La Marianna (terza parte)

Era una costruzione robusta quantunque formata con panconi e con bambú, alta quasi sei metri e di forme tozze. L’entrata s’apriva verso la cima e non già a pianterreno e vi si giungeva con una scala a mano. Una iscrizione, ripetuta in quattro lingue, in francese, tedesco, inglese e indostano raccomandava ai naufraghi di fare economia dei viveri contenuti nella torre, avvertendo che il battello rifornitore non giungeva che una sola volta al mese.

Naufraghi non ve n’erano in quel momento. Solamente alcune coppie di marabú sonnecchiavano sulla cima, colla testa affondata nelle spalle e l’enorme becco semi-nascosto fra le piume del petto.

Certo stavano digerendo qualche cadavere d’indiano, arenatosi su quelle rive.

Fu solamente dopo mezzodí che le due rive cominciarono a mostrarsi un po’ popolate, quantunque la jungla si estendesse sempre su una superficie immensa, colle sue erbe gigantesche dalla tinta giallastra, e le sue pianure monotone, interrotte da fanghiglia e da pozzanghere sulla cui smorta uniformità spiccavano invece vivacemente i fiori di loto.

Degli abitanti apparivano di quando in quando su quelle rive, impregnate di febbre e di cholera, intenti a raccogliere il sale nelle naturali efflorescenze di quei terreni pantanosi e nei quadrati a truogolo ed a fondo d’argilla nei quali si conduce l’acqua a mezzo di chiuse.

Erano dei poveri molanghi, nudi, scarni, anzi quasi ischeletriti, tremanti di febbre e che rassomigliavano a ragazzi malaticci piuttosto che a uomini, tanto erano bassi di statura e poco sviluppati.

Di miglio in miglio che ilpraho guadagnava, anche sul fiume la vita diventava piú attiva. Gli uccelli diventavano rari e soli i martini pescatori, appollaiati sulla cima delle canne facevano udire il loro monotono kri… kri… kri… Si succedevano invece le barche le quali indicavano la vicinanza dell’opulenta capitale del Bengala.Bangle ,mur -punky,pinasse e anche dellegrab di buon tonnellaggio, attraversavano o scendevano il fiume, ben cariche di derrate e qualche vapore filava lungo le rive, manovrando con precauzione.

Verso le sei, Yanez e Sandokan che si erano collocati a prora, scorsero fra una nuvola di fumo, le alte cime delle pagode della città nera ossia della città indiana di Calcutta e i bastioni imponenti del forte William.

Sulla riva destrabengalows e palazzine graziose, d’architettura inglese mista all’indiana, cominciavano ad apparire in gran numero, allineate dietro a graziosi giardinetti ombreggiati da gruppi di banani e di cocchi.

Sandokan aveva fatto spiegare sull’alberetto maestro la bandiera di Mompracem, tutta rossa con in mezzo una testa di tigre dalle fauci aperte, ritirare buona parte dell’equipaggio e coprire le due grosse spingarde di poppa e le due di prora.

– Che Kammamuri non venga? – stava chiedendo a Yanez che gli stava a fianco coll’eterna sigaretta in bocca, guardando le barche che s’incrociavano in tutti i sensi, quando l’europeo tese la destra verso la riva destra, esclamando:

– Ecco il fedele e coraggioso servo di Tremal-Naik. Vedi Sandokan quella scialuppa che porta a poppa la bandiera di Mompracem?

Sandokan aveva seguito cogli sguardi la direzione indicata dal compagno e vide infatti un piccolo ma elegantissimofylt’ sciarra , di forme snelle, colla prora adorna d’una testa d’elefante dorata, montato da sei rematori e da un timoniere e sulla cui poppa ondeggiava la bandiera rossa colla testa d’una tigre.

S’avanzava rapidissimo, fra legrab veleggianti e lepinasse che ingombravano il fiume, puntando sulpraho il quale si era subito messo in panna.

– Lo vedi? – disse Yanez con voce giuliva.

– Gli occhi della Tigre della Malesia non si sono ancora indeboliti, – rispose Sandokan. – È lui che siede al timone.

Fa’ gettare la scala, mio caro portoghese. Finalmente sapremo come quel cane di Suyodhana è riuscito a rapire la figlia di quel povero Tremal-Naik.

Ilfylt’ sciarra in pochi minuti superò la distanza e abbordò ilpraho a babordo, sotto la scala che in quel frattempo era stata abbassata.

Mentre i remiganti ritiravano i remi e legavano la scialuppa, il timoniere salí, lesto come una scimmia, la scala e balzò sulla tolda, esclamando con voce commossa:

– Signor Sandokan! Signor Yanez!Ah! Quanto sono felice di rivedervi!

Quell’uomo era un bel tipo d’indiano di trenta o trentadue anni, piuttosto alto di statura, dai lineamenti belli, fini ad un tempo ed energici, col corpo piú vigoroso dei bengalesi i quali ordinariamente sono magri.

Il suo viso abbronzato aveva dei riflessi dell’ottone e spiccava vivamente sul vestito bianco, mentre i pendenti che portava agli orecchi gli davano un non so che di grazioso e strano.

Sandokan respinse la mano che l’indiano gli porgeva e se lo attirò fra le braccia, dicendogli:

– Qui sul mio petto, valoroso maharatto.

– Ah! mio signore! – esclamò l’indiano con voce rotta, mentre impallidiva per l’emozione.

Yanez, piú calmo e meno espansivo, gli diede una vigorosa stretta di mano, dicendo:

– Questa vale quanto un abbraccio.

– E Tremal-Naik? – chiese Sandokan, con ansietà.

– Ah! mio signore! – disse il maharatto, mentre un singhiozzo gli faceva nodo alla gola. – Temo che il mio padrone impazzisca! I maledetti si sono vendicati!

– Racconterai tutto fra poco, – disse Yanez. – Dove dobbiamo ancorarci?

– Non gettate l’ancora davanti alla spianata del forte, signor Yanez, – disse il maharatto. – Noi siamo vigilati dai Thugs e quei miserabili devono ignorare il vostro arrivi.

– Saliremo il fiume fino dove tu vuoi.

– Al di là dal forte William, dinanzi lo Strand. I miei battellieri s’incaricheranno di guidarvi.

– Ma quando potremo rivedere Tremal-Naik? – chiese Sandokan con impazienza.

– Dopo la mezzanotte, quando la città sarà addormentata. Dobbiamo essere prudenti.

– Posso fidarmi dei tuoi uomini?

– Sono tutti abili marinai.

– Falli salire a bordo e affida loro la direzione delpraho , poi vieni nella mia cabina. Voglio sapere tutto.

Il maharatto con un fischio fece accorrere i suoi uomini, scambiò con loro alcune parole, poi seguí Sandokan e Yanez nel salotto di poppa.

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