, dopo una breve esitazione, si cacciarono in acqua, tastando prudentemente il terreno, mentre gli indiani afferravano le carabine.

– A te il primo colpo, Sandokan, – disse Yanez.

La Tigre della Malesia appoggiò la carabina su una radice che usciva da terra e mirò per qualche istante il primo elefante.

Un momento dopo una detonazione scoppiava, seguita subito da un barrito formidabile.

Il pachiderma aveva fatto uno scarto improvviso ed aveva alzato vivamente la tromba, soffiando rumorosamente. La palla doveva averlo colpito in qualche parte. Gl’indiani che lo montavano, udendo quello sparo, avevano risposto con un fuoco nutrito.

– Facciamoci vivi anche noi, – disse Yanez. – Fuoco, tigrotti di Mompracem!

I pirati si alzarono silenziosamente dietro i tronchi degli alberi che li proteggevano e scaricarono le carabine, mirando la cassa.

Piú che gli elefanti premeva a loro di mettere fuori di combattimento gli uomini.

Tre indiani caddero nel fondo della cassa morti o feriti, ma gli altri non cessarono il fuoco, anzi ilcornac continuò ad aizzare l’elefante che cominciava a mostrarsi titubante.

Sandokan, ricaricata la carabina, mirò il secondo che era rimasto scoperto e gli strappò un barrito terribile.

– Anche quello è toccato, – disse. – Continuiamo finché cadono.

Gli indiani, non ostante il formidabile fuoco delle tigri di Mompracem, resistevano tenacemente, sparando in mezzo agli alberi, con nessun successo poiché i fuggiaschi si guardavano bene dal mostrarsi.

Scaricata la carabina, si lasciavano cadere fra le erbe, rendendosi invisibili e ricaricata l’arma riprendevano la musica infernale.

Il primo elefante, quantunque perdesse sangue da una spalla, aveva raggiunta quasi la metà del fiume, quando una palla di Yanez lo colpí sotto la gola, penetrandogli certo molto addentro.

Il povero colosso, già indebolito, indietreggiò vivamente, empiendo l’aria di clamori assordanti.

– Ben preso, Yanez, – disse Sandokan. – È fuori di combattimento e fra poco cadrà.

– Dagli il colpo di grazia, – disse il portoghese.

– Sto mirandolo.

Sandokan si scopri un momento e fece fuoco a ottanta metri di distanza.

Il pachiderma lanciò un barrito piú spaventevole degli altri, si rizzò bruscamente sulle zampe deretane, poi si rovesciò su un fianco sollevando una ondata spumeggiante e gettando in acqua gli uomini che portava.

– È finito! – gridò Yanez, con voce giuliva. – All’altro, Sandokan!

Mentre gli indiani si salvavano a nuoto abbandonando le carabine, il pachiderma con uno sforzo disperato si era risollevato per non affogare, poi quasi subito ricadde scomparendo per sempre.

L’altro, vedendo cedere il compagno, si era messo a indietreggiare barrendo e scuotendo l’enorme capo sotto i colpi d’arpione che ilcornac non gli risparmiava.

– Fuoco, Yanez! – gridò Sandokan. – Facciamolo cadere presto.

I due pirati scaricarono simultaneamente le carabine, mirando le spalle del colosso, presso le giunture.

Fu un colpo maestro. Il pachiderma voltò il dorso fuggendo verso la riva, salutato da una seconda scarica, ma quando si trattò di salirla, le forze gli vennero improvvisamente meno e stramazzò pesantemente, scaraventando fra i cespugli gl’indiani che erano nell’haudah.

Un grido di vittoria s’alzò sulla riva opposta. Le tigri di Mompracem erano balzate fuori e fulminavano gl’insorti che nuotavano per impedire a loro di ricongiungersi ai compagni.

– Basta, – disse Yanez. – Ne hanno abbastanza e non ci inquieteranno piú.

– Al nostro elefante, – comandò Sandokan.

Stavano per prendere la corsa verso il bosco, quando udirono una voce umana a gridare:

– Aiuto! Aiuto!

Bedar aveva mandato un urlo di rabbia.

– Il nostrocornac !

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